“Sono una sepolta viva. Venti anni di bagno penale (tanti ne ho già trascorsi qua dentro) sono più eterni della morte e solo con la morte avrà fine questa eterna agonia“. Primavera 1883. La donna che parla è la “briganta”. Maria Rosa Cutrufelli, in questo suo breve, primo romanzo (apparso per la prima volta nel 1990), ha dato anima e voce ad una delle rare, ma non rarissime, donne-brigante. L’espediente letterario scelto della Cutrufelli è quasi un classico: Margherita, questo il nome della briganta, in prigione da tanto tempo, decide di raccontare in prima persona la sua vita. Dopo aver subito varie visite mediche da parte di scienziati che vorrebbero rintracciare nelle misure del suo cranio o nell’apertura delle sue braccia i segreti del male, il mistero della sua anima criminale, la donna diffida di chiunque tenti di avvicinarla. Un bel giorno, però, uno storico riesce a conquistare la sua fiducia e la convince a scrivere le sue memorie.
Fino a 22 anni Margherita è vissuta in un paesino dell’ex Regno delle Due Sicilie, uno dei tanti. Sua madre, una bella e colta aristocratica, le ha insegnato a leggere e a scrivere, le ha consentito di venire a contatto anche con opere proibite e con scrittori ritenuti pericolosi. Suo padre si limita a tollerare le “stravaganze” della moglie. Margherita è una ragazza istruita, una piccola grande eccezione per il tempo. Dopo la morte di sua madre, Margherita viene concessa in sposa ad un uomo che non ama: “mia madre mi aveva insegnato a leggere e a sognare ma non a difendermi“. Intanto l’Italia sta subendo mutamenti straordinari perché siamo nel 1860 e nel meridione gli stravolgimenti sono all’ordine del giorno.
Margherita continua a condurre la sua tacita vita: si limita ad acconsentire un po’ a tutto in una sorta di tragica passività. Nel marzo del 1861 la ritroviamo seduta sul letto. Accanto a lei il cadavere del marito con uno spillone d’argento conficcato in gola. E’ invasa da una strana apatia ma sa che deve allontanarsi. Dopo un solo anno di matrimonio, la giovane assassina scappa. Il corridoio gelido, la strada buia, gli alberi, il bosco. Si ritrova tra i sentieri che aveva già percorso con suo fratello Cosimo, “fuggiasco e non più studente ma soldato di Re Francesco“. Cosimo è un brigante della banda di Carmine Spaziante. L’Italia era già divenuta una, ma la sua nascita ha generato una marea di sbandati: prima garibaldini, poi soldati di Re Francesco II (i briganti). E mentre Margherita è ferma a guardare il torrente e i suoi sassi, vede sbucare dal nulla proprio suo fratello. Il giovane la porta con sé.
Una fuggiasca anche lei, seppur per ragioni diverse. Margherita entra nella stessa banda di suo fratello. Conosce un’altra donna, la prosperosa Antonia D’Acquisto, “la druda di Carmine Spaziante“, e diventa sua amica. Per Margherita inizia così una vita molto diversa da quella che aveva immaginato: “Mai avrei immaginato che mi sarei trovata a compiere una simile scelta. Io avevo sognato l’Italia e la Costituzione, la fine della monarchia assoluta e dei tiranni. Ma quando il sogno era diventato realtà, m’ero unita agli uomini della reazione: questo il nome dato la legittimismo e, al tempo stesso, alle sollevazioni contadine che la bandiera bianca dei Borboni tentò di coprire in quegli anni. Gli anni perduti, così amaramente perduti, della mia giovinezza“. Margherita è una briganta e, come tutti i briganti, vive alla macchia. Sa che deve cavarsela come può. Indossa pantaloni, impara a sparare e a difendersi come farebbe un uomo. Partecipa alle scorribande dei suoi compagni, si muove con circospezione e fugge se le Guardie Nazionali di Re Vittorio Emanuele sono nei paraggi. Una vita difficile e pericolosa ma è l’unica che le è concessa.
La Cutrufelli, con una scrittura delicata e sottile, si inoltra nell’anima della sua briganta e la briganta la ripaga con un viaggio affascinante e complesso attraverso il fitto delle sue colpe, nei meandri della sua coscienza, tra i gorghi dei suoi ricordi. Una colpa, l’assassinio del marito, che viene rivissuta vivacemente nel racconto della prigioniera. Un omicidio frutto della disperazione, una disperazione cresciuta fino a divenire odio. Le memorie di Margherita sono, al contempo, confessione e smarrimento, afflizione ed indulgenza. Scrivere per la briganta diviene un modo, probabilmente l’unico e l’ultimo, per affermare la propria esistenza in vita. “Io non sto scrivendo per accusare qualcuno o per prendere vendetta di torti subiti, immaginati o reali che siano. Perché scrivo, dunque? Solo uno è il mio intento e il mio scopo: sentirmi viva ancora una volta, forse l’ultima. Sentirmi viva nel semplice riaffiorare dei ricordi, ma anche nel tentativo di ripensarmi e conoscermi attraverso lo specchio della memoria“.
Edizione esaminata e brevi note
Maria Rosa Cutrufelli è nata a Messina. Ha conseguito una Laurea in Lettere all’università di Bologna. In seguito inizia a collaborare con varie riviste critiche e letterarie. Da sempre attenta alle problematiche femminili e impegnata come femminista, la Cutrufelli ha scritto svariati testi legati a tematiche femminili. Ha curato due antologie, ha scritto diversi racconti e alcuni romanzi tra cui: “La briganta” (Frassinelli, 1990); “Complice il dubbio” (Frassinelli, 1992); “Il paese dei figli perduti” (Tropea, 1999); “D’amore e d’odio” (Frassinelli, 2008) e “I bambini della ginestra” (Frassinelli, 2012). E’ autrice di libri di viaggio e di alcuni radiodrammi per la Rai. Vive a Roma.
Maria Rosa Cutrufelli, “La briganta”, Sperling & Kupfer (collana Frassinelli Paperback), Milano, 2005.
Pagine Internet su Maria Rosa Cutrufelli: Wikipedia / Blog (Il Fatto Quotidiano)
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