I fratelli e le sorelle di Bose dialogano con il metropolita Emilianos di Silyvria e ne esce un libro ricco di riflessioni e di idee, un testo da meditazione, ma anche il racconto di una vita lunga, attiva, tutta tesa alla ricerca del dialogo ecumenico.
Consapevole che la divisione tra cristiani costituisce uno scandalo, il metropolita manifesta una potente volontà d’incontro, un’analisi attenta degli ostacoli e delle concrete possibilità di superarli: la conoscenza reciproca è, a questo scopo, importantissima ed evita di rimanere legati a stereotipi o visioni caricaturali dell’altro.
Per avvicinarsi a questo padre staordinariamente dinamico fino agli ultimi tempi della sua lunga vita, è importante ripercorrerne la biografia.
Emilianos nasce nel 1916 a Iconio, l’attuale Konya in Turchia. La famiglia è discendente della comunità greca, radicata da secoli in quelle terre. Orfano di padre in tenerissima età, ben presto viene costretto all’esodo in Grecia con la madre e i tre fratelli. Emigrati, vivono anni molto duri di povertà e fatiche.
Dopo le scuole commerciali, torna in Turchia e compie la sua formazione teologica a Chalki, del patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Ordinato diacono e poi presbitero inizia ad esercitare il suo ministero in una parrocchia greco-ortodossa a Istanbul, ma ben presto viene chiamato a Oxford per proseguire gli studi patristici e per fungere da segretario al vescovo Ghermanos di Tiatira.
Nel 1948 accompagna il vescovo alla prima assemblea mondiale del Consiglio Ecumenico delle chiese ad Amsterdam: il suo impegno ecumenico si fa sempre più vivo, ma è la successiva esperienza in Belgio ad essere assai importante. Tra i suoi compiti vi è anche quello dell’assistenza spirituale ai marinai ortodossi imbarcati, ben presto Emilianos si rende conto che i suoi problemi pastorali sono gli stessi dei sacerdoti cattolici e dei pastori protestanti, organizza allora a casa sua, con l’aiuto della madre, abile cuoca, incontri tra i cappellani delle navi.
In seguito, testimone della tragedia di Marcinelle, osserva:
“Sì, quando si è colpiti dalla tragedia umana, allora è possibile una comune e medesima testimonianza cristiana, perché ciascuno è motivato dal medesimo amore per il prossimo, per il quale Cristo ha dato la propria vita”. (p.30)
Nominato vescovo di Meloa nel 1959, diventa anche rappresentante permanente del patriarcato ecumenico di Costantinopoli al Consiglio Ecumenico delle chiese, incarico che ricoprirà per venticinque anni, fino al 1984.
Osservatore al Concilio Vaticano II, diverrà metropolita di Calabria nel 1965 e poi di Silyvria nel 1977.
Dal 1995 divide il suo tempo tra la Comunità di Bose – monaco tra i monaci – e la Grecia e così motiva la sua scelta: “Continuare a testimoniare che è possibile che cattolici, ortodossi e protestanti vivano insieme. Questa è stata la mia ricerca e la mia preoccupazione durante tutta la mia vita…C’è una comunione profonda già raggiunta: è quella che si vive lì dove si condivide una medesima vita”.
Per il Natale 2007, seppur gravemente malato e sconsigliato dai medici dal mettersi in viaggio, ha voluto raggiungere Bose come per un estremo congedo. Si è spento a Eghion nei primi mesi del 2008.
L’ecumenismo è stato per lui un elemento del suo stesso essere, dalle sue parole emerge una ricerca continua di un dialogo che non sia offensivo della sensibilità altrui e che trova il suo culmine in gesti emblematici come lo storico incontro del 1964 a Gerusalemme tra Paolo VI e il patriarca Athenagoras.
Le posizioni di Emilianos sono sempre state assai coraggiose. Posto che le divisioni tra le chiese provengono da orgoglio, arroganza, intolleranza, non accoglienza, l’unità della fede – che è l’obiettivo finale del dialogo ecumenico – verrà solo grazie a Cristo.
