Camping poco fuori Sopela (vicino Bilbao), 18 agosto 2015
Passiamo la notte nel parcheggio dell’autogrill serenamente e senza imprevisti, verso le sei veniamo svegliati dalle prime luci dell’alba. Una rapida sgranchita alle gambe e poi siamo di nuovo in marcia verso San Sebastiàn, nostra prima meta giornaliera. Mentre il sole si alza lentamente vediamo che il cielo è parzialmente coperto e che siamo circondati da una serie di alte colline. Dopo meno di mezz’ora entriamo ufficialmente nei confini dei Paesi Baschi. Il cartello, è scritto in tre lingue: prima in basco, poi in spagnolo e infine in inglese. Apprendiamo che in basco questa terra si chiama Euskadi, “terra di coloro che parlano basco”, ma il dettaglio che più mi sorprende è la dicitura inglese, “Basque country”. La parola “country” in inglese significa principalmente “nazione”, tuttavia i paesi baschi sono solo una regione autonoma.
Le lotte dei movimenti indipendentisti baschi sono abbastanza note e la sigla ETA (Euskadi Ta Askatasuna, “terra basca e libertà”) si è radicata nella cultura popolare come sinonimo di violenza e lotta armata. Dopo aver passato nove mesi in una terra dove il nazionalismo è stato spesso usato come arma di aggregazione popolare, ora sono molto curioso di visitare una terra dove l’identità nazionale è ancora un qualcosa di serio e non solo una bandiera da sventolare in caso di vittorie sportive.
I baschi sono un popolo molto antico ed erano già qui da prima che arrivassero i romani. Durante il Medioevo la popolazione locale dimostrò più volte di non essere facile da controllare anche se la regione venne annessa al regno di Castiglia, l’operazione non fu comunque semplice e il re dovette garantire un certo grado di autonomia. Quest’approccio molto pragmatico fu una costante nella storia della regione. Il movimento ETA nacque durante il regime di Francisco Franco, il quale vietò l’uso della lingua basca e cercò di sradicare le tradizioni locali. La lotta dell’ETA per l’indipendenza completa dei Paesi Baschi continuò anche dopo la caduta del regime, fino al 2011, quando, dopo un numero di vittime accertato di circa 800 persone, i suoi dirigenti dichiararono una cessazione permanente delle attività armate. Questo tuttavia non fermò l’azione politica del movimento, che continua a sostenere l’autodeterminazione del popolo basco.
In poco più di un’ora arriviamo finalmente a San Sebastiàn, Donostia in basco. Le strade sono ancora semideserte e troviamo un buon parcheggio sotterraneo dove lasciare l’auto. Facciamo colazione con una fetta di torta alle mandorle scandalosamente grande ed un cappuccino più che accettabile per poi fare visita all’ufficio turistico dove prendiamo una mappa della città e chiediamo informazioni sui campeggi della zona. C’è solo l’imbarazzo della scelta, la costa settentrionale della Spagna è rinomata per le onde e i campeggi per surfisti sono numerosi e ben attrezzati.
Usciamo e cominciamo la nostra esplorazione della città: Donostia per secoli fu solo un piccolo villaggio di pescatori dove tra l’altro era praticata la pesca alla balena. La città sbocca infatti sul mare, che qui si chiama Mar Cantàbrico. Nel XIX secolo Donostia divenne una località di villeggiatura molto rinomata e spesso anche la famiglia reale venne qui durante i mesi estivi. Oggi la città è considerata una delle più dinamiche di tutto il continente: il numero di turisti è in continuo aumento, insieme a Breslavia in Polonia è stata dichiarata città europea della cultura per l’anno 2016 e in più, negli ultimi anni si è affermata come una delle capitali mondiali della gastronomia: stelle Michelin sono piovute copiose su molti dei suoi ristoranti e le sue strade sono zeppe di bar dove è possibile gustare infinite varietà di pintxos: si tratta della versione basca delle tapas e si possono definire come “alta cucina in miniatura”. In genere consistono in fettine di pane sopra al quale vengono sistemati gli ingredienti più disparati che hanno come limite solo la fantasia dello chef. Non so se siano nati prima i pintxos, le tapas o i cicchetti veneziani, ma a me, da profano dell’alta gastronomia quale sono, paiono tutte più o meno simili.
