“Una cima raggiunta è il bordo di confine tra il finito e l’immenso”.
Mosè ha raggiunto la cima del monte Sinai e ha parlato con il Signore.
Mosè è uno scalatore, tornato stordito e confuso all’accampamento dopo cinque settimane, non ricorda chi è, è sfinito, la sua memoria funziona a strappi, per blocchi d’immagini: l’incontro al pozzo con la futura moglie, l’acqua dalla roccia, la sorgente.
L’uomo che ha condotto il popolo ebraico fuori dall’Egitto si ritrova nello stato di chi è appena nato e non ricorda niente della vita prenatale nel grembo materno.
Attorno a Mosè ci sono i volti di sua moglie, che lui chiama Rondine e di suo fratello maggiore Aronne, che per anni è stato il suo custode.
Erri De Luca ci offre qui una sua personale lettura delle pagine bibliche dedicate ai dieci Comandamenti, dandoci un ritratto molto umano di Mosè e allargando le sue osservazioni a tutto il popolo ebraico, un popolo che vede grandi epifanie del suo Dio e che promette obbedienza –“Faremo e ascolteremo” – stupito e ammirato dal “dito scalpellino” che incide le parole nella roccia, tra fumo e fuoco.
Dieci sono i Comandamenti, come dieci furono le piaghe con cui venne colpito l’Egitto e dieci sono le dita delle mani, per poter tenere a mente i precetti.
“Le mani stanno innanzi all’uomo, gli reggono il lavoro, il verbo fare. E le parole fanno l’uomo, gli stanno davanti, lo guidano oppure lo smarriscono”.
Come di consueto De Luca traduce direttamente dall’ebraico e interpreta il testo sacro in modo originale e approfondito, richiamando, com’è giusto fare, altri episodi della Scrittura.
Dice uno dei Comandamenti: “Ricorda il giorno di shabbàt”. Non è un semplice invito a rispettare il sabato in modo formale e farisaico, ma un’esortazione a ricordare il primo giorno di shabbàt del mondo, quando anche Elohìm si riposò e cessò da ogni suo lavoro. Ci sono tutto lo stupore e l’incanto di Adàm e Havà, prime creature umane, per quel silenzio, per quella notte straordinaria – la notte primigenia del mondo creato – in cui si conobbero carnalmente.
“Ricorda il giorno di sabato, iniziato la sera del sesto, prolungato nell’insonnia amorosa, nel breve sonno sazio, nel risveglio a giorno canterino. Quello è shabbàt, di quello avrai ricordo”.
Non è un invito a fare gite o scampagnate, è il giorno della terra, “che resti per un giorno senza passi, sgombera di te”.
Shabbàt è “l’esecuzione di un ricordo, di quando senza annuncio né segno si fermò la creazione del cielo e della terra”.
Le pagine di De Luca sono dense di poesia e di rispetto, umanissime e mostrano i dieci Comandamenti come un testo che sa leggere nel cuore dell’uomo, scoprendone le debolezze, i difetti, le malvagità, ma mostrando anche come sia possibile rimediarvi, tracciando un cammino umanizzante e degno.
“Non desidererai casa di tuo compagno. Non desidererai donna di tuo compagno”.
“L’ammirazione è un sentimento lieto che si rallegra di un bene posseduto da altri, fa bene al sangue e al sorriso, è un fischio di congratulazione, un applauso degli occhi. Non ti è chiesto di togliere lo sguardo, non devi censurarti una bellezza. Resta nel tuo punto di ammirazione, senza spinta a voler subentrare nel possesso. Ciò che è tuo, anche se poco, è la tua primizia”.
Il popolo ebraico ascolta e accetta la legge del suo Dio, De Luca ci mostra le reazioni degli uomini e delle donne, più pratiche, attente a osservare i loro compagni agitati e commossi. Alla fine si congedano tutti dal Sinai con la consegna finale, quella che le riassume tutte: “E amerai”, impegno per il presente e viatico verso il futuro.
Rimane l’autore, che si autodefinisce come straniero ai margini dell’accampamento. De Luca non è ebreo, né intende diventarlo, ammira molto questo popolo e la sua cultura, ne condivide la dimensione del viaggio, non l’arrivo, né le preghiere, né il culto. Come forestiero si accampa appena fuori dal recinto e spesso viene invitato da questi compagni di cammino.
“L’ebraismo è stato per me pista carovaniera di consonanti accompagnate sopra e sotto il rigo da uno svolazzamento di vocali. Tra un rigo e l’altro, nello spazio bianco, governa il vento. È la voce riunita di tutti quelli che hanno aggiunto in margine un commento. La scrittura ebraica finisce con: «vaiàal», e salì. Invece io scendo qui”.
Articolo apparso su lankelot.eu nell’ottobre 2013
Edizione esaminata e brevi note
EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE
Erri De Luca (Napoli 1950) scrittore italiano.
Erri De Luca, E disse, Milano, Feltrinelli 2013.
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