“Ahi, una Paloma blanca come la nieve, come la nieve, ahi, m’ha rovinato l’alma, come me duele, come me duele…“. E’ una vecchia canzone. Si ascoltava da un grammofono a manovella durante l’estate del 1943. L’ascoltavano i ragazzini sfollati a Brusson, in Valle d’Aosta. Rosetta Loy era lì con la sua famiglia, lontana da Roma e da molti altri orrori della Guerra. Una Guerra che, nonostante tutto, viene percepita ugualmente: il Grand Hotel Brusson può offrire solo pasti poveri e sempre uguali, la stoffa per fare un nuovo vestito non si trova e comprare cioccolata alla borsa nera è solo un miraggio.
Oltre a Rosetta e a sua sorella Etta, più grande d’un paio d’anni, in quella estate valdostana ci sono anche la piccola e tonda Milly, sfollata da Milano, il seducente Giorgio e la bellissima Marcella con i loro completi da tennis bianchi, l’Augusto con gli occhi azzurri e con un braccio perduto dopo un incidente, sua sorella Laura, e poi l’Ettore e la Paola, la ragazza che chiamano “Paloma”, c’e Pietro detto il Pirro, ma anche la Marilù e la Carla. La scrittrice recupera i suoi ricordi anche se “la memoria gioca strani tiri, sovrappone spesso un’immagine ad un’altra, il dopo al prima“. Per Rosetta, l’estate 1943, è una stagione di mutamento radicale. Ha dodici anni, un’età di passaggio in cui non si è più bambine ma non si è neppure considerate ragazze. “Si può essere infelici a dodici anni, profondamente, totalmente infelici, al punto da fare di quell’infelicità un concentrato di tutti i battiti del cuore fino allora conosciuti? E nello stesso tempo essere ricettivi a ogni particella di quanto si sta vivendo?“. Un’infelicità strana. Non ha a che fare con la fame costante, né con l’apparecchio per i denti imposto dai genitori, né con i mal di pancia dovuti alle prime mestruazioni. E’ un’infelicità diversa e complicata che porta un nome preciso: Augusto. La prima cotta. Anche se vede bene che ad Augusto piace Marcella ma sa altrettanto bene che Marcella sta con Pietro detto il Pirro ed ha con lui una meravigliosa e segreta storia d’amore.
La Guerra in corso sfiora, a modo suo, anche Brusson. “Nelle notti di luna, altissime in cielo, passano le fortezze volanti che vanno a bombardare Torino o Milano. Minuscole e ordinate emettono un ronzio leggere come puntine d’argento sulla lavagna stellata. Oltrepassano i picchi aguzzi delle rocce e le montagne inaccessibili nelle loro cime senza alterare di un millimetro la loro formazione quasi dovessero corrispondere a un arcano disegno. E mentre spariscono nella quiete meravigliosa della notte comunicano uno strano senso di pace simili ad angeli licenti in volo verso l’infinito“. Di angelico, ovviamente, le fortezze volanti non hanno nulla, eppure gli occhi di una bambina vedono ciò che vedono e le consentendono di addormentarsi serena nella calma del ronzio aereo in lontananza.
Arriva l’8 settembre e anche l’apparente tranquillità montana si sgretola. C’è scompiglio misto ad eccitazione e confusione. Le notizie si susseguono e si contraddicono. Tradire i tedeschi? Non tradirli? L’Ettore è ebreo e per lui tutto si complica. Vorrebbe poter ascoltare ancora “Ahi, Paloma” al grammofono e ballare con la Paola ma tutti sono presi da altro. I genitori ricordano che l’indomani si parte. E l’indomani partono in molti. Rosetta e la sua famiglia lasciano il Grand Hotel Brusson per trasferirsi all’Albergo Aquila. Andranno via una settimana più tardi. La Loy recupera così i ricordi del dopo. Come quello di Giorgio che si presenta volontario alla sede delle Brigate Nere di Milano barando sull’età per poter essere accettato o quello di Ettore venduto ai tedeschi per cinquemila lire in biglietti da piccolo taglio o quello di Pirro che una mattina, dopo aver messo tutto quello che poteva in due sacche da montagna, decide di andare salire verso il Corno Bussola per raggiungere chi combatte i tedeschi a modo suo, per restituire “l’onore perduto a parole come libertà e giustizia“.
“Ahi, Paloma” è un libro breve ma ricco di suggestioni. La scrittura della Loy incanta e intrattiene. Scorre fluida e leggera anche se riporta fatti non sempre semplici da ricordare né da raccontare. E’ evidente che il tempo ha addolcito gli eventi e ha attutito alcune sofferenze, lo si percepisce dalla costante dolcezza con la quale, in ogni caso, la scrittrice romana recupera la memoria di un tempo non facile da vivere. I suoi ricordi, però, sono rimasti legati alle sensazioni di una ragazzina di dodici anni che ha percepito in maniera sicuramente più lieve certe brutture della Storia. Il gioco delle rievocazioni è ben armonizzato e il romanzo possiede l’equilibrio emotivo necessario a non trasformare la narrazione dei ricordi della Loy in una banale cronaca di vicende personali.
Edizione esaminata e brevi note
Rosetta Loy è nata a Roma nel 1931. Il suo primo romanzo, “La bicicletta”, risale al 1974 ed ha ottenuto il Premio Viareggio come Opera Prima. Tra le sue opere: “La porta dell’acqua” (1976), “L’estate di Letuchè” (1982), “All’insaputa della notte” (1984), “Le strade di polvere” (1987), “Sogni d’inverno” (1992), “Cioccolata da Hanselmann” (1995), “La parola ebreo” (1997), “Ahi, Paloma” (2000), “Nero è l’albero dei ricordi, azzurra è l’aria” (2004).
Rosetta Loy, “Ahi, Paloma”, Einaudi, Torino, 2000.
Pagine Internet su Rosetta Loy: Wikipedia / Scrittori per un anno (Rai) /Enciclopedia Treccani / Scheda Einaudi
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