Dopo averne tanto letto non vediamo l’ora di assaggiare queste delizie locali, ma nel frattempo ci dirigiamo verso il lungomare: attraversiamo un ponte in chiaro stile art nouveau che attraversa il fiume Urumea il quale poco più avanti sfocia nel mare e in pochi minuti arriviamo a Playa de la Concha, considerata una delle spiagge cittadine più belle d’Europa. Sarà l’emozione di vedere l’Oceano, sarà la pacifica atmosfera mattutina, sarà l’eleganza del lungomare, ma m’innamoro istantaneamente di San Sebastiàn. Le acque della baia sono mosse dal vento e vediamo numerosi gruppi di surfisti che cercano d’intercettare le onde di passaggio. La marea è bassa e la spiaggia è molto larga, al centro della baia fa capolino l’Isla de Santa Clara, poco più di uno scoglio verdeggiante con un lungo molo che permette visite guidate in barca. Camminiamo sul viale del lungomare per tutta la sua lunghezza, arrivando all’altro capo della baia. Un vento tiepido e umido arriva dall’entroterra ma l’odore del mare è comunque predominante.
Torniamo indietro per visitare il monte Urgull, il quale delimita l’altro estremo della baia. Numerosi sentieri salgono verso la cima e attraversano le mura del castello, costruito qui per difendere la città. Dalla cima il panorama è splendido e la mia impressione di essermi innamorato di questa città non fa che rafforzarsi, in effetti la guida ci aveva avvertito di questo pericolo.
Una volta scesi andiamo verso la parte vecchia della città dove a quanto pare sono concentrati i locali con i pintxos migliori. La guida ha un buon elenco di locali consigliati e così camminiamo con la mappa in mano cercandoli uno ad uno e non riuscendo a scegliere. Noto che spesso alle finestre o nei negozi è esposta con orgoglio la bandiera basca: sfondo rosso chiaro, una “x” verde brillante e sopra a questa una croce bianca. Di bandiere spagnole nemmeno l’ombra. Il quartiere vecchio è molto turistico ma le sue stradine ricordano al visitatore che in origine la bella San Sebastiàn era un semplice villaggio di pescatori.
Non riusciamo a metterci d’accordo sul bar in cui entrare e così ci dividiamo dandoci appuntamento venti minuti dopo. Entro in uno di quelli più piccoli, più di metà del poco spazio è occupato dal gigantesco bancone, colmo all’inverosimile di queste bellissime opere d’arte in miniatura. Non so proprio cosa scegliere ma alla fine opto per una polpetta di baccalà, un crostino di jamòn con una salsa di funghi ed un altro con del patè di tonno. Sono veramente eccezionali e il loro unico difetto è che finiscono in fretta. Uno può anche mangiarli lentamente e gustarseli appieno ma in due morsi sono finiti. Preferisco uscire prima di dare fondo a tutte le mie risorse finanziarie e mi ritrovo con Giorgia, anche lei molto soddisfatta del suo pranzo.
San Sebastiàn ci ha stregati con il suo fascino e la sua vitalità ma dobbiamo rispettare un programma molto serrato, una volta recuperata l’auto in poco meno di un’ora arriviamo a Zarautz, cittadina balneare lungo la costa ad Ovest di San Sebastiàn. Troviamo facilmente un campeggio che ci aveva segnalato la ragazza dell’ufficio turistico e nonostante ci sia veramente molte gente hanno ancora qualche piazzola disponibile.
Nel corso degli ultimi giorni si è cominciato a creare una sorta di equilibrio e di divisione naturale dei compiti tra me e Giorgia. Per esempio abbiamo capito che dopo cena io preferisco lavare i piatti e lei invece rimettere tutto a posto. Lei inoltre da brava persona pratica ha dato un ordine abbastanza logico alle cose: tenda, cibo, stoviglie e piatti vari stanno tutti sui sedili davanti. Il resto nel bagagliaio, la metà sinistra con le mie cose e la destra con le sue. Se fosse stato per me ci sarebbe già stato disordine dal primo giorno.
