Mauricio Rosencof porta sulle spalle una storia pesante. Fondatore della Gioventù Comunista Uruguaiana prima e dirigente del movimento Tupamaros (Movimento di Liberazione Nazionale Uruguaiano) poi, venne arrestato nel 1972 e tenuto in isolamento per undici anni a partire dal 1973. Rinchiuso, torturato, vessato, straziato dai suoi carcerieri: ostaggio della dittatura militare. Fu liberato solo nel 1985. Non so come abbia potuto restare vivo so che in questo libro, “Sala 8”, ha portato grosse porzioni di quel supplizio. Difficile narrare l’inenarrabile, però Rosencof ci prova e ci riesce. Come? Combinando immaginazione e verità, allucinazioni e ferite, morte e sopravvivenza.
La Sala 8 esisteva davvero. Un reparto dell’ospedale militare di Montevideo dove venivano trasportati i prigionieri in fin di vita. L’obiettivo era quello di rimetterli in sesto, per quanto possibile, e ricondurli al cospetto dei loro torturatori. Diego Simini, nella sua postazione, spiega questa aberrante meccanica: “A differenza dell’Argentina, dove a partire dalla seconda metà degli anni Settanta furono massacrate circa 30.000 persone, facendone perdere le tracce, in Uruguay si preferì instaurare un duro regime carcerario tentando, allo stesso tempo, di mantenere in vita i detenuti, nonostante le condizioni precarie in cui si trovavano e le pesanti torture cui erano sottoposti. Nel caso in cui le vittime non fossero riuscite a resistere ai feroci maltrattamenti, la notizia della loro morte veniva resa nota a discrezione dei militari, che attribuivano invariabilmente il decesso a motivi accidentali come un tentativo di fuga, oppure il suicidio del detenuto stesso. Altre volte facevano scomparire il cadavere, negando ogni responsabilità sull’accaduto“.
Nella Sala 8 Mauricio Rosencof c’è stato davvero. Più di una volta. Eppure “Sala 8” non è pura autobiografia. Perché parte da una pre-condizione letteraria diversa: la voce narrante appartiene ad un morto. Forse Rosencof ha semplicemente immaginato se stesso cadavere (o fantasma), ucciso dai militari e depositato nella Sala 8 in attesa di un epilogo ben noto. Il punto di vista di un uomo deceduto diviene, tra visioni, ricordi e nostalgie, il percorso logico/fantastico su cui si muove tutto. “Sala 8” è organizzato in forma piuttosto frammentaria: sono ben 88 i brani che lo compongono. La lettura non è semplicissima perché si ha la sensazione di dover ricomporre la storia pagina dopo pagina. Gli episodi sono diversi, appartengono al presente e al passato, e si sovrappongono e si intersecano in continuazione.
Alla voce del “fantasma” che vede se stesso disteso nel letto 17, si unisce anche quella di sua madre. La donna non sa dove sia suo figlio, non sa se sia vivo o morto. Vaga tra carceri, caserme ed ospedali mendicando informazioni. Nulla. Nessuno conferma, nessuno smentisce. Una figura affranta e priva di conforto che rappresenta e racchiude tutte le madri dei desaparecidos. La donna si limita a sperare. Prepara cibi, mentre parla da sola col cane Juanchi, e li porta ai carcerieri illudendosi che suo figlio possa riceverli. “Porto sempre qualcosa da mangiare, Juanchi, ma non te, perché qualcuno deve pur stare di guardia alla casa. Porto qualcosa perché non si sa mai. Tanto, mi danno sempre le stesse risposte: ‘qui non c’è’, ‘non lo conosciamo’, ‘vada alla polizia’, ‘vedrà che se n’è andato a zonzo’. Chissà se un giorno mi diranno: ‘E’ qui, signora, mi dia il recapito e le faremo sapere.“.
