“Non è questo il racconto di gesta impressionanti. È il segmento di due vite raccontate nel momento in cui hanno percorso insieme un determinato tratto, con la stessa identità di aspirazioni e sogni.”
Notas de Viaje – Ernesto Guevara
Estate 2015: ho una laurea appena conquistata, dei risparmi avanzati dalla borsa di studio e un paio di mesi di tempo libero. Insieme a Giorgia, amica conosciuta all’Università e appassionata di viaggi come me, abbiamo un’idea, prendere l’auto e in un mese andare e tornare da Lisbona: unico semplice scopo, andare. Il piano diventa realtà, partiamo il 10 agosto e torniamo il 10 settembre, per un mese dormiamo quasi esclusivamente in campeggio, cuciniamo con un fornelletto a gas e una gavetta, visitiamo una miriade di città, villaggi e borghi, cerchiamo di evitare le autostrade percorrendo le strade secondarie, ci perdiamo, ci ritroviamo, ci perdiamo di nuovo. Attraversiamo il sud della Francia, i Pirenei, l’Aragona, tutta la costa nord della Spagna, entriamo in Portogallo e scendiamo fino a Lisbona. Da qui continuiamo verso sud fino all’estremità meridionale della Penisola Iberica, torniamo in Spagna e ne attraversiamo la costa sud per poi rientrare in Francia e infine in Italia. 8350,6 è il numero di chilometri percorsi in tutto il mese. Quelli che seguono sono gli appunti di viaggio, gli episodi salienti e le situazioni più curiose, i luoghi che più mi hanno colpito e quelli che sono stati più significativi. Nessun viaggio alla scoperta di sé stessi o ricerca filosofica del senso della vita, solo due persone con voglia di viaggiare e la fortuna di aver avuto tempo, mezzi e risorse per farlo.
Viaggiando la musica ci ha spesso accompagnato nei momenti salienti del percorso, se vi piace leggere ascoltando musica, ogni volta che trovate nominata una canzone vi suggerisco di cercarla e ascoltarla, potrebbe aiutarvi ad entrare di più nello spirito del momento, e magari farvi scoprire qualche canzone che non conoscevate.
Auberge de Jeunesse, Nîmes 13 agosto 2015 23:11
Il viaggio è appena iniziato e abbiamo già capito che non sarà tutto semplice: la perturbazione che abbiamo incontrato questo pomeriggio ci ha seguito dalla costa fin nell’entroterra, qui a Nîmes. Per qualche ora la pioggia era cessata e, anche se sentivamo tuoni e lampi in lontananza, pensavamo di essercela lasciata alle spalle. Ecco perché abbiamo scelto di piantare la tenda nel giardino dell’ostello invece di prendere due letti in camerata: “Tranquilla tanto non arriva qui!” Così ho convinto Giorgia. Lei ha annuito ma si vedeva che non ne era sicura e del sesto senso femminile bisogna sempre fidarsi. Mentre stiamo cucinando, il temporale ci ha investito in pieno e un muro di pioggia si è abbattuto sull’ostello allagando il giardino. Nei miei anni da scout sono stato spesso sfortunato con pioggia e tende, più volte mi è successo di svegliarmi nel mezzo della notte con i piedi bagnati e il tetto gocciolante. Oggi però ero più tranquillo, la tenda era montata bene e, anche se ha i suoi anni, il telo esterno è ancora in ottimo stato.
Quell’acquazzone aveva alimentato in me il fastidioso tarlo del dubbio e anche Giorgia sembrava più preoccupata. Alla fine ho ceduto, mi sono messo la giacca a vento e sono uscito. Inutile infilarsi anche le scarpe, sarebbe solo servito ad inzupparle, le ciabatte erano sufficienti. Sono arrivato fino alla tenda, ho aperto il telo esterno, poi quello interno, facendomi luce con la torcia: mi sbagliavo, il telo non regge. Gocce d’acqua cadono inesorabili da diversi punti e a ritmo crescente. Che fare? Il temporale non accenna a smettere e di questo passo in pochi minuti l’interno della tenda sarà zuppo. La soluzione è arrivata all’improvviso: il poncho! Quello è praticamente un telo cerato e tiene l’acqua meglio di una lastra di metallo. Sono corso verso la macchina, la strada era ridotta ad un torrente e mi sono schizzato di fango fin sulle orecchie. La torcia che avevo in mano è con la carica a manovella. Le ho sempre trovate una bella idea, ma quando mi si è scaricata all’improvviso ne ho maledetto l’inventore. A tentoni ho trovato il poncho, ho guadato di nuovo la strada e sono tornato alla tenda. In fretta e furia ho steso il poncho sopra la tenda e ho ringraziato il cielo che fosse abbastanza grande da coprirla tutta. Con un cordino l’ho fissato agli alberi circostanti e alla tenda stessa in modo che non voli via. Ho controllato l’interno e sembra che il gocciolio si sia fermato. Sono tornato in cucina fradicio e sporco di fango. Alla notizia degli eventi Giorgia ha assunto la classica espressione da “te l’avevo detto”, per fortuna ha avuto il buon cuore di non infierire. Siamo praticamente appena partiti e già abbiamo scoperto che dovremo affrontare il resto del viaggio con una tenda che non tiene l’acqua: potrebbe essere un grande problema.
