Un romanzo, un mémoire, un’autobiografia, una saga familiare, una denuncia, un resoconto storico. Dentro “Non piangere” c’è tutto questo. E forse qualcosa in più, per chi sa leggerlo e scovarlo. Lydie Salvayre ha il talento e l’ispirazione delle buone scrittrici, ha l’originalità e la forza di chi è nata per raccontare. In “Non piangere” (premio Goncourt) la scrittrice francese, dalle inequivocabili radici spagnole, ha saputo mescere ed incastrare due grandi storie: quella tutta personale, per questo intima e speciale, di sua madre Montse e quella sicuramente più famosa, ma altrettanto intima e speciale, che Georges Bernanos ha affidato a “I grandi cimiteri sotto la luna“. Ascoltare i ricordi vividi e lucenti di una madre ormai anziana e leggere, contestualmente, il pamphlet del celebre scrittore spagnolo. “La ascolto sciorinare i suoi ricordi e intanto leggo I grandi cimiteri sotto la luna di Bernanos che mi offrono un quadro più completo e più cupo di quello stesso periodo. Cerco di decifrare le ragioni del turbamento che questi due racconti suscitano in me, un turbamento che temo possa condurmi dove non avevo nessuna intenzione di andare. Per essere più precisa, è come se dentro di me si fosse aperta una diga di cui ignoravo l’esistenza e da cui ora, a mano a mano che la rievocazione procede, tracimano sentimenti contraddittori e, francamente, piuttosto confusi. Mentre il racconto di mia madre sull’esperienza libertaria del ’36 mi suscita nell’animo una sorta di meraviglia, di gioia infantile, le atrocità descritte da Bernanos, ritrovatosi faccia a faccia con la notte degli uomini, con il loro odio e con la loro furia, contribuiscono ad accrescere il mio timore che prima o poi a qualche stronzo venga in mente di riproporre certe idee malsane che credevo sopite ormai da molto tempo“.
Spiegare la storia della Spagna degli anni ’30 del XX secolo è un compito arduo. Farlo attraverso la letteratura diventa forse un po’ più agevole purché si abbiano le capacità. E la Salvayre sembra averle. Le parole di Montse, rievocate in un idioma meticcio di francese e spagnolo, ricordano tempi in cui anche nei piccoli villaggi i contrasti tra i libertari repubblicani, i nazionalisti di Franco e i socialisti seguaci di Lenin erano spesso destinati a sfociare nella brutalità e nella violenza più abietta con il silenzio placido e servile del clero. Lo sguardo di Montse, allora quindicenne, viene ad affiancarsi e sovrapporsi a quello che Lydie ritrova ne “I grandi cimiteri sotto la luna”. Bernanos, inizialmente favorevole alle insurrezioni della Falange, nella quale anche suo figlio si era arruolato, comprende che quel che accade nel suo Paese, nella sua Maiorca, non ha nulla di innovativo, nulla di edificante, nulla di buono: “Vede i nazionalisti procedere all’epurazione sistematica di tutti i sospetti, con il beneplacito degli alti prelati che, fra un assassinio e l’altro, concedono loro l’assoluzione nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Ormai la Chiesa spagnola è diventata la Puttana dei militari epuratori“. L’atto di denuncia è implacabile. Le parole della Salvayre, affiancate a quelle di Bernanos, non lasciano scampo, non consentono alcuna discolpa.
Eppure per la giovanissima Montse l’estate del 1936 è e rimane la più bella e sognante della sua vita. Motivo semplice: conosce un giovane poeta francese, bello come un dio e romantico come pochi, che la farà innamorare in pochi istanti e che, prima di andare ad arruolarsi e forse a farsi ammazzare, le lascia in grembo una creaturina e un’onta da dover cancellare con un matrimonio frettoloso. Montse sposa Diego, nemico acerrimo, personale e politico, di suo fratello José. Un dissidio tutto maschile che Lydie Salvayre, da ex psichiatra, analizza e descrive fin nelle viscere.
La “rabbia” spagnola della Salvayre trasuda da molte pagine, così come il suo senso di giustizia e la comprensione critica di molti eventi. Fortunatamente il senso dell’ironia arriva spesso a stemperare e a mitigare la narrazione di accadimenti di grande tragicità e ferocia. C’è comunque estrema lucidità e c’è sempre, immancabile, l’amore per una madre che seppur seduta su una sedia a rotelle, impegnata a guardare dalla finestra dei bambini che giocano, mantiene nello sguardo la vitalità e la vivacità della quindicenne che è stata. Alla valenza politica e storica di “Non piangere” va ad affiancarsi quella più puramente affettiva e familiare, creando così un connubio assai affascinante e riuscito.
Edizione esaminata e brevi note
Lydie Salvayre è nata ad Autainville, vicino Tolosa, nel 1948 da genitori esuli spagnoli arrivati nel sud della Francia dopo la fine della guerra civile spagnola. Lydie Salvayre ha ottenuto una laurea in Lettere ma, pochi anni più tardi, ha scelto di iscriversi alla Facoltà di Medicina, specializzandosi in psichiatria a Marsiglia, dove ha lavorato per molti anni. Le sue prime esperienze di scrittura arrivano verso la fine degli anni ’70 ma riesce a pubblicare sono nei primi anni ’80. Il primo romanzo della Salvayre arriva quando la psichiatra/scrittrice ha 44 anni. Grazie a “La dichiarazione”, nel 1990, conquista il premio Hermès, mentre con “La compagnia degli specchi”, nel 1997, ottiene il premio Novembre e conquista la platea internazionale. Nel 2014 Il romanzo “Non piangere” le è valso il Premio Goncourt.
Lydie Salvayre, “Non piangere“, L’Asino d’Oro, Roma, 2016. Traduzione di Lorenza Di Lella e Francesca Scala. Titolo originale “Pas pleurer”.
Pagine Internet su Lydie Salvayre: Wikipedia (fr) / Internazionale / Premio Goncourt (Europa Quotidiano) / Republique des Lettres (fr)
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