Ci sono poi altre vittime nella Sala 8. C’è il Chongo, incapace di camminare a causa delle torture subite. C’è l’Enjuto, fatto prigioniero per un’omonimia mai spiegata e costretto a rimanere sepolto vivo dal collo in giù e con gli occhi bendati e che oramai crede che il suo corpo si stia trasformando in un vegetale fatto di radici, foglie ed erba. C’è il Pichi, un uomo ridotto a pensare e a comportarsi come un cane solo perché è così che i suoi torturatori lo hanno sempre trattato. E poi c’è la Petisa, una donna che tenta di riacquistare l’uso delle gambe, massacrata a furia di scariche elettriche. Eppure in questo inferno c’è spazio persino per una delicatissima storia d’amore, quella che nasce tra il Chongo e la Petisa. Un amore fatto di soli sguardi, trafugati dal Chongo durante il percorso per andare in bagno o sospesi tra le fessure delle lenzuola che separano gli uomini dalle donne. “Questa è una storia d’amore. Racconta come la Petisa e il Chongo riuscirono a rendere profondo il linguaggio dei loro occhi: si dissero tante cose, si raccontarono le proprie vite, parlarono dei loro progetti, ne costruirono altri in comune, ebbero figli. Era come se avessero recuperato, con il desiderio, con l’ansia, una facoltà dimenticata che l’organismo riusciva a far riemergere nei giorni di distanza, solitudine, esilio“.
E nella Sala 8 arriva anche per un’anonima prigioniera partoriente. Un’apparizione fugace, muta. Eppure la nascita della sua bambina simboleggia e racconta uno degli eventi più raccapriccianti della storia delle dittature sudamericane: la sottrazione di bambini appena partoriti dalle prigioniere. Bambini e bambine rapiti ed affidati ad altre persone mente le madri venivano fatte sparire subito dopo il parto.
Simini considera “Sala 8” come un “delicato omaggio ai desaparecidos”. Sì, “Sala 8” è anche un omaggio ai desaparecidos ma, a mio avviso, è anche testimonianza, è anche denuncia, è anche memoria. Trasfigurando le atrocità delle torture, ironizzando persino sull’ottusità dei torturatori, unendo dolore ad altro dolore, Rosencof si è preso una rivincita. Una sorta di riscatto umano e morale che, probabilmente, solo attraverso la letteratura è possibile conquistare. Nonostante il tempo, nonostante la morte.
Edizione esaminata e brevi note
Mauricio Rosencof è nato a Florida, in Uruguay, nel 1933, figlio di ebrei polacchi sfuggiti nel 1931 dal nazismo. E’ scrittore, drammaturgo, politico e giornalista. E’ stato tra i fondatori della Gioventù Comunista Uruguaiana e, negli anni a seguire, è divenuto dirigente del Movimiento de Liberacion Nacional (Tupamaros). Fu catturato nel 1972 e tenuto in isolamento a partire dal 1973 per undici anni in una cella di 1,80 metri per 1,20. Dopo tredici lunghi anni di prigionia, Rosencof è stato liberato nel 1985. E’ autore di varie opere e fiabe per bambini. Una volta libero ha continuato nel suo impegno politico: è stato assessore alla cultura per il municipio di Montevideo. Le traduzioni in italiano dei libri di Mauricio Rosencof sono le seguenti: “Le lettere mai arrivate” (Le Lettere, 2008); “Discorsi con l’espadrilla” (Ponte Sisto, 2009); “Memorie dal calabozo. 13 anni sotto terra” (Iacobelli, 2009); “Il quartiere era una festa” (No Ripios, 2011); “Le leggende del nonno di tutte le cose” (Nova Delphi, 2011); “Sala 8” (Nova Delphi, 2013).
Mauricio Rosencof, “Sala 8“, Nova Delphi, Roma, 2013. Traduzione di Fabia Del Giudice. Postfazione di Diego Simini. Titolo originale: “Sala 8” (2011).
Pagine Internet su Mauricio Rosencof: Wikipedia / Esserecomunisti.it /Scheda Nova Delphi
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