“Un eremo non è un guscio di lumaca, e io non mi ci sono rinchiusa; ho solo scelto di vivere la fraternità in solitudine. […] Non si sceglie la solitudine per la solitudine ma per la comunione, non per star soli ma per incontrarsi, in un modo diverso, con Dio e con gli uomini“. L’eremitismo, così come lo ha inteso Adriana Zarri, è un po’ diverso dal solito. L’eremita, secondo un diffuso cliché, è una persona che si isola completamente dal mondo, si astrae da ciò che lo circonda, si separa dagli altri esseri umani in una logica di rinuncia e, spesso, di rifiuto. Adriana Zarri, invece, ha compiuto una scelta differente: non si è isolata, non si è separata, non si è chiusa al mondo e mai lo ha rifiutato. Ha semplicemente optato per la via della solitudine per poter vivere a modo suo la comunione con gli altri, Dio compreso. Per questo nel 1975 ha scritto una sorta di lettera circolare agli amici nella quale spiegava il suo desiderio di farsi eremita: “Dal prossimo 7 settembre non abiterò più ad Albiano[d’Ivrea, ndr]. Mentre vi invito a prendere nota del mio nuovo indirizzo, vi comunico che non si tratta di un trasloco dovuto a motivi pratici ma di una scelta di vita eremita. La mia nuova residenza sarà infatti una vecchia cascina solitaria, dove trascorrere i restanti anni della mia vita nella preghiera e nel silenzio“. La cascina a cui fa riferimento è il “Molinasso”, presso Fiorano Canavese.
“Un eremo non è un guscio di lumaca” include principalmente gli scritti di “Erba della mia erba”, libro pubblicato per la prima volta nel 1981 da Cittadella Editrice nel quale la Zarri aveva raccolto buona parte delle “Lettere dall’eremo” che uscivano ogni quindici giorni sulla “Rocca”. A questi scritti, Einaudi ha affiancato altri resoconti di vita, riflessioni e brani che l’autrice ha recuperato tra le sue carte. Alcuni editi, alcuni inediti. L’eremita e scrittrice ha lavorato alla realizzazione di “Un eremo non è un guscio di lumaca” (titolo che lei stessa ha scelto) ma poco prima che il libro venisse stampato, nella notte tra il 17 e 18 novembre 2010, la Zarri si è spenta. Dei suoi 91 anni ne ha trascorsi 35 da eremita.
Al “Molinasso” Adriana Zarri ha vissuto parecchi anni. Nei suoi scritti racconta con la forza strabiliante della semplicità i suoi quotidiani impegni: l’immancabile e spesso faticoso lavoro in casa, la cura degli animali, l’attenzione per l’orto e per il giardino. Ma nelle giornate di Adriana c’è sempre, immancabile, la preghiera. Un atto spontaneo e necessario che lei vive, come fa col resto, secondo le proprie esigenze e disposizioni. Prega nella piccola cappella che ha allestito nella cascina, ma anche all’aperto: “Forse pregherò fuori, anziché in cappella. Amo il tempio desacralizzato del mondo, proprio perché amo il mondo e lo trovo cattedrale degnissima di Dio. Forse mi stenderò sul prato, a braccia aperte come a chiamare il cielo. […] Certo verrà Selù a leccarmi le mani e i tacchinotti bianchi e domestici a beccarmi il vestito. Si lasciano prendere il collo e baciare sulla testina rossa e ossuta. Non sono belli ma fanno tenerezza. Distrazioni? Sì, potrebbe essere; ma non necessariamente. Possono essere anche il tessuto del nostro incontro con Dio“. Il legame che la Zarri ha con il mondo vivente è fortissimo e pregno di una sacralità che sa di ancestrale. A tratti la sua passione e il suo riguardo per le creature, siano esse piante, animali o uomini, sembra conformarsi ad una dimensione panica. Nel suo affetto per il gatto Malestro, per la cagna Selù, per la gratitudine che prova verso i conigli, le anatre, i tacchini o le galline non può non reperirsi qualche traccia del Francesco del “Cantico delle Creature”.
La solitudine di Adriana Zarri, come detto, non è sorda chiusura agli altri. Nel suo eremo accoglie persone che vogliono avvicinarsi con delicatezza e rispetto al suo silenzio e alla sua contemplazione. Non ama i curiosi invadenti né gli scettici ad ogni costo. Legge i giornali, cura la corrispondenza coi suoi lettori, possiede una radio e persino un piccolo apparecchio TV a pile ricevuto in regalo. Nei numerosi testi raccolti in questo libro Adriana Zarri si sofferma spesso sulla dimensione “agreste” della sua esperienza: “Se scrivo di campi e di animali è perché intendo dare un resoconto della mia vita. Questo mi è stato chiesto e questo faccio. Aggiungerò anche che la mia vita è così fatta perché così l’ho voluta, e non soltanto come specificità monastica ma anche come collocazione ambientale“. Lei si definisce un’eremita (o donna monaco) di campagna ma ha totale rispetto per gli altri eremiti.