Si tratta del primo imprevisto, finora tutto è andato bene: sul giorno della partenza avevo fantasticato a lungo, avevo perfino pianificato la canzone da ascoltare, una piuttosto scontata degli Eagles, Giorgia però aveva altri piani e così siamo partiti accompagnati dalle allegre note di “Walk of life”, dei sempreverdi Dire Straits, canzone dedicata al vagabondare dei musicisti, ma che in quel momento sembrava scritta su misura per noi.
La prima tappa è stata Laigueglia in Liguria, dove ci siamo fermati un paio di giorni ospiti di Marco, amico, collega studente in Azerbaigian e compagno di viaggio in Georgia e Uzbekistan. Da Laigueglia abbiamo poi sconfinato in Francia, visitando un paio di villaggi sulla costa e facendo una tappa obbligatoria nel Principato di Monaco, che tuttavia non ci ha entusiasmato. Sia a me che a Gorgia non piacciono le zone affollate e abbiamo deciso che in questo viaggio daremo la preferenza a luoghi più isolati e difficili da raggiungere. Da Monaco abbiamo continuato a seguire la costa fino ad arrivare ad Antibes ieri sera. Le strade costiere nei pressi di Monaco prendono il nome di corniches e sono state spesso immortalate in famosi film hollywoodiani. In effetti sono molto particolari e offrono splendidi panorami sulla costa. Ad Antibes abbiamo dovuto girovagare per due ore prima di riuscire a trovare un campeggio poco fuori città.
Stamattina ci siamo svegliati presto e abbiamo fatto una passeggiata per il centro storico di Antibes: questo si concentra tutto all’interno di mura risalenti al XVI secolo, eleganti viuzze, case con balconi fioriti, odore di mare e un’atmosfera rilassata hanno accompagnato il nostro vagabondare. Un variopinto mercatino, posto sotto un’elegante tettoia di ferro che mi ricordava Parigi, esponeva, a uso e consumo dei turisti, una gran varietà di specialità gastronomiche. Non abbiamo resistito alla tentazione di provare qualcosa e ce ne siamo andati con un vasetto di salsa di melanzane e una fragrante baguette.
Dopo nove mesi di permanenza in Azerbaigian non sono più abituato a viaggiare in paesi dove posso capire la lingua e addirittura parlarla (sia io che Giorgia abbiamo una laurea triennale in francese) e solo ora mi rendo conto di quanto questo ci renda la vita molto più facile. Comprare quel semplice vasetto è stato semplice, rapido e non ha implicato il ricorso a gesti stravaganti o parole imparate a memoria e pronunciate malissimo.
La vista della costa dai bastioni della città è veramente suggestiva. Una spiaggia poco sotto di noi ha un aspetto molto invitante, ma il fatto che sia già piena di bagnanti ci ha dissuaso dal fermarci qualche ora a prendere il sole. Tuttavia avendo quest’obiettivo in mente abbiamo lasciato la bella Antibes e continuato a seguire le strade costiere. Spesso costeggiano insenature dove è possibile scendere fino al mare.
In Francia non esistono stabilimenti balneari o spiagge private dove si possa pagare l’ombrellone e sistemarsi per la giornata. Tutta la spiaggia è pubblica e ognuno può scegliere la parte che più gli aggrada. Una nota di merito è costituita dalla pulizia e dall’ordine con cui le spiagge sono tenute. Alla fine siamo riusciti a trovare una spiaggetta piccola e sassosa, ma con sassolini levigati dall’acqua e perciò lisci, e meno affollata delle altre. Il problema principale era la temperatura rovente dei sassolini. Credevo che due mesi a camminare scalzo per le spiagge bollenti di Sharm el Sheikh durante la mia esperienza di animatore turistico mi avessero fatto crescere uno strato sufficientemente spesso di pelle sotto le piante dei piedi, ma oggi mi sono dovuto ricredere. L’acqua fresca ha concesso un sollievo a quest’inconveniente.
La tabella di marcia non ci permette di stare tanto ad oziare e così siamo ripartiti alla volta di Nîmes, nell’entroterra, fermandoci solo per prendere un panino.
