Tobino Mario

Il deserto della Libia

Pubblicato il: 30 Aprile 2009

“La Libia libera i sogni, la morte esiste anche in questo luogo, ma non porta tristezza”. (p.124)

La guerra di Libia secondo Tobino: ventun prose ambientate in quest’arida terra che accende sogni e fantasie con i suoi paesaggi, ma è anche teatro di scontri mortali.

Inizialmente troviamo la 31° Sezione Sanità “abbandonata a non far niente ai margini di un’oasi, come durante la guerra spesso accade ai reparti” (p.31).

Siamo nell’oasi di Sorman, vicino al confine tunisino, successivamente ci sposteremo verso Tobruk assediata, allora ci si scontrerà con la morte, con la guerra autentica, che però nel deserto assume sempre tinte strane, è anch’essa rivestita di quella polvere che il ghibli fa penetrare ovunque.

La Libia di Tobino è soprattutto il deserto, col suo paesaggio così diverso per gli italiani, “immobile terra senza lacrime, limpida fuliggine” (p.126), abbacinata dal sole, arsa dal calore. “Il sole era presente in tutte le cose”. (p.12)

“Il deserto sembrava un bianco osso al sole che da secoli non conosce sangue”.(p.169)

Nel deserto la fantasia sradica tutti gli ormeggi e s’accende di sogni e visioni, gli uomini sono come imbambolati da tanta luce e calore e non sono più gli stessi, si scatenano in loro paure irrazionali, istinti oppure l’immaginazione galoppa all’inseguimento di visioni di bellezza.

Il deserto è presenza costante, assediante, la guerra si svolge lì, in quei luoghi ostili, sconosciuti, in una terra estranea e nuova, dove i soldati sono stati mandati contro la loro volontà a combattere una guerra assurda male armati, male equipaggiati, impreparati.

Lontano dalla retorica guerrafondaia del regime, Tobino mostra sia gli episodi comico-grotteschi della guerra – ad esempio nella figura del pazzo Oscar Pilli, che diventa capitano medico – sia tragici. Lo stesso Pilli ha un suo risvolto in questo senso: un matto al comando non può che provocare danni.

Tobino non giustifica, né approva la guerra, la vive, la racconta, cerca di comprenderne gli episodi, anche quelli crudeli, come appartenenti a una dimensione umana del vivere, che sempre gli è stata cara.

Antiretorico in tutti i sensi, rileva la stanchezza, la noia che aleggiano presso le truppe italiane, costrette a fughe umilianti o a soste nel deserto senza fare nulla.

Nessuno aveva voglia di combattere quella guerra, desiderio dei soldati è che tutto finisca presto e si possa ritornare a casa, anche se spesso la speranza viene meno e prevale il senso di abbandono.

“I nostri soldati non avevano un nemico.

Erano uomini che non riuscivano più a ragionare, non sapevano distinguere il vero dal falso, l’ignobile dal nobile.

Avevano istinti e affetti.

L’istinto di conservarsi; l’affetto per l’Italia, cioè la loro famiglia, la casa, il lavoro”. (p.157)

La visione di Tobino è antieroica, non trionfalistica: gli italiani obnubilati dalla propaganda, la ragione intorpidita, sono senza entusiasmo, demotivati. A volte diventano eroi senza neanche rendersene conto. Molti sono partiti in quanto “richiamati” oppure perché, in una delle tante adunate, avevano firmato per dare la loro disponibilità in caso di guerra, credendo che mai questa si sarebbe verificata.

Il libro è dedicato a tutti coloro che ricevettero la cartolina precetto e non “chiedettero visita” (per imboscarsi). E andarono, come Tobino.

Si ritrovarono spesso in situazioni grottesche, con un esercito non solo male armato, ma oppresso da una burocrazia assurda e intralciante, quella stessa che permette a Pilli di diventare una specie di eroe.

La burocrazia militare italiana “iniziata, procede, cieca, sorda, ottusa come uno scartafaccio, con nessuno, assolutamente nessuno che osi intromettersi a far scorgere la verità. La procedura militare era uno scartafaccio che avanzava con una forza negativa ma tremenda. L’unica forza di quell’esercito italiano”.(p.49)

Emblematica la chiusa di “Da Tripoli ad Agedabia”: arrivano gli australiani, gli italiani rimasti vivi vengono fatti prigionieri. Le casse del reparto rimangono abbandonate, gli australiani le aprono pensando ci sia un tesoro e le trovano piene di carte, di circolari che buttano all’aria. “Le circolari ad ogni nuovo soffio saltarono da un ramuscolo per incespicare nel prossimo. Presero a ridere per tutto il deserto.” (.p.129)

Alla burocrazia e alla sua ottusità Tobino è e sarà sempre – anche da psichiatra a Magliano – fortemente insofferente così come alla vigliaccheria, a chi dirige dall’alto e se ne sta imboscato senza affrontare guerra e deserto, a chi si fa rimpatriare per conoscenze e poi passa per eroe.

A far da contraltare a morte e desolazione, presenti soprattutto nella seconda parte del libro ci sono episodi d’incontro con una civiltà e un popolo diversi, l’interesse verso usanze differenti, c’è la bellezza femminile esotica.

Pagine assai ispirate sono dedicate da Tobino alle donne arabe, avvolte da un’atmosfera leggendaria da Mille e una notte.

È il tenente Marcello, un personaggio ricorrente, una sorta di alter ego tobiniano, il protagonista di fugaci e fascinosi incontri con queste donne, che vivono velate nell’ombra delle loro case, ma che celano malizie e audacia insospettabili. Donne di bellezza “inarrivabile” oppure donne che vogliono mostrarsi segretamente allo straniero gentile e raffinato che è medico e dunque può entrare nella loro intimità.

Marcello è un cercatore di bellezza, è un sognatore che ha bisogno di queste apparizioni per ridare colore alla sua vita.

Struggente è la storia di Alessandrina Tynne, la giovane olandese che nel 1869 volle avventurarsi all’interno dell’Africa e fu uccisa in un crudele agguato. Tobino la evoca e il tenente Marcello sogna di lei.

La Libia è anche conoscenza del popolo arabo, Tobino è attento osservatore ed è aperto all’incontro con un’umanità diversa con cui dialogare. La bella figura dell’arabo Mahmùd è significativa in questo senso: “sempre rapido ed energico nei movimenti come se uno spirito guerriero gli bruciasse di continuo nella persona”.

“Il deserto della Libia” è un libro dai numerosi aspetti, non è un diario e non è una cronaca di guerra, è espressione di uno spirito libero, che detesta qualsiasi retorica di ogni colore e rivendica comunque la propria parte di felicità. È voce di una generazione sacrificata, che conservò voglia di vivere ed entusiasmo.

articolo apparso su lankelot.eu nell’aprile 2009

Edizione esaminata e brevi note

Mario Tobino (Viareggio 1910-Agrigento 1991) psichiatra e scrittore italiano.

Mario Tobino, Il deserto della Libia, Milano, Oscar Mondadori 2009.

Links:

http://it.wikipedia.org/wiki/Mario_Tobino

http://www.italialibri.net/autori/tobinom.html

http://www.fondazionemariotobino.it/tobino_vita.php