Il passato di un popolo foggia il suo presente, ne costituisce le radici ultime e profonde e dunque non può e non deve essere dimenticato, pena la perdita della propria identità.
Ricordare non significa rimanere prigionieri di un passato di fatica, di povertà e di sofferenze ormai soppiantato da un presente denso di benessere, ricordare è essere consapevoli di sé, di quale strada si sta percorrendo e di quale direzione intraprendere.
Il ricco e documentatissimo libro di Marco Forni si colloca in questa dimensione, costituendo una ricerca sui più vari aspetti della vita e della cultura ladina nelle valli dolomitiche.
Dotato di ampio corredo fotografico – che ne fa quindi un librone elegante ed esteticamente bello – è una trattazione accurata e precisa che spazia tra le vicende storiche dei ladini, l’architettura nelle loro valli, la religione, le credenze popolari, la stregoneria, le feste e il folclore, le usanze in occasione di nascite, morti, matrimoni, la cucina, la musica.
I territori dei ladini dolomitici sono la val Badia, la val di Fassa, la val Gardena e il Livinallongo con l’abitato di Colle Santa Lucia. Si articolano in diciotto comuni ed è dalle origini, dai primi insediamenti preistorici in queste zone che Forni avvia la sua ricerca.
Valli isolate per lungo tempo, hanno ospitato popolazioni temprate dalla dura vita in un ambiente ostile all’uomo, basti pensare che, in primavera spesso era necessario, prima d’iniziare i lavori nei campi, andare a recuperare la terra franata a fondovalle durante l’inverno.
La società era patriarcale con le autorità canoniche: il parroco, il maestro, il medico, voci autorevoli del paese. I ritmi erano quelli delle stagioni, della terra e dell’anno liturgico, in una mescolanza di sacro e profano, dove nella religiosità cattolica s’innestano retaggi pagani e antiche superstizioni volte a preservare case e stalle dal maltempo e dai fulmini. Vivissima la dimensione comunitaria, nella quale i principali eventi della vita vengono vissuti.
Soltanto in tempi relativamente recenti lo sviluppo del turismo ha portato benessere e ricchezza in queste terre, si sono scoperti gli sport di montagna estivi e invernali, la bellezza del paesaggio è diventata una potente risorsa.
Dalla pastorizia e dall’agricoltura si è passati all’industria alberghiera, l’emigrazione è quasi del tutto cessata.
Naturalmente il passaggio non è stato indolore, poiché non solo l’esubero di impianti di risalita rischia di deturpare definitivamente il paesaggio, ma si vanno smarrendo antiche tradizioni e mestieri, il senso delle proprie radici va dimenticato e i ladini potrebbero diventare soltanto un ricordo, un fenomeno folcloristico.
Osserva Forni: “Proprio in questi tempi è utile volgersi indietro, per chiederci come eravamo, cosa stiamo diventando e come immaginiamo di dare una ragione di essere al nostro futuro prossimo, non potendo comunque eludere la catena casuale degli eventi”. (p.112)
Il suo libro non vuole costituire solo un’operazione documentaristica, ma vuol gettare uno sguardo accurato al passato per dare senso al presente e fondare il futuro. È ammirevole l’attaccamento alla propria terra da sempre dimostrato dai ladini e la loro fierezza d’appartenere a una minoranza spesso – specie in Veneto –non sufficientemente tutelata e riconosciuta, mentre ampi meriti in questo senso vanno alla regione Alto-Adige.
Nelle valli ladine la segnaletica stradale si presenta in tre lingue: ladino, che ha le sue varianti a seconda della valle, tedesco e italiano. Proprio la lingua è il tratto distintivo dei ladini contemporanei.
Il ladino è una lingua neolatina, il termine deriva da “Latinus”.
“Il ladino delle Dolomiti conserva molte peculiarità proprie di quella latinità che nel corso dei primi secoli dell’Impero Romano si era estesa lungo l’arco alpino centro-orientale e nelle prealpi, al di qua e al di là della catena alpina. La struttura del ladino presenta altresì un’evidente influenza celtica. Il ladino mantiene – anche se in maniera eterogenea nelle diverse valli ladine – molte peculiarità linguistiche originarie che un tempo connotavano grosso modo tutta la Galloromània”. (p.32)
In tutte le vallate permangono le cosiddette “parole alpine” o “retiche”, cioè porzioni di lessico prelatino che sopravvisse nel nuovo latino alpino.
Forni ha inoltre constatato che duecento parole sono comuni al ladino e al dialetto veneto.
Le popolazioni attuali sono comunque bi o tri-lingui, proprio per questo è importante salvaguardare il linguaggio originario, che è tratto distintivo principale della comunità.
Ben venga il turismo, se consente di uscire da una condizione di miseria e di fatica, ma è fondamentale ricordare la propria identità, tramandare la memoria delle generazioni passate (e per farlo Forni ha talvolta intervistato nonne, zie e “veci” del paese, sempre però corredando le notizie con adeguate spiegazioni etnologiche e ricca bibliografia), tener vivo quel senso d’originalità, d’appartenenza che non significa chiusura alla modernità, ma consapevolezza del proprio essere.
Edizione esaminata e brevi note
Marco Forni (1961) vive con la sua famiglia a Selva Gardena. Di mestiere di occupa di parole: dette, raccontate, scritte e ascoltate; parole dimenticate o entrate nell’uso. Dal 1991 lavora nell’Istituto Ladino “Micurà de Rü”. Ha scritto saggi di carattere sociolinguistico, storico-etnografico e lessicografico. È autore del dizionario: Wöterbuch Deutsch-Grödner-Ladinisch. Vocabuler Tudësch-Ladin de Gherdëina (2002). É stato cofondatore e redattore della rivista plurilingue di letteratura e arte Tras-Form Culturel.
Marco Forni, Momenti di vita. Passato narrato, presente vissuto nelle valli ladino-dolomitiche, Istitut Ladin Micurà de Rü 2007.
In rete: http://www.micura.it/
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