Nasce un amore nel deserto della Libia tra un tenente medico e una crocerossina di nobile famiglia. É una storia casta e pulita, col sapore del tempo antico, fatta di sguardi, piccole intimità, baci quasi rubati, perché nessuno deve sapere, proibito dai regolamenti che le crocerossine familiarizzino così con i militari.
Sono gli anni della seconda guerra mondiale, in Italia domina il fascismo con la sua retorica e i suoi miti, nell’ospedale da campo 129, nel Gebel, è arrivato il tenente medico Alfredo: viene dal fronte, lì dove la guerra si fa sentire davvero, ha ancora l’animo pieno di quei ricordi. La vita al campo gli sembra quasi bella, piacevole, durante il giro di visite sa capire i soldati, conosce il loro spirito.
Alfredo osserva: “uomini, ufficiali e soldati uniti dallo stesso cieco destino, divenuti tra loro umani, fratelli…”(p.16), dove sembra di udire un’eco ungarettiana in quel “fratelli” (Tobino ha iniziato la sua attività letteraria come poeta, anche se ha ottenuto notorietà attraverso la narrativa).
Alfredo vive invece un certo distacco nei confronti degli ufficiali, perché nessuno di loro è stato al fronte, si sente estraniato e ancora carico di dolorose visioni e di struggente nostalgia per l’Italia.
Il destino gli fa incontrare invece la Dedé – Romana Augusta Ludovisi è il suo vero nome – bellissima crocerossina, affascinante, gli occhi “dove si può leggere tutto e niente, indecifrabili, grigi d’argento o di limatura di ferro”. (p.17)
Figlia unica, senza il padre, suicidatosi per un oscuro male di vivere, la Dedé è da sempre corteggiatissima viziata, ricca, ma è anche persona che non si concede mai fino in fondo, conserva una sua ritrosia che Alfredo – passionale – attribuisce all’educazione ricevuta.
Si rivelerà invece un distacco, una freddezza, un’incapacità di lasciarsi andare legata non solo alle convenienze sociali, ma al carattere.
“Di nuovo la Dedé non si scompose, non indagò, non ebbe neppure una punta di curiosità. Ebbe solo quella sua espressione velatamente attonita e Alfredo non capì se fosse completa indifferenza, pochezza di fantasia, incapacità a immedesimarsi nella vita altrui, e persino dell’uomo amato, oppure dipendesse da quelle benedette maniere che le avevano inculcato”. (p.142)
Una volta ritornati a casa, a Carpi, il rapporto poco a poco muterà, la Dedé si farà sempre più lontana, legata al suo mondo di benestanti arricchiti attenti alle apparenze e alla carriera, con i quali il giovane Alfredo – alter ego tobiniano – votato alla psichiatria, senza grandi possibilità di carriera, senza conoscenze altolocate e appassionato di letteratura – viene edito proprio in quel periodo il suo primo libro di poesie – non ha nulla in comune.
La storia con la Dedé diviene il “perduto amore”, romantico ricordo per entrambi durante gli anni della maturità.
Romanzo pieno di nostalgia e delicatezza, ammantato dall’aura di una storia d’altri tempi, fatta di belle maniere, sorrisi e lacrime, slanci appassionati e tormenti da parte di Alfredo, “Il perduto amore” è un campionario di temi tipicamente tobiniani: il deserto, il mare, la passione letteraria, la guerra, compare per accenni anche la figura della madre come creatura discreta e comprensiva, in sintonia con quanto scritto su di lei ne “La brace dei Biassoli”.
La prima parte del libro, ambientata in Libia, può venir accostata a “Il deserto della Libia” sia per certe figure di militari (il colonnello Guiduccioni, direttore sanitario di tutta la Libia), sia per alcuni argomenti affrontati come la corruzione degli alti ufficiali del regime e i meccanismi clientelari che regolano i rimpatri.
Alfredo scopre, a proprie spese, come venivano fabbricati gli eroi di guerra: erano in genere gran raccomandati che ritornavano a casa, dove avrebbero goduto di pensione, grazie a cartelle cliniche false, mentre i veri feriti e malati finiscono per rimanere in Libia.
Lo stesso Alfredo, ferito a una gamba dal pietrisco di un’esplosione, si era visto negare in malo modo il rimpatrio, che gli verrà concesso successivamente.
Il mare, altra grande passione di Tobino, compare al momento della traversata di ritorno.
“Il mare era di un azzurro cupo, gaudioso mistero, le onde sulla cima avevano trine, risate di ragazze”. (p.102)
Il senso di liberazione, il desiderio di rivedere l’Italia si scontrano con l’oppressione della dittatura, il clima cupo, l’indifferenza di Roma verso i soldati.
L’incontro con la Dedé scuote Alfredo da uno stato di “dormiveglia”, ma ben presto subentra l’altalena dei sentimenti, il distacco di lei, la delusione e il dolore di Alfredo.
A sostenerlo in questo tempo sono la sua passione letteraria e la pubblicazione del primo libro di poesie.
Assegnato all’ospedale di Firenze come psichiatra, Alfredo frequenta gli ambienti letterari e artistici della città, stringe amicizia con scrittori e pittori coi quali condivide la sensibilità, saranno loro ad aiutarlo a superare la fine della storia con la contessina.
Alfredo da parte sua aveva sempre fatto proposito “di non sposarsi per dedicarsi alla sua passione letteraria, rimanere libero per esprimere con tutto l’impegno quello che sentiva vivere dentro di sé”.(p.130)
Riesce difficile ad Alfredo comunicare alla Dedé la sua vocazione letteraria, il libro di poesie gli rimane in tasca tra l’incomprensione di lei, la sua incapacità di partecipare e condividere: quella realtà è troppo distante dal suo mondo, incapsulato nelle convenzioni sociali.
L’allontanamento reciproco si compie nonostante un tardivo ritorno sui suoi passi della Dedé.
L’amore – neppure consumato – rimane una storia da narrare in un romanzo molti anni dopo, un tenero ricordo, un sogno della giovinezza.
Articolo apparso su lankelot.eu nel giugno 2009
Edizione esaminata e brevi note
Mario Tobino (Viareggio 1910-Agrigento 1991) psichiatra e scrittore italiano.
Mario Tobino, Il perduto amore, Milano, Mondadori 1979.
Links:
http://it.wikipedia.org/wiki/Mario_Tobino
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