Gregario: componente di una squadra ciclistica che ha il compito di aiutare il caposquadra. Questa una delle definizioni più comuni del sostantivo che dà il titolo al romanzo di Mascheri.
Gregario in questo caso è il figlio che, con un amore “da cane fedele” ha sempre seguito il padre, vero leader nella corsa della vita.
Ventottenne, farmacista come il genitore, il protagonista di questo romanzo sembra avere tutto: lavoro sicuro in farmacia, benessere economico, salute, una ragazza, una famiglia. In tempi di precariato non è poco. Eppure non è felice o soddisfatto, ma continua a sentirsi come uno che non ha ancora trovato la sua strada nella vita, il suo posto nel mondo. La sua autoanalisi è impietosa e inesorabile.
“Tuttavia, se dovesse scegliere la condizione che descrive meglio il suo stato d’animo, sceglierebbe quella che la farmacologia chiama appresa impotenza. Prendiamo un animale da laboratorio e somministriamogli degli stimoli dolorifici inevitabili. Questi determinano uno stato di appresa impotenza in cui l’animale persino quando è libero di fuggire – la gabbia è aperta e l’animale ha davanti a sé la libertà – rimane bloccato e non fugge”. (pp.9-10)
Si sente un uomo medio in tutto, svolge il suo lavoro con precisione, ma senza passione e perciò non riesce a conquistare i clienti come il padre, vive la relazione con Ilaria, la sua ragazza, come una perfetta routine che dà sicurezza, ma non soddisfazione piena, percepisce che la sua vita sta diventando “una mano di buone carte giocate da un cieco” (p.16).
Se l’esistenza, dal punto di vista materiale, è stata generosa con lui, avverte una mancanza di senso e d’entusiasmo, un sottile malessere, una insoddisfazione che avvolge tutto come una gelatina e rischia di soffocarlo.
In alcune pagine verrebbe voglia di afferrare per le spalle il protagonista, guardarlo negli occhi e chiedergli:”Che cosa cerchi? Che cosa ti manca?”
Nulla, apparentemente. Ha anche un padre, una figura dominante, una personalità forte, carismatica, appassionato del suo lavoro, ricco d’idee e d’iniziative, decisionista. Un padre per il quale nutre un sentimento di amore-odio.
“Perché lui e suo padre non riescono a essere due adulti che si rispettano? Perché non riescono a essere due adulti che si parlano con calma, che cercano di spiegarsi, anziché due personaggi di Ionesco, che si dicono cose assurde, che si mandano a fare in culo e poi, in preda ai sensi di colpa, si abbracciano e si piangono addosso?”(p.18)
Il padre l’ha sempre criticato a priori, ha deciso per lui, o meglio, ha segnato la
strada e il protagonista l’ha seguita, si è aggregato, ma senza sentirsi mai del tutto sé stesso, realizzato. È sempre stato un po’indeciso, introverso, impaurito, si ricorda bambino incapace di tuffarsi al saggio di nuoto.
In seguito, da studente, vedeva i suoi compagni partire col progetto Erasmus e lui sempre a casa ad aspettare chissà che cosa. Gli sembra di aver sempre delegato la sua vita al padre, così sicuro, deciso, uomo di successo anche con le donne – numerose le sue avventure extra-coniugali – un leader del quale il figlio ha sempre desiderato il rispetto.
Il padre è il deus ex machina, il principio primo di tutta la sua vita e lui ha avuto paura di deluderlo, di non essere all’altezza delle aspettative. Oltre tutto è l’unico figlio (così si deduce dal romanzo), per cui è in continuazione sotto lo sguardo dei genitori.
Preso tra questa figura paterna e una madre descritta come donna di poca passione, piuttosto passiva, insegnante, ex-sessantottina, il protagonista cerca una sua indipendenza, una sua autonomia e riflette su di sé in maniera profonda. Da ragazzo credeva nell’arte e nella bellezza, ha anche dipinto alcuni quadri rifacendosi a Bosch, si diceva disinteressato al denaro; ora, che è alle prese con bilanci, concorrenza, commercialisti, si chiede se uno dei possibili scopi della vita non sia proprio quello di far soldi insieme a suo padre e progettare viaggi e convivenza con Ilaria, la sua ragazza da una vita.