Anche per montare la tenda abbiamo ormai una procedura standard: la srotoliamo insieme poi io comincio a piantare i picchetti ai quattro angoli del telo interno e lei invece monta i pali della struttura e comincia a farli passare dentro le asole del telo. Successivamente montiamo il telo interno insieme e poi io butto il telo esterno sopra la struttura. A questo punto Giorgia lega tra di loro i due teli annodando gli appositi spaghi mentre io pianto gli altri picchetti. Tempo di esecuzione: a volte anche dieci minuti, ma credo ci sia un ulteriore margine di miglioramento.
Finito con la tenda andiamo nella lavanderia del campeggio dove per pochi euro usiamo una delle lavatrici, ormai eravamo entrambi quasi senza vestiti. Facciamo neri e colorati, per i bianchi dobbiamo lavarli a mano nei lavandini, nulla di nuovo, in Tunisia ho vissuto per due mesi senza lavatrice. Per asciugare i vestiti diamo sfogo all’inventiva e allora ogni superficie o appiglio diventa un potenziale stendino: la tenda, i tiranti della tenda, le portiere aperte dell’auto, la siepe e l’albero che segnano il limite della nostra piazzola.
Quando finalmente abbiamo terminato i lavori “domestici” possiamo scendere in spiaggia a goderci il resto della giornata. Il campeggio è situato al limitare di un breve promontorio roccioso, per scendere in spiaggia è necessario percorrere un ripido sentiero con molti scalini ma il panorama che si gode dall’alto è veramente spettacolare: la costa Basca prosegue irregolare e verdeggiante fino all’orizzonte, insenature sabbiose si alternano ad altri promontori verdeggianti. Un vento tiepido spazza il promontorio ed increspa la superficie del mare.
La spiaggia è bella larga e, così come in Francia, è tutta libera e ci si può metter dove si vuole. Oltre a noi ci sono famiglie, gruppi di giovani e anche di meno giovani, ma la comunità più numerosa sono senza dubbio i surfisti: ce ne sono davvero tanti, sia in acqua che fuori. Le onde in effetti non mancano, anche se per me che sono abituato al piattissimo mare Adriatico il concetto di onda è sicuramente diverso da quello locale. Giorgia si distende subito al sole ma io sento il richiamo del bambino che è in me e devo assolutamente andare in acqua, operazione che si rivela più difficile del previsto per due motivi: l’acqua è freddissima e le onde sono più molto forti di quel che pensassi. Un’onda oceanica che arriva o anche che si ritira ha veramente la forza di trascinarti via. Mi limito a restare dove tocco il suolo ma mi diverto lo stesso a saltare le onde. I surfisti poco distante mi guardano impietositi.
Passiamo il pomeriggio a pisolare sulla spiaggia. Io faccio pure una passeggiata in paese per procurare la cena e due meritate birre. Zarautz è una normalissima cittadina balneare e in certi momenti mi sembra quasi di trovarmi a Jesolo o a Lignano, rinomate località balneari della costa Veneta e Friulana.
Mentre cuciniamo un magnifico tramonto colora tutta la costa e il mare, Giorgia però sembra essere di pessimo umore, deve aver ricevuto brutte notizie da casa e così dopo cena va subito a letto senza quasi dire una parola. Ripasso mentalmente tutto quello che è successo questo pomeriggio alla ricerca di una frase, un’azione, un gesto che posso aver fatto e che possa averla infastidita, ma non trovo nulla.
Questa sera avrei tanto voluto andare sul promontorio e bere le nostre birre godendoci il rumore dell’Oceano, non voglio perdere quest’occasione e così prendo le due bottiglie, una torcia, il mio quadernino degli appunti e vado da solo. L’idea di scrivere qualcosa d’ispirato e profondo stando seduti nel prato sopra il mare naufraga quando la pila mi si scarica. Anche stavolta non trovo il senso della vita o la risposta alle grandi domande dell’universo, però mi godo la situazione e respiro a fondo l’aria colma di salsedine e dell’odore di erba umida. Quasi mi dispiace tornare in tenda, ma la stanchezza si fa sentire le palpebre mi si stanno chiudendo da sole.