Siccome i chilometri sono tanti e il tempo a disposizione risicato, abbiamo deciso di cedere e di prendere l’autostrada. Scelta abbastanza oculata, soprattutto perché a metà strada abbiamo incontrato una grossa perturbazione che ci ha scagliato addosso scrosci e scrosci di pioggia fino quasi all’arrivo. Come se non bastasse abbiamo anche trovato molto traffico. Ignorando le proteste del navigatore siamo usciti dall’autostrada prima del dovuto per prendere la statale. Il navigatore in questione è incorporato alla macchina e, nonostante il mio scetticismo iniziale, per ora si è rivelato molto utile.
La mia idea originale era partire con l’altra macchina di famiglia: una Opel Astra di quindici anni sui cui sia io che mia sorella abbiamo imparato a guidare lasciando tracce evidenti sulla carrozzeria. Ci sono molto affezionato e portarla fino a Lisbona sarebbe stato un gesto molto romantico e poetico, una sorta di canto del cigno, estrema fatica e ultima impresa per un’auto che mi ricorderò per sempre. Per orientarci volevamo affidarci ai navigatori dei telefoni e a delle buone, vecchie mappe. Mio padre però ha insistito nel farci usare la sua auto: una Peugeot 3008 di poco più di quattro anni, dotata di tutti i comfort, più spaziosa, robusta ed effettivamente più sicura. All’inizio ero riluttante, il viaggio era lungo e, anche se non gliel’ho detto, sono abbastanza sicuro che qualche ammaccatura o qualche strisciata capiterà per forza. Alla fine però ho ceduto, le mappe giacciono quasi del tutto inutilizzate nel vano sotto il cruscotto e la voce del navigatore è ormai nostra compagna di viaggio: però ha il vizio di protestare molto quando non seguiamo le sue indicazioni e siccome già più di una volta ci siamo ritrovati ad urlarle “zitta” (la voce del navigatore è femminile), l’abbiamo soprannominata “Zita”.
A Zita non piaceva che noi prendessimo la strada statale, l’abbiamo spenta e abbiamo seguito i cartelli, arrivando in città senza troppi problemi. Nîmes è uno dei centri urbani più grandi della regione della Languedoc-Roussillon ed è famosa per i suoi resti romani. Abbiamo trovato parcheggio poco fuori dal centro, finalmente smesso di piovere ma il cielo non promette bene. Entrando in città abbiamo notato un cartello che dice “gemellata con Verona” e non è un caso: così come a Verona infatti, qui si trova un grande anfiteatro romano che è considerato quello meglio conservato di tutta la Francia: poteva ospitare ben 24.000 persone ed era fornito di tutte le attrezzature necessarie per organizzare spettacoli degni del ben più famoso Colosseo. Siamo riusciti a vederlo dall’esterno e sono rimasto decisamente colpito nel constatarne l’ottimo stato di conservazione.
Negli ultimi giorni abbiamo capito l’importanza degli uffici turistici: sono i luoghi migliori dove ottenere informazioni sui monumenti, le attrazioni e soprattutto gli ostelli e i campeggi della città. Senza aver visitato l’ufficio turistico di Antibes non avremmo saputo nemmeno da che parte iniziare a cercare, anche se comunque ci è voluta un’ora per trovare l’ufficio turistico stesso.
Grazie all’uomo dell’ufficio siamo arrivati fino a questo ostello che in verità funge anche da campeggio. Prima ci siamo concessi un’ altra passeggiata per Nîmes: ha un grande patrimonio storico e culturale, tuttavia, essendo lontana dalla costa, è meno frequentata dalle masse di turisti che affollano le spiagge. Poco distante dall’arena abbiamo incontrato la maison carrée, “casa quadrata”: un tempio costruito intorno al V secolo d.C. interamente in pietra calcarea che ancora oggi conserva tutto il suo biancore. Era dedicato ai due figli adottivi di Augusto e il nome viene dalla sua pianta rettangolare. La struttura è posizionata su un piedistallo e una fila di colonne ne circonda il perimetro. Così come l’arena, lo stato di conservazione è incredibile.
A circa dieci minuti di cammino dalla maison carrè abbiamo trovato un elegante canale che più avanti si allarga in un piccolo lago con al centro una fontana. Qui confluiscono altri due canali che insieme formano un fossato intorno ai giardini pubblici. Le sponde dei canali sono coperte di pietra calcarea che li rende molto eleganti.
Siamo tornati alla macchina facendo tappa in un supermercato per procurarci la cena. In generale non stiamo spendendo molto, ma tra le spese più fastidiose ci sono quelle per i parcheggi.
Anche stavolta trovare l’ostello non è stato facile, la segnaletica francese spesso dà per scontate troppe cose, ma adesso siamo tranquilli nei nostri sacchi a pelo. Il boschetto dell’ostello profuma di bagnato, in lontananza sentiamo ancora i tuoni, sempre più fiochi. Spero che il poncho regga e di non essere svegliato da altre infiltrazioni d’acqua.
Links:
https://it.wikipedia.org/wiki/Antibes
https://it.wikipedia.org/wiki/N%C3%AEmes
Francesco Ricapito Giugno 2016
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