Burton Tim

Sweeney Todd. Il diabolico barbiere di Fleet Street

Pubblicato il: 5 Marzo 2008

Tim Burton non finirà mai di stupirci, questo è certo. Se si esclude il trascurabilissimo e poco fantasioso remake de Il pianeta delle scimmie, il regista americano, quanto a originalità di temi – anche gli adattamenti, come nel caso in questione, vivono sempre del suo personalissimo tocco creativo – e sviluppo visivo degli stessi non ha mai deluso chi ama il suo geniale modo di far cinema. Nel caso di Sweeney Todd, il barbiere più sanguinario che si ricordi, l’artista californiano i rischi se li piglia tutti e ancor di più: adatta un musical macabro per il cinema, usando per lo più i brani di Stephen Sondheim. Bizzarra e rischiosa, la nuova creatura burtoniana annovera nel cast – e non potrebbe essere diversamente – l’attore feticcio Johnny Depp e la moglie Helena Bonham Carter, affidando il ruolo dello spietato avvocato a un villain per eccellenza come l’inglese Alan Rickman (lo ricordiamo, tra le tante prove, capo di un gruppo di terroristi nel primo Die Hard).  Entrare nel mondo di Tim Burton, farlo dalla porta principale (il cinema), accompagnati da una musica ammiccante, anche attraverso gli ingranaggi di un tritacarne, tra fiotti di sangue, sui titoli di testa, è sempre un’ esperienza adrenalinica. Ve lo garantisco.

Sweeney Todd sbarca a Londra dopo 15 anni di assenza, in un’atmosfera plumbea fatta di nebbia e di dolorosi ricordi. Tornare impone rievocare: un amore profondo, una vita felice spezzata sul più bello, la prigione, la lontananza, l’oblio. E allora una sola idea: la vendetta, altrettanto spietata. Todd torna a Fleet Street e ritrova la sua stanza d’un tempo, una sorta di mansarda edificata sopra un locale che vende tortine di carne, gestito dalla signora Lovett. La Lovett, da subito rapita dall’aura maledetta del barbiere, gli racconta delle sorti avverse di moglie e figlia, una avvelenatasi e l’altra prigioniera del perfido avvocato. Ecco che il barbiere, in preda all’ira più funesta, rispolvera le lame d’argento, gli attrezzi che lo avevano consacrato quindici anni prima, sotto diverso nome, come il barbiere più bravo di Londra. Adesso però c’è un soggetto che si dichiara italiano (personaggio che evidenzia doppiezza anch’egli), Pirelli, che verrà pubblicamente sfidato e battuto da Todd, in una prova di taglio. Ma Pirelli ricorda chi è colui che adesso si fa chiamare Todd, e lo ricatta: è l’inizio della carneficina, di una vendetta che assume proporzioni inimmaginabili. In un delirio assoluto il nemico di Todd diventa l’intera umanità, la società – soprattutto borghese – londinese, ossequiosa nei confronti del potente giudice. Insieme all’ambigua e di lui innamorata signora Lovett troverà il modo di far fruttare economicamente le efferatezze compiute, utilizzando la carne dei corpi per tortine prelibate. Il locale sottostante la stanza del barbiere, un tempo costantemente vuoto, da questo momento in poi viene letteralmente preso d’assalto. Ma il chiodo fisso di Sweeney Todd è la vendetta nei confronti del giudice, per dare pace all’anima della moglie e per ritrovare una figlia che, in sostanza, non aveva mai conosciuto. Non tutto, però, è come sembra. Non tutto ciò che è stato raccontato a Todd dalla signora Lovett corrisponde al vero. Una misteriosa senza tetto, un bambino e un giovane innamorato sono protagonisti, insieme al barbiere, la signora Lovett e il giudice, di un finale melodrammatico nel quale l’orrore acceca e supera il sentimento amoroso. Sempre presente, nonostante tutto.

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Dai fiumi di cioccolato al lago di sangue il salto può sembrare improbo se non addirittura mortale, ma il geniale Tim Burton usa gli elementi del suo cinema con lo stesso amore, con la stessa accuratezza formale, con la stessa grazia, ancorché grazia possa risultare termine inadeguato considerata la fattispecie, dei film precedenti. E allora è bene approcciare le sue opere, appare chiaro, sempre con quella disposizione alla meraviglia che non può e non deve davvero mai mancare quando si sceglie di attraversare territori dove l’immaginazione contende la scena alla realtà. La consueta ambientazione gotica è ancora una volta valorizzata da scenografie che valgono addirittura l’Oscar (magnifico il lavoro di Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo), che ci immergono subito in una dimensione macabra e funerea in cui la musica cantata sembra irrompere, al principio, come effetto straniante che con lo scorrere dei minuti si armonizza a storia e immagini. Del resto anche nel precedente La sposa cadavere, che peraltro durava solo settanta minuti e rotti, Burton immaginò una sorta di musical animato in cui la morte è protagonista assoluta, comunque in assenza di sangue. Qui al contrario è il sangue protagonista in un teatro grandguignolesco senza precedenti, in cui il regista californiano si libera da ogni possibile inibizione e filma tutto il mostruoso e il rivoltante che c’è da filmare. Di più, il sangue diventa un vero e proprio elemento catartico per un protagonista il cui delirio è dato da un dolore accecante che diventa, a ben guardare, rifiuto della natura umana. È forse questo l’elemento più agghiacciante di Sweeney Todd, al di là dell’apparente compiacimento gore, film in cui Burton fa rivivere – e riflettete, a mente fredda, sulla somiglianza visiva – Edward ma anche Vincent, se vogliamo andare agli albori del suo cinema. Todd è la metà oscura di Edward, che le lame le aveva sin dalla nascita, non per scelta ma per destino, come innaturale prolungamento e chiusura delle braccia; ma è anche una delle possibili evoluzioni di quel Vincent Malloy che solitario si racconta, in versi, nella propria stanza. Dunque torna, immancabile, in forma peraltro meno inconsueta di ciò che potrebbe apparire, l’elogio e l’attenzione per i diversi, per coloro i quali, che sia scelta o destino è irrilevante, ci appaiono improvvisi e solitari protagonisti delle fiabe di celluloide di chi su carta ci ha anche parlato di malinconici “bimbi ostrica”. E se vogliamo andare più a fondo, possiamo notare come Sweeney Todd consente a Burton, evidentemente sottotraccia, di proporre una critica spietata del mercantilismo del mondo anglosassone, anche proiettato su una attualità per cui non sembra cosi improbabile la mercificazione dei corpi a scopo gastronomico. Naturale che l’intreccio di simili tematiche renda Sweeney Todd un horror grottesco, la cui rappresentazione musicale regala anche momenti di lirismo e poesia. Burton padroneggia con maestria l’infuocata materia a disposizione, pur costruendo un corpo centrale non troppo dinamico che in alcuni frangenti rischia di appesantire la sceneggiatura. Ma l’evoluzione degli eventi favorisce la partecipazione dello spettatore fino all’intenso finale, che ci regala emozione e un’ultima sequenza capolavoro.