La sveglia suona presto il giorno dopo, abbiamo in mente di visitare alcuni dei villaggi della costa e di avvicinarci a Bilbao, città che vorremmo visitare domani. La prima tappa è a meno di venti minuti e si chiama Getaria: un bel villaggio medievale di autentici pescatori e il cui piccolo porto è protetto da un’isola boscosa chiamata dai locali El Ratòn perché pare che assomigli appunto ad un topo. Io sinceramente, non noto una gran somiglianza. Una statua nel centro città ci svela una bella curiosità su Getaria: qui nacque infatti uno dei primi uomini che circumnavigò la terra in un singolo viaggio, Juan Sebastiàn Elcano. Prese parte alla spedizione di Magellano e lo sostituì quando questi venne ucciso nelle Filippine nel 1521. Elcano portò a termine la spedizione attraccando nel settembre del 1522 nello stesso porto spagnolo dal quale erano partiti, due anni, undici mesi e diciassette giorni prima. Dei 234 uomini partiti, solo diciotto erano rimasti in vita e a loro spetta il primato di aver circumnavigato per primi la terra in un singolo viaggio.
Passiamo una piacevole ora a passeggiare per le viuzze di Getaria, alle finestre e ai muri ci sono molte bandiere basche ma anche altre, bianche con la mappa della regione e delle scritte che credo inneggino all’indipendenza. Altre ancora invece chiedono l’amnistia per qualcuno degli affiliati dell’ETA che ancora sta scontando la sua pena in carcere, nel 2015 erano ancora più di 400.
Pezzo forte del villaggio è la bella chiesa intitolata a San Salvador: stile gotico e costruita nel XIV secolo, non è molto grande ma ha una sua eleganza e un bellissimo ballatoio in legno che corre sopra le navate. Proprio qui, trovo una porta laterale da cui accedo a una scala; non sono sicuro che sia permesso, ma senza pensarci troppo salgo e mi ritrovo nella soffitta, dove vecchi mobili giacciono abbandonati insieme ad una vecchia ed inquietante statua di un santo che mi guarda con rimprovero. Trovo altre scale, ancora più strette e ripide delle precedenti e penso che ormai tanto vale andare fino in cima. Arrivo così sul soffitto, lungo un camminamento largo meno di mezzo metro che corre tra la base di questo e i due spioventi, passando sotto i contrafforti esterni. Il parapetto è alto circa trenta centimetri e quindi non è un posto molto sicuro. Con il cuore che batte rapido per l’emozione completo il giro del tetto, mi guardo intorno facendo attenzione che nessuno mi abbia visto e poi scendo soddisfatto. Torno da Giorgia con l’espressione del bambino che ha rubato la Nutella dalla credenza.
Lasciamo Getaria per dirigerci verso Lekeitio, altro villaggio di pescatori sulla costa. Qui troviamo un’atmosfera più “vacanziera”, il villaggio si è chiaramente votato al turismo e anche se possiede anch’esso un bel centro storico, non è all’altezza di quello di Getaria. Notevole e impossibile da non notare è la chiesa, la Iglesia de Santa Marìa de la Asunciòn, decisamente troppo grande ed imponente per questo piccolo villaggio di pescatori. Anche qui le bandiere basche sventolano un po’ ovunque. Camminiamo lungo la via pedonale che costeggia il porticciolo dove ci sono sia barche private che qualche peschereccio, in alcuni di questi gli equipaggi stanno ancora scaricando il pescato del giorno.
Consultando la guida troviamo un piccolo ristorantino con vista sul porto e ci concediamo un pranzo a base di calamari fritti, gamberi freschi e patatas bravas. Il porto di Lekeitio è protetto da un isolotto che forma così una baia riparata di fianco alla quale ci sono anche un paio di spiagge molto frequentate. Un piccolo faro indica l’entrata del porto e mentre passiamo una barca di pescatori esce e prende il largo. C’è sempre qualcosa di poetico, di antico e di nobile in una piccola barca di umili pescatori che lascia il porto per dirigersi verso il mare aperto. Lekeitio sarebbe un bel posto dove passare un paio di giorni, ma la nostra modalità di viaggio c’impone tappe forzate e così rimontiamo in macchina alla volta di Elantxobe.