Vivere da sola in una cascina isolata è spesso complicato. L’inverno è terribilmente freddo ma alla Zarri basta poter mantenere una temperatura di undici o dodici gradi. Si copre di maglie e maglioni, si addormenta con la sua gatta a scaldarla e gioisce come una bambina quando qualcuno le regala una stufa e delle lucerne a gas. Al Molinasso anche la luce elettrica arriva tardi e come un piccolo miracolo. La stagione fredda è la più dura ma è anche quella in cui il silenzio si fa maestro. “D’inverno un uomo solo, se non ha qualcosa dentro o qualche lavoro nella mani, diventa nevrotico. Se ha l’uno o l’altro o, meglio, entrambi, conosce una splendida esperienza di interiorità“.
Il libro procede con il procedere delle stagioni. E le stagioni si contano con gli anni. Dopo il Molinasso, Adriana Zarri vive un po’ smarrita ma poi le viene offerta un altro tetto. Le viene permesso di abitare una proprietà diocesana abbandonata denominata Cà Sàssino, una casa al limite di un borgo, nel torinese. “Il paese finisce con la mia casa e al di là comincia la campagna. La mia nuova dimora non ha tante stanze, ne ha una soltanto: un locale bellissimo e abbastanza antico“. E lì recupera il suo spazio e il suo silenzio. Le rose antiche che tanto ama, i suoi animali, l’orto e anche alberi da frutta. A Cà Sàssino la donna monaco incontra numerose persone. Arrivano per “discutere, pregare, mangiare e a stare con me, immersi in una particolare bellezza“.
“Un eremo non è un guscio di lumaca” è un libro che ho amato fin dalle primissime pagine. L’ho comprato in una libreria enorme, piena di scaffali e persino rumorosa. Sono sincera, mi ha colpito la foto di copertina: quel volto sorridente di donna e il bel gatto che abbraccia. Non sapevo chi fosse Adriana Zarri né che esperienza di vita avesse deciso di compiere. Grazie a questo libro ho incontrato una donna straordinaria (in senso letterale), una figura magnifica e commovente; una scrittrice solida, impavida e tenace; una pensatrice colta ed appassionata. Ho scoperto una dimensione esistenziale che pensavo quasi impossibile ai nostri tempi. Guardo alla Zarri con ammirazione e con un po’ di invidia: vorrei avere la sua forza e la sua fede. Di questo libro ho amato il candore rassicurante ma anche il rigore gioioso e costruttivo di chi osserva e misura il mondo senza accettare manipolazioni né troppi compromessi. La Zarri è un’anticonformista, anche se qualcuno la reputa una snob. La sua potenza è nella consapevolezza delle sue posizioni: “La mia è una firma scomoda, fastidiosa, spero non odiosa, ma certo da molti, odiata. E nel clima civile ed ecclesiale che stiamo vivendo la carta disponibile per la libertà è scarsa. Certo, se stessi “nel giro”, se mendicassi recensioni, se coltivassi relazioni utili – critici, direttori di giornali, giurie di premi letterari – le cose potrebbero anche andare meglio; ma sono pratiche che non so fare…“.
Edizione esaminata e brevi note
Adriana Zarri è nata il 26 aprile del 1919 a San Lazzaro di Savenna, in provincia di Bologna. Ha vissuto la sua infanzia in una casa che era anche il mulino ad acqua di suo padre. In giovinezza è stata dirigente dell’Azione Cattolica ed è divenuta giornalista pubblicista nel 1952. Ha vissuto in diverse città italiane, soprattutto a Roma, ma poi, dal 1975, ha scelto di vivere in solitudine prima al Molinasso, poi a Cà Sàssino in Piemonte. Ha scritto e collaborato con diverse testate: “L’Osservatore Romano”, “Rocca”, “Studium”, “Politica oggi”, “Rivista di teologia morale”, “Settegiorni”, “Il Regno”, “Concilium”, “Servitium”, “Adista”. Ha scritto per “Micromega” ed “Avvenimenti” oltre ad aver curato la rubrica domenicale “Parabole” pubblicata all’interno de “Il Manifesto”. E’ stata un’apprezzata teologa, spesso piuttosto critica nei confronti del potere ecclesiale. In occasione dell’approvazione della legge sull’aborto si è schierata apertamente a favore e ha sempre preso le distanze da movimenti come l’Opus Dei o Comunione e Liberazione. E’ stata ospite televisiva di Michele Santoro in “Samarcanda” e del programma radio “Uomini e Profeti” di Radio Tre. Nel 2004 è stata candidata alle elezioni europee tra le fila di Rifondazione Comunista. E’ autrice di diversi libri e qualche romanzo. Tra le sue opere: “E’ più facile che un cammello”, “Il figlio perduto”, “Dodici lune”, “Quaestio 98. Nudi senza vergogna”, “Nostro Signore del deserto”,” Il Dio che viene”, “Vita e morte senza miracoli di Celestino VI”, “Erba della mia erba”, “La gatta Arcibalda e altre storie. Riflessioni sugli animali e sulla natura”. Adriana Zarri è scomparsa il 18 novembre 2010.
Adriana Zarri, “Un eremo non è un guscio di lumaca“, Einaudi, Torino, 2012. Con uno scritto di Rossana Rossanda.
Pagine Internet su Adriana Zarri: Wikipedia / Intervista di Enzo Biagi (video) / Enciclopedia delle Donne / Fine Settimana (raccolta articoli) / Uomini e Profeti (mp3 Radio 3)
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