Una delle più geniali e suggestive vendette della storia del cinema si consumò in teatro: un teatro di sangue, per l’appunto. Theatre of blood è, difatti, il titolo originale (da noi riadattato come Oscar insanguinato) di una godibilissima pellicola di Douglas Hickox, magistralmente interpretata dall’icona horror Vincent Price. Il film, strutturato su un’ affascinante trovata narrativa, ovvero immaginare un assassino che compie i suoi delitti secondo un rituale che ha come schema unico l’emulazione-(re)interpretazione di noti drammi shakespeariani, ha al contempo una struttura horror e un retrogusto da commedia nera. Srotoliamo brevemente il plot.
Conrad Edward Lionheart, noto attore teatrale shakespeariano, distrutto dalle critiche negative per le sue interpretazioni, si toglie la vita. In un primo momento non sappiamo bene il come, né il frangente in cui si dette la morte. Quando poi, a due anni di distanza dall’accaduto, cominciano a morire, in un breve intervallo di tempo, i più importanti critici teatrali inglesi, qualcuno comincia sospettare che Lionheart sia tornato. Non dalla tomba però, come si potrebbe pur pensare, in quanto il corpo dell’attore non era mai stato ritrovato. Ma come morì Lionheart? E cosa gli imputava la critica? Essendo una sorta di thriller-horror, non vi svelerò i misteri di questo assassino burlone, che si farà beffe di tutto e tutti, con una sagacia tattica da stratega militare, ma soprattutto con un estro proprio ai creativi, agli artisti veri. Lo vedremo chirurgo, abile spadaccino, parrucchiere per signora, massaggiatore, esperto degustatore, sopraffino gourmet, sempre e comunque attore sul proscenio. Sempre in parte, tanto da non lasciare allo spettatore, nonché ai malcapitati critici oggetto della sua folle vendetta, la possibilità di capire dove sia l’uomo rispetto all’interprete. Anche se forse, è giusto credere, siano stati inevitabilmente una cosa sola. L’epilogo resta in linea con la narrazione, consumato in una cornice che più teatrale non potrebbe essere.
Strutturato narrativamente in maniera molto simile ad uno dei capolavori dell’horror, che aveva avuto sempre Price come protagonista (L’abominevole Dr. Phibes di Fuest, datato 1971, che ispira la sua macabra vendetta a vicende dell’Antico Testamento. Ebbe anche un sequel, l’anno successivo, sempre con Price protagonista, da noi uscito col titolo Frustrazione), Oscar insanguinato si diversifica dall’illustre predecessore per le forti dosi di humour nero, lì totalmente assenti. Phibes è infatti un personaggio fortemente malinconico, interpretato da Price in modo spettrale e altrettanto teatrale, che deve vendicarsi di una equipe di chirurghi che avevano abbandonato l’amata moglie in sala operatoria, dandola per morta. Nella pellicola in questione invece, pur riprendendo tratti distintivi del personaggio precedentemente interpretato (e divenuto notissimo nella cerchia dei cinefili appassionati del genere), Vincent Price si produce in una performance meno misurata, più istrionica e sfaccettata, che contribuì a consacrarlo tra gli immortali del cinema di genere, oltre che del teatro. Non è un caso che un vero e proprio genio della settima arte, quale è Tim Burton, si sia ispirato alla figura di Price per il suo primo, notevole e quanto mai originale cortometraggio (Vincent), né che gli abbia affidato un ruolo simbolico e affascinante in uno dei più bei lungometraggi hollywoodiani degli ultimi trent’anni (Edward mani di forbice), che il destino volle fosse la sua ultima, emblematica apparizione sul grande schermo. Price mattatore assoluto, dunque, irrinunciabile istrione per un film che ha molti altri punti a suo favore. Prima di tutto la sceneggiatura, agile, snella, essenziale nonostante le continue citazioni e i rimandi all’opera del Bardo, ottimamente strutturata al di là delle inevitabili incongruenze che un simile copione può portar con sé. Proprio le citazioni shakespeariane, invece, nel loro sopraggiungere come sentenza che anticipa la morte, sono una gustosa trovata di scrittura, apprezzabile non solo dai lettori del commediografo e drammaturgo inglese, ma anche da coloro che amano le contaminazioni tra le arti, tra cinema e alta letteratura, soprattutto quando si partoriscono opere che trovano una sintesi strutturale che non appesantisce la narrazione, come nel caso in questione.
Suggestivo e funzionale alla storia anche l’uso della macchina da presa, che privilegia il dettaglio e il primo piano sui volti, per amplificare l’effetto straniante delle rappresentazioni-esecuzioni, al contempo buffe e solenni, degne della ribalta di un popolo di straccioni. Sono in effetti gli straccioni, che lo avevano aiutato a rimettersi in sesto dopo averlo ritrovato morente sulle rive del fiume cittadino, il principale uditorio di Lionheart, il quale, aiutato dalla devotissima giovane figliuola (un’ottima Diana Rigg, davvero bella: non lascia indifferenti), costruisce una messinscena grandguignolesca. Il Giulio Cesare, Il mercante di Venezia, il Tito Andronico fino al Re Lear: nove rappresentazioni per nove imputati, futuri cadaveri. Ma uno di essi, probabilmente il più coerente nel proprio giudizio, malgrado la furia di Lionheart, si salverà.
L’ultima nota che vi propongo vuole infatti porre l’accento sul tema che filtra dalla scia di sangue: la critica alla critica ufficiale. Ovvero quanto una cerchia di pochi eletti, borghesi e pennivendoli, possa distruggere morale, carriere e sogni degli artisti. Anche dei più bravi, dei più appassionati. E in tutto ciò c’è una punta di affinità con la vita dell’iperbolico Vincent Price, ora ricordato come un grande, ma per tutta la carriera inquadrato e immaginato “solo” come icona horror. Lui che aveva sempre tenuto ad essere considerato attore a tutto tondo, che aveva nelle corde qualsiasi tipo di personaggio, ma che non poté mai evadere troppo dal genere per cui oggi noi appassionati lo ricordiamo. Rendendogli pertanto il giusto omaggio. Senza alcun dubbio, unitamente a L’abominevole Dottor Phibes, Oscar insanguinato è un’opera che non può mancare negli scaffali degli amanti dell’horror. Da riscoprire e rivalutare.
Curiosità: Nei titoli di testa – davvero un incipit memorabile -, sulle suggestive note di Michael J. Lewis, vengono proposte scene da vecchie versioni cinematografiche delle tragedie shakespeariane, in cui riconosciamo un’altra indimenticata icona dell’horror anglosassone, Peter Cushing, nonché il britannico Lawrence Olivier, attore di teatro per eccellenza.
Federico Magi, maggio 2007.
Edizione esaminata e brevi note
Regia: Douglas Hickox. Soggetto: Stanley Mann, John Kohn. Sceneggiatura: Anthony Greville Bell. Montaggio: Malcom Cooke. Fotografia: Wolfgang Suschitzky. Interpreti principali: Vincent Price, Diana Rigg, Dennis Price, Robert Morley, Arthur Lowe, Michael Hordern, Ian Hendry, Jack Hawkins, Robert Coote, Coral Browne, Harry Andrews. Scenografia: Michael Seymour. Musica: Michael J. Lewis. Produzione: Sam Jaffe Harbor. Titolo originale: “Theatre of blood”. Origine: Gran Bretagna, 1973. Durata: 105 minuti.
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