“Due belle sfere di vetro ambrato” è sicuramente un romanzo piacevole. Ed è anche un romanzo molto accessibile perché si legge con una certa leggerezza e rapidità. La sensazione è che non solo il libro in sé sia divertente ma che anche il suo autore, il professor Caponetti, si sia divertito a scriverlo. La storia prevede che il lettore viaggi nel tempo: si va dall’anno 2010 agli anni che vanno dal 1457 al 1496. Il legame che unisce il presente al passato potrebbe sintetizzarsi in quelle “due belle sfere di vetro ambrato” che, secondo quanto narra la leggenda della famiglia Pàvari, conterebbero i testicoli di un cavallo appartenuto addirittura al condottiero Bartolomeo Colleoni. E se qualcuno, nel XV secolo, ha scelto di conservare all’interno di due sfere di vetro delle parti tanto singolari di un cavallo, un motivo dovrà pur esserci stato.
A dire il vero Alvise Pàvari dal Canal, ultimo discendente dell’omonima e famosa casata veneziana, non crede molto alla vecchia leggenda. E’ un uomo dei nostri tempi. Un esperto di storia equina ed equestre. Tanto che lo troviamo impegnato a preparare un discorso da presentare di fronte all’Accademia di Svezia sul tema “L’arte del cavallo e del cavalcare nel Rinascimento europeo”. Così Giorgio Caponetti, dopo averci brevemente introdotto nel raffinato appartamento veneziano di Alvise, compie il primo salto nel tempo. Anno 1457. Inizia qui la storia di Pàvaro, il capostipite della famiglia Pàvari dal Canal. Un uomo determinato e sveglio che, pur avendo umilissime origini, è riuscito ad arricchirsi grazie al commercio dei cavalli. Incontriamo Pàvaro proprio mentre è impegnato in una discussione con il Colleoni, capitano generale della Serenissima repubblica di Venezia. I due si stimano e si rispettano, ma nel mondo degli affari è sempre meglio essere chiari e risoluti.
Anno 2010. Alvise ripete il suo discorso accademico ma viene improvvisamente interrotto da Toni: “Alvise, ghe xe un problema…“. E il problema di cui parla Toni non è altro che il fantasma di Rossana, la moglie di Pàvaro Pavàri che sembra essere rimasto imprigionato nel grande palazzo di famiglia che affaccia sul Canal Grande e che, di tanto in tanto, fa la sua comparsa. Toni ha la sua soluzione: “Bisogna pregàr parché quela povera anima trovi pase dopo tutti ‘sti ani. Quela meschina… chissà mai ghe ce capità…“. Perché Rossana è esistita davvero. Ed è colei che ha messo al mondo il discendente del fondatore della casata, Pàvaro dal Canal, prima di essere rinchiusa nella sua stanza per tutta la vita e morire di solitudine, dimenticanza e follia.
Nella storia, però, Caponetti va ben presto ad iniettare una piccola dose di giallo che, tanto per cambiare, prende il via dall’incontro, apparentemente casuale, tra Alvise e una bella donna bionda “con gli occhi rosa“. Si tratta di Eva. Eva Kant, per la precisione. Una avvenente biologa russa che ha in testa un’idea piuttosto bizzarra: vuole ricreare il cavallo perfetto. E il cavallo perfetto, per lei, è quello rappresentato ed immortalato nella statua del Colleoni collocata, a fine ‘400, presso il Campo Santi Giovanni e Paolo a Venezia. L’idea di Eva è abbastanza avveniristica ma scientificamente non impossibile: “il mio sogno è clonare quel cavallo, farlo rivivere, ricreare quella perfezione assoluta. E poi voglio montarlo e addestrarlo“.
Ed è a questo punto che si pone l’autentico mistero legato alle “due belle sfere di vetro ambrato”. Soprattutto perché, nel momento in cui Alvise ed Eva tornano a casa, le due sfere sono sparite. Rubate. Da chi? Con quale scopo? Ovviamente non sta a me svelare l’arcano né raccontare il resto della storia. Mi basta semplicemente spiegare che il romanzo di Caponetti è sicuramente molto avvincente. L’autore ha saputo incastrare in maniera piuttosto abile e suggestiva vicende storiche realmente accadute e invenzioni pure e semplici. Si è preso qualche licenza e qualche libertà letteraria, ma ha saputo ricostruire atmosfere rinascimentali veneziane molto affascinanti e credibili. Nella sua storia trova persino posto il grande Leonardo da Vinci. Non era per caso lui uno dei migliori disegnatori di cavalli del tempo?
Edizione esaminata e brevi note
Giorgio Caponetti è nato nel 1945 a Torino. Si è laureato presso la facoltà di Lettere e Filosofia. Ha lavorato per diversi anni come copywriter e come direttore creativo firmando importanti campagne pubblicitarie. Ha curato la sceneggiatura e la regia di diversi spot e filmati. Nel 1974 decide di lasciare la città e di trasferirsi nel Monferrato, una scelta che gli consente di perfezionare l’arte dell’equitazione che, ben presto, diviene uno dei suoi impegni personali e professionali più importanti. Si trasferisce nel grossetano dove apre la scuola di equitazione di Poggialto. Cura le regia dell’enciclopedico “Manuale di Equitazione”, collabora con la FISE, con TV, riviste e vari organismi istituzionali. Negli ultimi anni è divenuto titolare della cattedra universitaria di “Gestione delle risorse faunistiche e zootecniche”. Nel 2011 esce il suo primo romanzo, “Quando l’automobile uccise la cavalleria”, seguito nel 2013 da “Due belle sfere di vetro ambrato”, entrambi pubblicati da Marcos y Marcos. Caponetti vive e lavora a Tuscania.
Giorgio Caponetti, “Due belle sfere di vetro ambrato“, Marcos y Marcos, Milano, 2013.
Pagine Internet su Giorgio Caponetti: Sito ufficiale / Facebook
Follow Us