Le usate strade
Folli i miei passi come d’un automa
Che una volta d’incanto si muovevano
Con la mia corsa,
Ora più svolgersi non sanno in grazie
Piene di tempo
Svelando, a ogni mio umore rimutate,
I segni vani che le fanno vive
Se ci misurano.
Sono i primi versi di una poesia di Ungaretti. La poesia si intitola “Folli i miei passi”. E non credo sia un caso che “Folli i miei passi” sia diventato anche il titolo italiano di un libro dello scrittore francese Christian Bobin appena pubblicato dalle Edizioni Socrates. Stiamo parlando di un’opera apparsa per la prima volta nel 1995 con il titolo originale di “La folle allure”. Un’altra cosa, è evidente. Eppure, nonostante non ami gli stravolgimenti letterari, soprattutto in merito ai titoli, preferisco “Folli i miei passi”: più curioso, più evocativo.
Un romanzo breve, intriso di quella immediatezza e di quella profonda leggerezza che trovo solo nelle buone letture. Perché “Folli i miei passi” è una buona lettura. Di quelle che ti spingono a volerne di più. Di quelle che ti svelano un autore che sai di poter amare mille altre volte. Un successo, a mio avviso. Il fascino della scrittura di Christian Bobin sta nell’essere fatta di frammenti, piccole scene o piccoli idilli nei quali è facilissimo riconoscere l’ispirazione di un poeta e i giochi di immagini e linguaggio propri di chi, con le parole, fa esattamente quello che vuole.
Bobin parla in prima persona. Una prima persona che però è una donna: impresa non da poco. Il cuore di “Folli i miei passi” è un personaggio femminile. Bambina prima, donna più tardi. Una bambina che si innamora di un lupo, sfidando un tabù da fiaba: “Il mio primo amore ha i denti gialli. Entra negli occhi dei miei due anni, due anni e mezzo. Dalla pupilla dei miei occhi scivola nel mio cuore di bambina dove si costruisce la tana, il nido, il covo. Mentre vi parlo, c’è ancora. Nessuno ha saputo prendere il suo posto. Nessuno ha saputo scendere così lontano. Ho iniziato la mia carriera di innamorata a due anni con l’amante più fiero che ci fosse: coloro che sono arrivati dopo non sarebbero mai stati all’altezza, né mai avrebbero potuto esserlo. Il mio primo amore è un lupo. Un vero lupo con pelo, odore, denti giallo avorio, occhi giallo mimosa. Macchie di stelle gialle in una montagna di pelliccia nera“.
Alla morte del lupo la bambina impara a fuggire. Si allontana furtiva dal circo in cui vive con suo padre e sua madre e diviene un’altra. La ritrovano sempre da qualche altra parte con altre persone e storie inventate. Crea nomi nuovi per ri-crearsi ogni volta. “Sì mi chiamo Aurore, ecco, ora sapete tutto. No, scherzo: mi chiamo Belladonne. E poi anche: Marie, Ludmilla, Angèle, Emily, Astrée, Barbara, Amande, Catherine, Blanche. Scherzo, è più forte di me. Più una cosa è seria, più mi piace ridere: l’ho ereditato da mia madre“. In verità si chiama Lucie. Dopo il circo arriva il cimitero. Il padre di Lucie accetta di trasformarsi da nomade a stanziale diventando becchino.
E per Lucie la vita propone un marito giovane quanto lei, uno o due mestieri e un amante, l’orco. Colui che le farà scoprire un altro amore, dopo il lupo. L’amore si chiama Bach, l’omone: “Mi parla, l’ascolto. La stanza è minuscola ma l’omone non occupa molto spazio: sta in una cassetta e in un registratore. L’omone è Bach. Johann Sebastian. Ho sempre ribattezzato le persone che mi donavano qualcosa, e l’omone mi ha donato molto nella vita. Avete già visto un ritratto di Bach? Con la sua pancia rotonda mi fa pensare a una gatta incinta. La sua anima doveva assecondare il suo corpo. La sua anima, carica come un ventre di migliaia di gattini, ha partorito, nel corso della sua vita, migliaia di note. Il bisogno di creare è nell’anima, come il bisogno di mangiare è nel corpo. L’anima è fame“. Dopo il matrimonio e l’amante arriva, ineluttabile, il divorzio. E dopo il divorzio giunge, per caso, il cinema: da comparsa a piccola attrice. Ma poi la voce dell’angelo custode, che viene descritto coi capelli rossi e le ali spiegazzate intento a sbadigliare di continuo, torna a dirle di andare via proprio quando sembra aver trovato successo e stabilità. Nulla di più deleterio. Il rifugio diventa un albergo nel Jura dove Lucie scrive di sé. A modo suo è scappata ancora una volta perché, ancora una volta, sceglie di non preoccuparsi del dopo (come facciamo tutti e fin troppo spesso). Per Lucie esiste solo un “si vedrà”. La magia del presente racchiude il solo senso comprensibile della vita. Il timore di cosa verrà dopo stritola l’adesso e con esso anche la libertà di scegliere per impulso o passione. La rivelazione che fa la Lucie bambina diviene il “sesamo” della sua esistenza: “nessuno mai mi potrà costringere in nulla. Nessuno. Mai. In nulla“.
Edizione esaminata e brevi note
Christian Bobin è nato nel 1951 a Creusot, luogo in cui tuttora vive. Ha studiato filosofia ed ha lavorato prima presso la biblioteca municipale d’Autun poi per l’Ecomuseo di Creusot. Le sue prime pubblicazioni risalgono alla fine degli anni ’70. Il successo, però, arriva solo nel 1991 grazie a “Une petite robe de fête”. Ma ancora più clamore suscita un libro pubblicato l’anno dopo, si tratta di “Le Très-Bas”, dedicato a Francesco d’Assisi e vincitore di alcuni premi letterari. Christian Bobin è letterato, poeta, saggista. Numerose sue opere sono state tradotte anche in italiano, tra esse possiamo ricordare: “Francesco e l’infinitamente piccolo (Il pozzo, 1994); “L’uomo che cammina” (Sympathetika, 1998); “Geai” (Le vele, 2000); Elogio del nulla (Philologia, 2002); “Resuscitare” (Gribaudi, 2003); ” Il distacco dal mondo” (Servitium, 2005); “Consumazione. Un temporale” (Città Aperta, 2006); “La parte mancante” (Città Aperta, 2007); “Mille candele danzanti” (Camelozampa, 2008); “Più viva che mai. Una storia d’amore dura per sempre” (San Paolo Edizioni, 2010); “Autoritratto al radiatore” (AnimaMundi Edizioni, 2012); “Una biblioteca di nuvole” (Camelozampa, 2012); “Folli i miei passi” (Edizioni Socrates, 2013).
Christian Bobin, “Folli i miei passi”, Edizioni Socrates, Roma, 2013; AnimaMundi Edizioni, Lecce, 2013. Traduzione di Maddalena Cavalleri. Titolo originale: “La folle allure”, Editions Gallimard, Paris, 1995.
Pagine Internet su Christian Bobin: Wikipedia (fr)
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