“Parole di giorni lontani”, come spiega nella Premessa lo stesso Tullio De Mauro, è una “autobiografia linguistica”. Attraverso questo breve e vivace libro, infatti, l’illustre linguista ed italianista ricorda le sue prime esperienze e i suoi primi contatti con le parole, con la lingua italiana e con i suoi possibili significati. “E ho cominciato anch’io, sull’esempio di Alberto [Asor Rosa], a raccogliere appunti, appunti, nel mio caso, delle memorie dei miei primi anni di inciampi, scacchi e, talvolta, vittorie sulla lunga strada dell’apprendimento e della comprensione delle parole. Così per i suoi settant’anni ho potuto dare al mio amico quanto io posso dar: parole, appunto, come diceva Ludovico Ariosto, e opera d’inchiostro“.
“Parole di giorni lontani” non ha alcun carattere accademico né dottrinale. Il professore si diverte (e ci diverte) nel ricordare alcuni episodi della sua infanzia durante i quali egli, bambino inesperto e curioso, si imbatte in parole e in espressioni che a volte lo affascinano, a volte lo inquietano ed altre volte lo inducono a bizzarri equivoci. Basti citare, ad esempio, l’episodio intitolato “Io perbenisco, tu perbenisci, egli perbeniste” in cui un piccolo Tullio De Mauro, alle prese con eventi storici ben più grandi di lui e al tempo sicuramente poco chiari, scopriva che quello che tutti chiamavano Duce in realtà si chiamava Mussolini, creando qualche confusione linguistica con uno dei canti che sentiva in casa dai suoi fratelli maggiori: “La scoperta dalla parola risalì alla lingua: mi portò infatti a cancellare dal mio lessico mentale il verbo perbenire che inizialmente avevo introiettato, sentendo e ripetendo E-per-be-ni-to-mus-so-li-ni-e-ja-e-ja-a-la-la, in cui isolavo E e Mussolini e in mezzo, però, isolavo il participio passato di un verbo, io perbenisco, tu perbenisci ecc. col suo bravo significato equivalente più o meno a «lodare» o, se avessi conosciuto la parola, «magnificare»: «e sia lodato Mussolini», questo più o meno capivo. Sentendo parlare sempre più spesso di Benito Mussolini, imparai a analizzare correttamente i versi di Giovinezza, separai finalmente per e Benito e cancellai il verbo perbenire, della cui invenzione nella mia testa per fortuna nessuno mai si era accorto“.
I brevissimi capitoli che compongono “Parole di giorni lontani” sono momenti in cui l’illustre italianista descrive, in maniera sempre molto accurata e ricorrendo a tutta la raffinatezza di cui è capace, vicende legate alla sua famiglia, alla sua infanzia e, nel contempo, alla Storia italiana degli anni ’30 e ’40. Oltre alle canzoni fasciste, di cui poco capiva, De Mauro aveva modo di conoscere anche alcuni versi di Dante o di Pascoli grazie a sua madre e a sua sorella. Se in un primo momento il piccolissimo Tullio fingeva di scrivere e di leggere imitando i suoi fratelli, se si appassionava alle storie de “Il Corriere dei Piccoli” che sua sorella gli leggeva, pian piano cominciò ad entrare in confidenza con la parola scritta attraverso i dorsi dei libri. E mentre sua madre dava ripetizioni di matematica, parlando di seni, coseni e tangenti, De Mauro osservava con attenzione i dorsi di quattro grossi volumi posti alla sua altezza. “La scritta, nera, si ripeteva quasi eguale su tutti e quattro. Pitoccai per giorni dai fratelli e da mia madre la decifrazione di questa o quella lettera e un giorno, andato via lo studente di turno, mi rivolsi a mia madre e tutto d’un fiato, additando uno dei dorsi, esclamai: «victorugolesmiserablesiv»“. Le prime parole lette diventano così una scoperta rivoluzionaria alla quale si affianca, ben presto, anche quella dei numeri appresi, nei loro rudimenti, grazie alla filastrocca del piccolo naviglio.
La mescolanza tra la lingua italiana, che i genitori imponevano in casa, e le espressioni napoletane imparate a scuola o per strada diviene spunto per riflessioni a posteriori ed altre memorie. Le storie procedono portano De Mauro attraverso il suo percorso scolastico, le prime letture e, come detto, mutamenti della vita familiare con il trasferimento dalla casa dell’Arenella a quella del Vomero e, a seguire, la scelta paterna di lasciare Napoli per lavorare in una farmacia di Roma.
“Parole di giorni lontani” è il percorso di un’iniziazione, il racconto dell’avvicinamento costante, e probabilmente ancora in corso, ai misteri e all’incanto della lingua italiana. L’impatto con parole nuove, l’incrocio tra espressioni dialettali e modi di dire familiari, le fantasiose confusioni linguistiche infantili diventano una lettura lieve e tenerissima. Le riflessioni dello studioso non possono non soffermarsi, di tanto in tanto, sul ruolo centrale, e sempre determinante, della scuola lasciandosi andare a piccole sferzate e qualche amara constatazione circa le condizioni dell’istruzione pubblica italiana.
Edizione esaminata e brevi note
Tullio De Mauro, “Parole di giorni lontani“, Società Editrice il Mulino, Bologna, 2006.
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