Il suo desiderio di fare esperienza passa attraverso la relazione con Yulia, una giovane ucraina conosciuta in un night. Sarà un’illusione breve e non soddisfacente.
Nel frattempo la vita incalza, cambia le carte in tavola, conduce a un finale aperto e struggente.
Nonostante le incomprensioni e i litigi il protagonista sa di non essere pronto a perdere il padre, soprattutto ora che il rapporto non è ancora risolto e ci sono molto cose difficili da dirsi. Le parole però tacciono, rimangono pensate, impronunciabili o molto scarne. Conta di più un semplice gesto: “Vorrebbe che attraverso la sua mano chiusa sul suo braccio, suo padre riuscisse a sentire tutte le parole che lui non riesce a dire”. (p.168)
Il romanzo diventa un atto d’amore e, nello stesso tempo, una ricerca del proprio posto nella vita.
Alla fine ci si chiede se per il protagonista ci sia una soluzione, un progetto che dia una svolta alla sua esistenza: le velleità artistiche paiono definitivamente accantonate o poste in lunga aspettativa.
“Non scegliere. Non decidere. Ma accettare” (p.172)
Accettare che la vita porti altrove rispetto ad alcune attese, accettare l’imprevisto, accettare i propri limiti.
Il protagonista si sente come in mezzo al deserto e proprio lì percepisce di aver bisogno più che mai della personalità forte del padre.
Sullo sfondo si delinea l’Italia di oggi, avviata alla decadenza, stravolta dai malgoverni, devastata dalle liberalizzazioni, che finiranno per stritolare le piccole e medie attività a vantaggio delle grandi catene.
Spesso padre e figlio si sentono assediati dalla burocrazia, dalle tasse, dalla concorrenza spietata, in una società sempre più omologante, dove la gente si obnubila nei centri commerciali, sorta di neo-paradisi occidentali, templi del consumismo.
Di fronte all’immigrazione – fenomeno disorientante – il protagonista non nasconde segni d’insofferenza e di fastidio soprattutto verso gli episodi di delinquenza, non ama un multiculturalismo acritico e indiscriminato e non prova compassione per gli extracomunitari ubriachi che vede in giro, si dispiace però della sfuriata con cui aggredisce un bambino marocchino venuto in farmacia a chiedere un prodotto a credito.
Tiene la sua compassione per altri:
“Lui riesce a provar compassione solo per la disciplina. Prova compassione per gli impiegati che, vestiti come manichini, si sottopongono al sacrificio del lavoro, prova compassione per chi paga le tasse, per gli insegnanti sbeffeggiati dagli alunni, per i borghesi rapinati.
Pur non credendo a nessuna ricompensa eterna, prova compassione per chi vede la vita come un sacrificio a cui non si può e non si deve sfuggire. Un sacrificio la cui ricompensa sta solo nella consapevolezza del sacrificio stesso, nella consapevolezza di essere vivi adesso e ora e di star sprecando l’unica vita che si ha”. (pp.29-30)
Il romanzo si snoda attraverso tante sezioni che sono inquadrature dei diversi personaggi, le cui vicende s’alternano per intrecciarsi attraverso la figura del protagonista (che non ha nome, quasi a sottolineare il suo stato di gregario).
Rispetto a “Poliuretano” si nota un maggiore profondità e maturità, la legione di farmaci è scomparsa, come pure quell’ascolto quasi ossessivo del proprio corpo e di eventuali sintomi. Qui c’è una ricerca del benessere, attività sportiva, cura, igiene, ma in modo più equilibrato. Lo stile è sempre molto pulito e curato e la lettura piacevole.
Articolo apparso su lankelot.eu nel settembre 2008
Edizione esaminata e brevi note
Paolo Mascheri (1978), vive ad Arezzo. Ha pubblicato la raccolta di racconti “Poliuretano” (Pendragon 2004) e questo è il suo primo romanzo.
Paolo Mascheri, Il gregario, Roma, Minimum Fax 2008.
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