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L’uso continuo dei primi piani, unito ad una fotografia che amplifica l’inquietudine, crea un’atmosfera claustrofobica palpabile sin dalle prime sequenze. La macchina da presa indugia sui dettagli scabrosi e non risparmia nulla alla vista dello spettatore, il quale segue il musical, rimane sorpreso dall’intonazione invidiabile degli attori (davvero un gran lavoro fatto da tutti, in questo senso), ma non si estranea mai veramente dalla storia narrata, interiorizzando subito presentimenti di un epilogo terrificante. Sweeney Todd, difatti, segue le strutture della tragedia greca o dei drammi scespiriani, immaginando anche che non debba esserci necessaria redenzione per i protagonisti. Tutti i personaggi, a ben guardare, hanno una natura ambigua, nessuno è puro (se si eccettuano i due giovani innamorati, ma la loro vicenda è marginale), e Burton fa di tutto per evidenziare questo stato di cose. Vi è inoltre un intreccio di sentimenti non corrisposti (fatti salvi sempre i due giovani innamorati) che ci dà la misura dell’umano troppo umano che il regista americano, attraverso la storia del barbiere tagliagole, pur in una vicenda decisamente sopra le righe, ci ha voluto raccontare. Nonostante l’ispirata vena immaginifica e le mirabolanti costruzioni visive partorite da un artista unico nel suo genere, senza la straordinaria interpretazione di Johnny Depp Sweeney Todd non sarebbe stata quella splendida esperienza estetico-visiva che ai miei occhi è risultata essere. Non solo recita e canta divinamente, ma incarna un demone dalla faccia d’angelo che immalinconisce e genera terrore al contempo, che si affratella come detto con Edward e Vincent, alter ego e genesi di ciò che Sweeney/Depp rappresenta nella finzione ma anche, se vogliamo, nell’immagine restituita dalla realtà. Logico che un simil Depp, in quest’opera più che in altre della premiata ditta Burton-Depp, offuschi tutto il resto del cast, pur indovinato e canterino al punto giusto.

Che siate o meno amanti del musical, Sweeney Todd è un film che va oltre la semplice definizione di genere, un’opera, pur difficile, che potrà piacere ai burtoniani, agli amanti del gore e anche agli amanti del musical, perché no. E non solo a loro, perché è indubbio che pellicole cosi visionarie capitino di rado, e che gli assetati di cinema “diverso” non aspettino altro che film del genere per tornare ad emozionarsi. Una fiaba nera, dunque, la più nera mai raccontata dal regista californiano, per un viaggio nel lato oscuro e nell’incubo che si ispira ad un protagonista forse realmente esistito (la leggenda parla di 160 delitti). In epoca vittoriana, tempo tutt’altro che beato, dove i mostri erano davvero tanti, più di ciò che la letteratura a tema ha raccontato. Ma i veri mostri (ricordate anche Elephant man di Lynch?) chi sono? Li dove regnano l’autorità senza freni, l’indifferenza dei più e il capitalismo già sfrenatissimo. Anche Burton, attraverso questa storia bizzarra e ricca di spunti di riflessione, pare chiederselo. Senza peraltro dimenticarsi che cinema è immagine, e suggestioni sonore: tragica e romantica, terrificante e spettrale, l’ultima sequenza è uno splendido delirio estetico. Un quadro doloroso e poetico che potrà anche togliervi il sonno.

Federico Magi, marzo 2008.

Edizione esaminata e brevi note

Regia: Tim Burton. Soggetto: Christopher Bond, Stephen Sondheim, Hugh Wheeler. Sceneggiatura: John Logan. Direttore della fotografia: Dariusz Wolski. Montaggio: Chris Lebenzon. Scenografia: Dante Ferretti, Francesca Lo Schiavo. Costumi: Coleen Atwood. Interpreti principali: Johnny Depp, Helena Bonham Carter, Alan Rickman, Sacha Baron Cohen, Timothy Spall, Jayne Wisener, Jamie Campbell Bower, Ed Sanders, Peter Bowles, Laura Michelle Kelly, Anthony Head. Musica originale: brani tratti dal musical di Stephen Sondheim. Produzione: Dreamworks SKG, MacDonald / Parkes Productions, Warner Bros Pictures, The Zanuck Company. Titolo originale: “Sweeney Todd: The Demon Barber of Fleet Street”. Origine: USA, 2007. Durata: 117 minuti.