“Infine, l’origine e il fondamento di questa unità sono da un lato l’uomo-Dio in cui si è incarnato il Verbo e dall’altro la dottrina cristiana della Trinità. La singolarità del Dio trinitario consiste in un’unità vivente nella pluralità di tre persone. Di conseguenza, il pluralismo deve essere considerato una “traccia” o un’”impronta” della pluralità inter-trinitaria originale. Perciò l’unità del cristianesimo e della chiesa deve essere concepita come una relazione dialettica positiva in cui la molteplicità è l’elemento interiore dell’unità, è il suo elemento costitutivo”.(p.74)
Gli sforzi ecumenici non vanno mai assimilati a negoziati diplomatici per cui ciascuno rinuncerebbe a una parte del proprio credo per incontrarsi su una base comune, non si deve aver paura di una pluralità di forme d’espressione dell’unica fede, è possibile riformulare anzi in termini nuovi la fede di sempre e serve una “purificazione della memoria”, cioè fare in modo che i periodi storici scandalosi non producano più animosità contro l’altro.
Ciascuna chiesa dovrebbe sentire l’amarezza sofferta dall’altra, è necessario conoscersi, guardare i reali motivi della divisione e sensibilizzare i cristiani su questo argomento.
Emilianos presenta fatti e incontri della sua vita, ma si rivela anche un lettore attento della realtà contemporanea e un fine conoscitore dello spirito umano, un padre spirituale, un monaco entusiasta della propria vocazione e missione, un teologo, un vero artista del dialogo e un testimone dell’Evangelo.
Colpiscono le sue osservazioni sulla preghiera:
“La preghiera è un umile e profondo ascolto delle voci dell’universo e delle voci della Bibbia e una lettura assidua dei loro segni; è un’attenzione amorosa e continua a tutto ciò che ci attornia, a tutto ciò che facciamo nel mondo; è una presenza silenziosa nella vita temporale semplicemente offerta all’eternità, come lo sono le stelle, le pietre, gli alberi; è una pace dell’essere, che non significa assenza di lotta; è una sobrietà che riporta la vita alla semplicità e che la apre allo spogliamento e nel contempo allo splendore della fine”. (p.142)
Sue preoccupazioni sono la pastorale, la liturgia, la catechesi, ma soprattutto l’uomo nel suo essere più profondo, le grandi sfide e domande del mondo contemporaneo di fronte alle quali i cristiani sono interpellati.
Emilianos non ha mai perso la speranza.
“Aprirsi all’altro è un’avventura sempre da ricominciare ed è una sfida di tutti i tempi”. (p.100)
Vive in lui sono la gioia del vangelo, la consapevolezza dell’impegno, la saggezza e il discernimento del vero maestro spirituale, illuminato dallo Spirito.
Ecco una sua osservazione sulla morte:
“Io mi raffiguro sempre Cristo in piedi in mezzo a noi mentre tiene nella mano destra un gran numero di uomini, e altrettanto nella sinistra: gli uni sono nella piena luce e gli altri nel crepuscolo. Quelli che sono nel crepuscolo sono coloro che vivono sulla terra. Noi siamo gli uni e gli altri nella mano di Cristo, e nuove anime passano continuamente dalla sua mano sinistra a quella destra, dal crepuscolo alla piena luce.
La morte ci appartiene, ed è importante che ci si prepari. Essa sarà la piena epifania di ciò che abbiamo vissuto, e sarà soprattutto il compimento della nostra vita”. (p.152)
articolo apparso su lankelot.eu nel giugno 2008
Edizione esaminata e brevi note
Emilianos Timiadis (Iconio, Turchia 1916- Eghios, Grecia 12008), metropolita di Silyvria.
Emilianos Timiadis, Chiamati alla libertà. I fratelli e le sorelle di Bose in dialogo con il metropolita Emilianos di Silyvria. Prefazione di Enzo Bianchi, priore di Bose. Curatori: Sabino Chialà e Alice Reuter, monaci di Bose. Traduzione dal francese a cura di Valerio Lanzarini, monaco di Bose. Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose 2004.
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