Il genere supereroi e affini, tanto amato quanto sfruttato negli States, è certamente il più trascurato alle nostre latitudini, forse perché l’italica tradizione cinematografica repubblicana, cresciuta nella culla del neorealismo fino a trovare la sua piena compiutezza nella grande commedia all’italiana, è troppo distante dal mito del sogno americano in tutte le sue ampie declinazioni, eroi mascherati e dotati di superpoteri compresi. Molto probabilmente, anche perché il nostro cinema dell’ultimo trentennio è un po’ troppo provinciale, rifiuta l’ampio respiro e i grandi sogni, rifugiandosi in uno stanco minimalismo e in una commedia di grana grossa. Troppo rischioso, e anche troppo costoso, misurarsi con gli eroi del fantasy. Gabriele Salvatores, che già a suo tempo si era cimentato in un’opera di confine tra fantasy e fantascienza (Nirvana), sceglie la via ardita e coraggiosa di immaginare un supereroe tutto nostro, un ragazzino di tredici anni che scopre all’improvviso il dono dell’invisibilità.
Siamo a Trieste. Michele è un adolescente che vive con la mamma Giovanna, poliziotta single, da quando il marito è morto. Non si può dire che a scuola sia un ragazzo popolare, ed anzi è spesso messo in mezzo da Ivan e Brando, due bulletti della classe. Inoltre Stella, la ragazza di cui è innamorato, sembra non accorgersi di lui. Michele a volte si sente invisibile agli occhi del mondo che lo circonda, fino a che ad un tratto, invisibile ci può diventare davvero. Sconcertato dall’incredibile scoperta e non assolutamente in grado di controllare il suo potere, crede che il tutto derivi da un costume di un supereroe cinese da poco acquistato. In realtà non è affatto dipeso dal costume, il suo sorprendente potere, ma è un dono che ha radici nel suo passato, nella sua vera identità. Nella sua scuola, intanto, spariscono ragazzi, compresa la sua amata Stella. Per Michele comincia tutta un’altra storia: è venuta l’ora di entrare in azione e di diventare un supereroe.
Davvero temerario questo ritorno del bravo regista milanese dietro la macchina da presa, perché il voler interfacciarsi idealmente, ancorché a suo modo, con le grandi produzioni fantasy d’oltreoceano è stato davvero come tentare un triplo salto mortale senza rete, vista la prova intrapresa. Certo non tutto è perfetto ne Il ragazzo invisibile, ma questa ambiziosa sfida, per Salvatores, è certamente vinta, e per diverse ragioni. Prima di tutto il regista milanese non scimmiotta il genere yankee ma trova una sua personale e intima chiave di lettura dell’eroe. E in questo caso, trattandosi di un adolescente, la via narrativa principe non poteva essere altra che quella del racconto di formazione, scegliendo un protagonista che in partenza non sembra proprio avere le stimmate dell’eroe ma che, come tutti gli adolescenti, è in cerca di sé, di autostima e di tutte le conferme possibili di questo mondo. Ricorda vagamente Peter Parker, il nostro Michele, ma senza brillare per particolare intelligenza o scaltrezza: è solo un ragazzino in via di crescita e definizione. La scoperta di una nuova natura, come evidente in questi casi, sblocca tante altre potenzialità inespresse e Michele acquisisce così quel coraggio e quella consapevolezza di sé che lo aprono al mondo e alle sue infinite possibilità. Salvatores è molto attento a connotare il suo protagonista come un ragazzino assolutamente comune, proprio per valorizzare il tema portante che l’eroe è nell’adolescente che è in ognuno di noi, e che lo si può trovare sempre quando le circostanze sono favorevoli a questo incontro col nostro sé che potremmo definire più immaginifico. E nella mistura c’è anche un po’ di X-Men, oltre che Spiderman, e ciò sarà palese quando verrà svelata la vera natura di Michele. Lo scenario in cui si dipana la pellicola è una Trieste che Salvatores ci restituisce alla sua incantevole bellezza mitteleuropea, grazie a sapienti inquadrature che ne valorizzano la grazia architettonica e ne immortalano una maestosità che il tempo non ha scalfito di una virgola. La macchina da presa del regista milanese è anche attenta a bilanciare i mirati effetti speciali, tutt’altro che artigianali e anzi assolutamente degni del genere che si è voluto rappresentare.
La recitazione dei ragazzi è apprezzabile, con un protagonista (l’esordiente Ludovico Girardello) credibile e azzeccato, mentre quella della Golino è di maniera e quella di Bentivoglio quasi caricaturale. Certo il film, dopo un’ottima prima parte nella quale sono più evidenti i motivi dell’opera e più strutturata la sceneggiatura, si sfilaccia un po’ nella seconda fino a un finale un pochino frettoloso. Ciò non inficia in alcun modo il risultato complessivo che è, voglio ribadirlo, assolutamente buono, non fosse altro perché l’operazione era rischiosa e perchè lo sviluppo della storia – e i suoi motivi intimi e profondi – è più complesso di quello che in apparenza può sembrare. C’è inoltre un sotto finale aperto, che dà adito a pensare possa esserci un seguito. Chissà che sia davvero l’inizio di un filone fortunato fantastico a firma Salvatores. Che lo sia o meno, quel che conta è che il regista milanese ci abbia regalato una pellicola di genere che può provare a specchiarsi senza eccessivo timore reverenziale con le diverse storie di supereroi d’oltreoceano. Gabriele Salvatores dimostra, una volta ancora, che quando cerca l’ampio respiro e ha a che fare con l’adolescenza ci regala le sue pellicole più ispirate (Io non ho paura, Come dio comanda), tanto che Il ragazzo invisibile è annoverabile decisamente tra le sue opere migliori.
Federico Magi, dicembre 2014.
Edizione esaminata e brevi note
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