In Rete qualcuno sussurra che David Machado possa essere considerato una sorta di Paolo Giordano in versione portoghese. Ho letto, al tempo, la celeberrima opera prima di Giordano, “La solitudine dei numeri primi”, ma non mi sembra che Machado sia poi così vicino a Paolo Giordano se non per qualche dettaglio di superficie: nel romanzo “Che parlino le pietre” Machado mette al centro della vicenda un ragazzo problematico, Valdemar, a cui si affianca la presenza di Alice, una ragazzina anoressica che è per lui un’amica speciale e una ragazza da amare. Le somiglianze tra i due scrittori, a mio avviso, finiscono qui. Perché la storia costruita da Machado è molto più complessa, i suoi personaggi sono più complicati e la sua scrittura sa essere, se posso, un po’ più articolata.
Se si volesse dare una definizione telegrafica di “Che parlino le pietre” si potrebbe dire, semplicemente, che questo libro rappresenta un viaggio verso la verità. Una ricerca che si fa spietata, ruvida, angosciante e che, soprattutto, è capace di consumare intere vite. La verità deve fare i conti, come al solito, con la memoria e con le sue interpretazioni. La verità, seppur apparentemente logica e lineare, non ha quasi mai un’esistenza semplice. Lo sa bene il giovane Valdemar, un ragazzone sovrappeso, violento, introverso e silenzioso. Il ragazzo ascolta, fin da bambino, le terribili ed avvincenti storie che gli racconta suo nonno paterno, Nicolau Manuel. Machado si muove nel tempo: dal presente di musica heavy metal e problemi scolastici di Valdemar al tragico passato di suo nonno Nicolau.
Nicolau Manuel è un ragazzo di 19 anni che viveva nello sperduto paesino di Lagares, aiutante di sua madre nella bottega di merceria, appassionato di caccia e di poco altro. Un giorno, senza alcuna ragione, se non per un disastroso malinteso, viene arrestato. E non si tratta di un giorno qualunque perché quello era il giorno in cui avrebbe dovuto sposare Graça dos Penedo. E’ mattina presto, Nicolau ha festeggiato tutta la notte il suo addio al celibato e si è svegliato, ubriaco e stordito, tra l’erba accanto al fiume. E’ il 22 giugno 1947, il Portogallo è nelle mani di Salazar. E Nicolau Manuel viene portato via dalla Guarda Nacional perché considerato un collaboratore di una banda di galeghi antifascisti accampati nei dintorni di Lagares al comando dello spagnolo Guillermo de La Coruña.
Seguono gli interrogatori, le torture, le sevizie. Nicolau viene reso sordo, ridotto allo stremo e avvicinato più volte alla morte. Trascorre anni ed anni lontano dalla sua terra, passando da una prigione all’altra, da un torturatore all’altro. Le sue peripezie diventano un’avventura dai toni picareschi, incredibili. Valdemar raccoglie tutto in un quaderno. Sa che la verità raccontata da suo nonno è ben diversa da quella trasmessa dai libri o dalle parole degli altri. Gli eventi raccontati da Nicolau, infatti, hanno una sostanza diversa: “solo chi ha vissuto i fatti ne può parlare; tutti gli altri, per quanto quello che dicono si avvicini alla verità, avrebbero fatto meglio a stare zitti“. La convinzione di Nicolau, e quindi di Valdemar, è una sola: a farlo arrestare il giorno del suo matrimonio è stato il sarto del paese, proprio colui che gli ha preparato il vestito per le nozze, l’uomo che poi ha sposato Graça ed ha trascorso la vita accanto a lei, la donna di Nicolau Manuel.
Ma la verità deve arrivare, in un modo o nell’altro, a Graça dos Penedo. Nicolau non ha mai smesso di pensare che lei avrebbe dovuto sapere come erano andate realmente le cose. Ed è Valdemar che si incarica di portare la storia di suo nonno al cospetto dell’anziana donna. Un dovere al quale si affianca anche un desiderio di vendetta: Amadeu Castelo, il sarto, deve pagare con la vita l’antico tradimento.
David Machado si muove su piani temporali diversi in maniera agilissima e coinvolgente. Le parole fluiscono senza che il lettore percepisca la loro esatta gravità. D’altro canto è Valdemar che parla. E’ lui, un adolescente inquieto e a modo suo fin troppo sensibile, a riportare la sua storia e infinite altre storie ereditate da suo nonno. “Che parlino le pietre” è una storia formata da una miriade di altre storie. Le interpretazioni del reale, menzogne comprese, sanno moltiplicare un evento proprio come nei giochi di specchi. In una sola storia, quindi, possono ritrovarsi mille fili, mille risvolti, mille possibilità. E Valdemar ne dispiega una buona dose rendendo la lettura del romanzo particolarmente vivace ed accattivante. Nella complessa struttura narrativa messa a punto da Machado, mi sembra di riconoscere quella stessa laboriosità e quella stessa abbondanza che ho trovato in diversi autori in lingua portoghese.
Edizione esaminata e brevi note
David Machado è nato il 14 Giugno 1978 a Lisbona. E’ laureato in Economia ma si è dedicato costantemente alla scrittura. Ha pubblicato due romanzi, una raccolta di racconti e cinque libri per ragazzi. Il suo primo romanzo si intitola “Il favoloso teatro del gigante” edito in Italia da Cavallo di Ferro nel 2009. Nel 2013 la stessa casa editrice ha pubblicato anche “Che parlino le pietre”.
David Machado, “Che parlino le pietre”, Cavallo di Ferro, Roma, 2013. Traduzione di Federico Bertolazzi. Titolo originale: “Deixem falar as pera” (2011).
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