Roland Rugero è nato in Burundi. “Vivi!” è il suo secondo romanzo. Nel 1993, a causa della guerra, la famiglia di Rugero ha scelto di lasciare il Burundi per approdare in Ruanda prima, in Tanzania poi. Ma, evidentemente, la guerra è rimasta nelle fibre e nella mente del giovane scrittore. Infatti la storia che racconta in “Baho!” (titolo originale di “Vivi!”) è intrisa degli orrori e della violenza che ha devastato il suo Paese per un decennio. I segni di una guerra del genere non si cancellano facilmente perché restano impigliati, volenti o nolenti, nei corpi, nei pensieri, nelle paure di chi l’ha vissuta. “La guerra era riuscita a dissociare l’umano dallo spazio, perché aveva svelato con terrore che l’uomo dispone di spazio solo attraverso la sua storia e la sua cultura; violandoli, lo spazio svanisce, l’uomo fugge e allora è retto dai grugniti del suo ventre, dalla paura e dalla fame. Ritorna la bestia errante che percorre giorno e notte la foresta. La guerra aveva messo a nudo lo sguardo dei burundesi“.
Rugero ricorre ad una scrittura evocativa ed immediata. Frasi brevi ed incisive che trapassano la pagina e toccano in profondità il lettore. A rendere il tutto ancor più gradevole, qualche traccia dal sapore lirico che personalmente non posso non apprezzare. Le descrizioni sembrano, a volte, allontanarsi intenzionalmente e ineluttabilmente dal seminato. La storia si amplia e poi si restringe, si dilata per poi tornare a concentrarsi di nuovo. Passaggi e mutazioni che, forse, possono risultare vagamente destabilizzanti.
I personaggi attorno a cui ruota la storia sono fondamentalmente due. Il primo incontro è quello con una vecchia guercia. Una vedova che pascola i suoi agnelli, un’anziana saggia che parla poco e pensa fin troppo. Il suo occhio sinistro funziona a meraviglia, il destro per niente. “Ora sapeva che la vita le aveva concesso un solo occhio per gioire con lentezza e discrezione dei frutti che avrebbe partorito. Quanto le era gradevole il ricordo di quei tempi! Il suo unico rimpianto era quell’occhio che si era spento troppo presto. Tutto il resto era trascorso in pace: ciò che è proprio dell’uomo e del tempo, i cicli della vita, la lentezza e la sicurezza. Gli obiettivi raggiunti: un buon matrimonio, più tardi le figlie sposate, la proprietà del marito sempre prospera…“.
Il secondo personaggio si chiama Nyamuragi, il muto. Lo incontriamo mentre fugge. Sta scappando da una torma di persone che vuole acciuffarlo. Magari anche linciarlo. Il perché lo capiremo da lì a poco perché, nel frattempo, Roland Rugero si prende tutto lo spazio e tutte le pagine che vuole per introdurci al passato del giovane muto. Orfano di guerra, lui come tanti. Immerso in un silenzio che tutti conoscono e che qualcuno, in passato, ha persino pensato di poter guarire. “Nyamuragi non capisce come mai lui sia muto! La mascella funziona, la lingua pure, si tratta solo di produrre un suono chiaro e udibile, delle parole e delle frasi sensate. Quando era ancora piccolo, a quattro anni, sua madre l’aveva portato da un parente dalle conoscenze utili e vaste per avere una diagnosi della malattia. E il verdetto fu: il ragazzo è sano, semplicemente non vuole parlare! Non c’era niente da aggiungere, quella era la verità“. E dunque, tornando alla nostra storia, perché il muto scappa? La risposta ha la stessa radice di un equivoco. Nyamuragi ha semplicemente mal di pancia. A lui piace molto mangiare, ma forse ha bevuto troppa acqua. Vorrebbe solo un posto per potersi liberare le viscere. Si avvicina a Kigeme, una ragazza di quattordici anni che si trova accanto al ruscello, per chiederle di condurlo fino ad una latrina ma lei fraintende. “Nella mente della ragazza si presentano all’istante immagini dell’amica stuprata alcune settimane prima! L’amica le aveva raccontato di quello sguardo fisso, di fuoco, di quelle pieghe sulla fronte, di quelle mani che ti afferrano repentinamente, con violenza e desiderio…“.
Nyamuragi non sa parlare e non può spiegare. Può soltanto correre per tentare di sfuggire al gruppo di persone richiamate dalle urla di Kigeme. L’innocenza del muto non è dimostrabile. L’equazione popolare è chiara: se fugge è colpevole. La folla diviene senza volto. Non ha occhi per vedere né orecchie per ascoltare. Intende e vede quel che vuole intendere e vedere. Per Nyamuragi, quindi, nulla di buono. Si fa catturare e pestare. Non può chiarire l’equivoco. Dalla sua bocca pesta esce un solo suono che somiglia ad “ejo”. Una parola strana “ejo” in lingua kirundi perché vuol dire domani ma pure ieri. “Domani e ieri, due tempi diversi, un solo vocabolo per designarli. Due luoghi, lo stesso nome. Di conseguenza l’uno e l’altro, oppure si tratta di un’imperfezione linguistica? O “domani” e “ieri” si fondono, poiché contengono due chimere: passato e futuro. O ancora non si è riusciti a trovare una parola migliore per designare sia il contenuto di un tempo trascorso, sia quello di un tempo che verrà. Dimenticanza? Errore?“… “Il tempo e l’uomo: i nostri antenati forse si sono chiesti: cosa vive l’uomo? Il passato? No, poiché è solo un ammasso di ricordi. Tutt’al più lo si rivive. Il futuro? Ahimè! Neanche, poiché sono solo delle supposizioni, tutt’al più lo si può sognare.L’uomo e il tempo sono uniti dal presente, così avranno concluso!“. E’ per questo che “ejo” può anche bastare.
Roland Rugero condensa in sé il senso di quell'”ejo”. Lui stesso è portatore simultaneo di passato e futuro. Sarà anche per questo che il suo “Vivi!” è un libro disseminato di proverbi e altre frasi in kirundi ma è stato scritto in lingua francese. Le radici indimenticate della propria terra e l’apertura verso qualcosa che proietta molto più avanti nello spazio e anche nel tempo.
Edizione esaminata e brevi note
Roland Rugero, “Vivi!”, Edizioni Socrates, Roma, 2013. Traduzione dal francese di Giorgio Tognola. Postfazione di Giuseppe Sofo. Titolo originale: “Baho!” (2012).
Pagine Internet su Roland Rugero: Twitter / Babel Festival (scheda) / Vents d’ailleurs (scheda)
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