MOSKOWITZ BETTE ANN – “Ma tu chi sei? Alzheimer, la sindrome del tramonto
Che cosa si prova quando un genitore anziano inizia a perdere la memoria? Come gestirlo, come assisterlo, come comportarsi?
Questo libro nasce dall’esperienza vissuta dall’autrice e da sua sorella – per fortuna erano in due, così hanno potuto scambiarsi pareri e alternarsi nell’assistenza – quando la loro madre, ottuagenaria, si è malata della sindrome di Alzheimer e ha incominciato a manifestare segni sempre più evidenti di declino mentale.
Man mano che la malattia si aggrava e si fa sempre più evidente, si rende necessaria una maggiore assistenza (tra l’altro le figlie abitano lontane dalla madre) fino al ricovero definitivo in una casa di riposo.
Alle considerazioni sui problemi più pratici e logistici si avvicendano parti narrative, che riportano i dialoghi con la madre, la quale alterna sprazzi di lucidità, in cui non sembra neppure malata, a momenti di demenza assoluta.
L’argomento scelto non è certo facile, soprattutto perché a scrivere è un familiare così stretto della persona malata, per cui risulta difficoltoso anche solo ammettere e accettare una realtà simile, decidere poi della sorte di chi, in passato, ha spesso scelto per noi, diventa ancora peggio, specialmente se questa persona ha avuto un carattere forte.
“È innaturale dire a un genitore che cosa deve fare. Riconoscere che tua madre non è più al meglio delle proprie facoltà cognitive è un sovvertimento delle regole, sleale e spaventoso come l’inferno”.
L’autrice ha l’indiscutibile merito di parlare chiaro, di dare molte indicazioni pratiche, che possono tornare utili a chi si trovi a vivere situazioni analoghe e di riuscire, proprio attraverso l’andamento cronachistico del testo, a controllare il dolore che questo tipo di realtà provoca.
Se è naturale e accettabile che i genitori muoiano prima dei figli (è, in qualche modo nell’ordine delle cose, almeno per noi), lo è molto meno che la morte sia preceduta da questo ribaltarsi delle parti, per cui chi ci ha generato ed è stato, per un certo periodo, quasi un semidio ai nostri occhi, regredisce a una fase infantile o comunque non è più in grado di decidere per sé e ci obbliga a scelte difficilissime. “Mettere via” un genitore non è una decisione né banale, né scontata, può diventare l’unica scelta possibile, ma non se ne esce mai indenni.
Come in molti altri casi si delinea anche per l’autrice e per sua sorella la necessità di trovare una struttura residenziale di assistenza per la madre e, contemporaneamente, di chiudere la sua casa, smantellando – con lei ancora in vita – tutto il suo mondo, fatto di piccole cose, oggetti, ricordi, “la dolcezza delle faccende di ogni giorno”.
Inizia così per madre e figlie la nuova vita , destinata a peggiorare, nella casa di riposo, segnata da tempi e ritmi che chiunque abbia frequentato questi ambienti anche solo per un po’ conosce benissimo. Sembra che queste strutture abbiano aspetti in comune a qualsiasi latitudine (la Moskowitz è americana).
È il tempo delle visite – un’ora a settimana per figlia, nonostante i sensi di colpa e il malessere che l’ambiente suscita – della biancheria persa o distrutta dalla lavanderia comune, degli orari fissi, delle attività ricreative volte a rallentare l’inesorabile declino. La madre appare sempre più smarrita nelle nebbie dell’Alzheimer, ma la figlia cerca sempre di ritrovare qualcosa di lei, del suo passato carattere nei suoi comportamenti. Le visite sono difficili da sostenere più per la figlia che per la madre, perché il dispendio emotivo è molto forte.
“Per un visitatore, questo non è un posto sicuro. Ogni volta non sappiamo che cosa ci sia in serbo, ma è palpabile, continuamente, l’impressione che stia per accadere qualcosa – la sensazione che in ogni momento qualcuno possa fare qualcosa proprio di fronte a te, proprio nel tuo campo visivo, proprio sul tuo piede. Come può trasmettere sicurezza questa visione in prima fila di una vecchiaia fragile e colpita dalla demenza senile, questa continua testimonianza della “traversata” di mia madre?”
Riguardo all’istituto, ne vengono descritti i ritmi, gli aspetti cui fare attenzione (il personale preposto all’assistenza in primis), gli ospiti e le loro fissazioni, ma naturalmente l’attenzione è puntata soprattutto sulla figura materna, che nel finale pare dissolversi in lontananza per andare incontro alla sua sorte.
Vivendo un’esperienza per certi versi somigliante e quella della Moskowitz – e da figlia unica – devo dire che questo libro non mi ha detto niente che già non sapessi sulle strutture assistenziali e le loro dinamiche, ho piuttosto ritrovato pensieri comuni, temo, a chi si ritrova in queste situazioni. Riguardo l’Alzheimer ho scoperto particolari che non conoscevo e constatato, da ciò che scrive l’autrice nella postfazione, quanto siano diffusi casi simili e quanto siano sofferte le decisioni che si prendono.
Sarebbe stato interessante che la Moskowitz si soffermasse di più sulle storie degli ospiti della struttura, un vero microcosmo, carico di dolenti figure umane, che però hanno visto molto, hanno inciso nella realtà del loro tempo, anche se ora sono solo il simulacro di ciò che erano una volta.
Articolo apparso su lankelot.eu nel gennaio 2014
Edizione esaminata e brevi note
EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE
Moskowitz Bette Ann (New York 1940), scrittrice e insegnante di scrittura creativa americana. Ha pubblicato saggi, romanzi, racconti, poesie, canzoni e commedie.
Moskowitz Bette Ann, “Ma tu chi sei?” Alzheimer, la sindrome del tramonto, Roma, Exòrma 2013. Traduzione di Gabriella Bacelli. Titolo originale “Do I know You?”
Link: http://www.betteannmoskowitz.com/index.htm
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