La strada per il villaggio è decisamente poco frequentata e d’altronde questo minuscolo villaggio di 400 anime si trova abbastanza fuori mano, è però considerata una delle località più suggestive di tutta la costa e, come capiamo subito, a ragione. Non ho idea di chi sia stato il primo a cui è venuto in mente di costruire una casa qui, ma di certo si trattava di un bravo ingegnere: la conformazione della costa non è molto diversa dalle zone vicine, ripida e con molta vegetazione, ciononostante le abitazioni sono costruite con perizia e le strade presentano pendenze che in Italia si trovano solo sui passi alpini. Arriviamo da sopra, un belvedere ci regala una panoramica complessiva del minuscolo villaggio, che termina in un piccolissimo porto delimitato da barriere di cemento che lo proteggono da onde e correnti.
Una strada pedonale con molti scalini ci conduce fino al porto, il caldo è intenso e, a parte i bambini che si tuffano dalle barriere, non vola una mosca, c’è una generale atmosfera di siesta. Anche questo sarebbe un bel posto dove trascorrere un fine settimana di relax tra una nuotata e un pranzo a base di pesce. La costa basca si sta rivelando molto più bella di quel che pensassimo e ringrazio nuovamente il cielo (e mio padre) di avere una macchina a disposizione, perché senza non credo che saremmo mai arrivati qui.
La prossima tappa si chiama Mundaka ed è famosa per avere la migliore onda da surf di tutta l’Europa. Il villaggio infatti si trova alla foce del fiume Urdaibai, dove si è formato un banco di sabbia che favorisce la formazione di un’onda lunga e alta, delizia dei surfisti più esperti. La nostra speranza era di vedere questa famosa onda ma non ce n’è traccia. Troviamo però una graziosa chiesetta costruita al limitare di un piccolo promontorio: è circondata da un muretto di pietre a secco e da un prato verdissimo. Questi dettagli, insieme allo stile molto semplice della chiesa mi ricordano molto la campagna inglese. All’ombra del campanile due ragazzi con la chitarra improvvisano qualche canzone, mi siedo poco distante e li ascolto godendomi il sole che pian piano si abbassa verso il mare.
L’ultimo tratto di strada della giornata ci fa tagliare una parte di costa per arrivare a Sopela, poco fuori Bilbao. Rock fm, ormai la nostra radio spagnola di fiducia, ci accompagna con i grandi classici del rock, The House of the Rising Sun, canzone folk americana di cui s’ignora l’autore, passano la versione del 1964 degli Animals, quella più conosciuta e poi la mitica Jump, degli altrettanto mitici Van Halen.
Grazie alla mappa presa all’ufficio turistico troviamo in fretta il camping e sistemiamo la tenda. Alla fine abbiamo ancora il tempo per andare a fare un bagno nella spiaggia vicina, lungo il percorso le mie fidate ciabatte infradito che possiedo ormai da più di cinque anni, si rompono. Io mi affeziono alle cose ed è quasi sempre un trauma per me buttarle via, osservo un minuto di silenzio davanti al cestino in memoria delle mie compiante ciabatte.
La spiaggia è delimitata da due scogliere, come sembra essere la norma da queste parti. Un muro di roccia la delimita anche dietro e gli accessi sono assicurati da passerelle. Anche qui ci sono molti surfisti, facendo attenzione a non intralciarli ci buttiamo in acqua e giochiamo con le onde dell’Oceano. Anche oggi la stanchezza perde d’importanza rispetto all’emozione e alla soddisfazione di aver visitato posti magnifici e di aver percorso molti chilometri, con la consapevolezza di non sapere cosa avrà per noi in serbo il domani.
Links:
https://it.wikipedia.org/wiki/San_Sebasti%C3%A1n
https://it.wikipedia.org/wiki/Zarautz
https://it.wikipedia.org/wiki/Lekeitio
https://it.wikipedia.org/wiki/Mundaka
Francesco Ricapito, Giugno 2016
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