Dopo aver incantato pubblico e critica con le sue due opere a più ampio respiro (Tutto su mia madre, Parla con lei), nel momento più alto della sua brillante carriera Pedro Almodovar portò sul grande schermo un lungometraggio a cui aveva lavorato per circa un decennio. Probabilmente il suo film più sofferto, dalle suggestioni vagamente autobiografiche, La mala education non incontrò il favore della critica e né tanto meno quello del pubblico. In particolar modo per la distanza evidente, nei toni e nei contenuti, rispetto alle opere poco sopra citate, senza dimenticare l’intenso e vibrante Carne Tremula, pellicola immediatamente precedente a Tutto su mia madre. La mala education, mescolando più o meno direttamente differenti suggestioni e abbandonando totalmente la commedia e il grottesco, è una complessa e non sempre fluida commistione tra noir e sentimentalismo che sfocia inevitabilmente in un melodramma dalle tinte fosche che pone al centro della vicenda i temi dell’omosessualità e della “cattiva educazione” (da qui il titolo) delle istituzioni educative clericali durante gli anni del franchismo.
All’inizio degli anni Sessanta, in un collegio religioso, due bambini quasi adolescenti, Ignacio e Enrique, scoprono l’amicizia e i primi turbamenti sessuali. Ignacio però è costretto a subire le violenze sessuali di Padre Manolo, direttore del collegio: accortosi del legame tra i due ragazzi, Padre Manolo li separerà.
1980. Enrique, diventato un noto regista cinematografico, è in una persistente crisi creativa. Fino al momento in cui, un giorno, bussa alla sua porta un attore che dice di essere il suo amico di collegio Ignacio. Enrique lo trova molto cambiato, nei modi e nel fisico, ma accetta di leggere una sua storia autobiografica, “La visita”, che riporta il tempo indietro di quasi vent’anni per poi fermarsi nel 1977. Si parla del collegio, di Padre Manolo e di un bambino che da adulto è divenuto Zahara, un travestito cocainomane in cerca di riscatto e di ricatto. Ricatto nei confronti del prete che lo ha violentato. Enrique è colpito dalla storia autobiografica di Ignacio, tanto da volerne fare un film. Ignacio, che usa il nome d’arte Angel e che con quello vuole lo si chiami, insiste per voler fare la parte di Zahara. Ma Enrique non è convinto, sia perché Angel ha un fisico troppo massiccio per la parte, ma soprattutto perché colui che si fa chiamare Ignacio-Angel non sembra chi veramente afferma essere. E allora indaga, fino ad arrivare ad una parte della verità: Angel è in realtà Juan, fratello di Ignacio. Ignacio invece è morto, tre anni prima. Enrique non dice nulla all’aspirante attore, offre la parte ad Angel e ne diventa amante, fino al giorno in cui il film su “La visita” non è arrivato all’ultimo ciak. Epilogo del film: Padre Manolo, con l’aiuto di un confratello, uccide il travestito ricattatore Ignacio-Zahara. Ma il finale della pellicola non è identico alla realtà, se non nelle conseguenze. Enrique allora scoprirà una verità dolorosa e inattesa.
Film dalle infinite maschere e dai molteplici travestimenti, gioco di scatole cinesi, La mala educacion è un vero e proprio specchio degli inganni che si sforza, pur nella palese invettiva contro il potere clerico-franchista (non pronunciando mai la parola franchismo), di mantenere una certa equidistanza di giudizio. Impresa difficile, per il pur bravo e solitamente relativista Almodovar, perché l’argomento è più che mai sentito e l’opera proposta vuol essere una sorta di chiusura del cerchio, di resa dei conti col passato: col franchismo, con la chiesa, con la rigida educazione ricevuta. Per far ciò il regista madrileno perde inevitabilmente le distanze e dimentica l’umorismo, andando inoltre a confezionare l’opera più ideologicamente omosessuale della sua intera cinematografia. L’unica, a ben guardare, perché nel calderone almodovariano, a dispetto di ciò che i meno avvezzi al suo cinema possono immaginare, proprio l’ideologia, anche riferita agli aspetti riguardanti il genere e le preferenze sessuali, era stata sempre, felicemente assente. Queste componenti portate ad evidenza, queste implicazioni di carattere emotivo e inquietamente autobiografico, non hanno consentito che il film venisse fuori col solito respiro e con quella leggerezza, pur nell’evocare un dramma, che aveva caratterizzato gran parte del suo cinema precedente. Da ciò, come sarà facile intuire, la contrastata accoglienza (decisamente più negativa che positiva) della critica e la tiepidissima risposta del pubblico che aveva amato fortemente i suoi precedenti lungometraggi.
Ma adesso sgombriamo il campo da possibili equivoci. Non stiamo parlando affatto d’un pessimo film, tutt’altro. La mala educacion affascina soprattutto nella prima parte, quando l’intreccio è ancora nebuloso e quando viene filmata, con classe e con la consueta partecipazione emotiva, l’infanzia dei due bambini nel collegio. Si parte con dei titoli di testa intriganti, che riprendono iconografie religiose, su una musica depalmiana-hitchcockiana che ci cala subito in un’inconsueta atmosfera noir. A una prima parte che molto promette fa da contraltare una seconda che cade nel melodramma con artifici poco convincenti e un po’ troppo frettolosi. Se non fosse per la buona e camaleontica prova del messicano Gael Garcia Bernal e quella discreta del (volutamente?) poco espressivo Fele Martinez, l’epilogo reggerebbe ancora meno perché i comprimari sfiorano l’indecenza (soprattutto il vero Padre Manolo, ma anche il vero Ignacio, senza dimenticare la caricaturale prova del travestito amico di Zahara nella prima parte del film) e il gioco di specchi tra passato e presente, realtà e immaginazione letteraria, non è evidenziato da un uso intelligente del flashback. Un’opera metacinematografica che strizza l’occhio alla letteratura, che proprio nell’assemblare i generi – spesso pregio del regista madrileno – stavolta tradisce le attese.
A dispetto della marcata caratterizzazione dei temi cardine, che evocano vittime e colpevoli più riconoscibili rispetto alle pellicole del passato, La mala educacion non è un’opera insincera, proprio perché attinge dall’infanzia dell’autore. L’apparente morbosità dei motivi narrativi, che chiamano in causa senza mezzi termini la pedofilia dei preti (tema peraltro non nuovo alle cronache, nemmeno nel 2004), è diluita e dissimulata attraverso l’indagine – pur fuggevole perché non adeguatamente approfondita – della doppiezza dei personaggi sulla ribalta, a partire proprio dalla contraddittoria e comunque lucida parabola del protagonista, il quale non perde mai di vista i suoi obiettivi a dispetto degli ostacoli improvvisi che trova sul proprio cammino. Un film declinato totalmente al maschile, nel quale la “componente femminile” è costituita principalmente da travestiti e transessuali, se si eccettua la breve presenza in scena della mamma e della nonna di Ignacio e Juan. Una vicenda torbida, cui restituisce limpidezza lo sguardo angelico di Ignacio bambino, vittima della passione malsana di un prete e di un tempo difficile con il quale Pedro Almodovar, attraverso la storia narrata e il “sacrificio” del suo giovanissimo e sfortunato alter ego, sembra aver saldato ogni possibile debito.
Note: Presentato come film di apertura del 57° Festival di Cannes. Nastro d’argento 2005 a Pedro Almodovar come regista del Miglior film straniero.
Federico Magi, agosto 2008.
Edizione esaminata e brevi note
Regia: Pedro Almodovar. Soggetto e sceneggiatura: Pedro Almodovar. Direttore della fotografia: José Luis Alcaine. Scenografia: Antxon Gomez. Costumi: Paco Delgado, Jean-Paul Gaultier. Montaggio: José Salcedo. Interpreti principali: Gael Garcia Bernal, Fele Martinez, Daniel Gimenez Cacho, Javier Camara, Leonor Watling, Lluis Homar, Petra Martinez, Nacho Pérez, Raul Garcia Forneiro, Francisco Boira, Roberto Hoyas, Alberto Ferreiro, Francisco Maestre, Juan Fernandez. Produzione: Augustin e Pedro Amodovar per El Deseo S.A. Musica originale: Alberto Iglesias. Origine: Spagna, 2004. Durata: 106 minuti.
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