“Scrittura cuneiforme” è un libro bellissimo. Lo riconosco: questo è un incipit piuttosto banale per una recensione. Eppure non c’è nulla di più sincero di un’affermazione tanto elementare: “Scrittura cuneiforme”, ribadisco, è un libro bellissimo. Un romanzo affascinante che può contare su una scrittura lieve, essenziale, fluida che scorre leggera e penetrante pagina dopo pagina. Kader Abdolah è ormai riconosciuto da più parti come uno degli scrittori contemporanei più interessanti e dotati. Scrive in olandese anche se questa non è la sua lingua madre perché Kader Abdolah, pseudonimo di Hossein Sadjadi Ghaemmaghami Farahani, è nato in Iran e dall’Iran è stato costretto a fuggire nel 1985 poiché membro dell’opposizione al regime degli ayatollah. Dopo aver soggiornato per qualche anno in Turchia, lo scrittore si trasferisce nei Paesi Bassi. Una serie di eventi e di circostanze reali che, nemmeno poi tanto sorprendentemente, sono divenute parte essenziale di “Scrittura cuneiforme”.
Il cuore pulsante del romanzo è costituito dal profondo legame che unisce un figlio, Ismail, a suo padre, Aga Akbar. Ismail vive ormai da anni nel polder, “terra giovane che l’Olanda ha strappato al mare“, ed ha tra le mani un quaderno pieno di frasi ed appunti presi da Aga Akbar attraverso una scrittura tutta sua. Caratteri copiati ed imparati osservando un’antichissima iscrizione cuneiforme, risalente ai tempi di Ciro il Grande, fatta incidere nel soffitto di una caverna quasi inaccessibile sul Monte Zafferano, ai confini con l’ex Unione Sovietica. Un mondo prezioso ed intoccabile è contenuto in quel quaderno perché Aga Akbar, riparatore di tappeti sordomuto, ha riversato in quelle pagine tutto ciò che non sapeva o non poteva dire col suo rudimentale linguaggio dei gesti. “Quel quaderno apparteneva al suo essere, anzi, era diventato ormai parte del suo corpo, come il cuore che pompava senza che nessuno gli prestasse particolare attenzione. Ismail però sapeva quando suo padre scriveva. Sapeva che doveva scrivere delle cose che non capiva e che non riusciva a spiegare nella sua lingua dei gesti. Delle cose inaccessibili, incomprensibili, intangibili che lo afferravano all’improvviso e che lui rimaneva a contemplare impotente, o che prendeva di petto o di fronte a cui si sedeva a riflettere. Della morte, per esempio, o della luna, della pioggia che cadeva, del pozzo, e, naturalmente, dell’amore, di quell’indescrivibile processo che avveniva nel cuore. E anche dei fatti che avevano lasciato una traccia profonda nella sua vita“.
E così Ismail, nato per diventare la bocca e le orecchie di suo padre, ricostruisce a fatica e con pazienza la vita di Aga Akbar. Un’esistenza che procede di pari passo con la storia di un Paese, la Persia o Iran che dir si voglia, che Aga Akbar per lo più ignora. Lui, figlio sordomuto ed illegittimo di un principe colto e raffinato, aveva avuto solo il diritto evanescente di ereditare un lungo ed antico nome da suo padre: Aga Akbar Mahamude Gazanwiie Gorasani. L’educazione di Aga Akbar, però, è nelle mani e nel talento di suo zio Kazem Gan, fratello di sua madre Hajar, un poeta girovago, generoso ed oppiomane. E’ proprio Kazem Gan a consegnare ad Aga Akbar un quaderno ordinandogli di copiare i misteriosi caratteri incisi nella roccia della grotta sul Monte Zafferano. “Quella che hai copiato è una lettera, qualcosa che era nella testa di quel re. Ma quale sia il contenuto di quella lettera, nessuno lo sa. Eppure c’è. E tu adesso, anche tu puoi scrivere una lettera, qui, sulla pagina dopo, e un’altra volta un’altra lettera su un’altra pagina ancora. Puoi scrivere quello che hai in mente, come il re. Su, prova!“. Aga Akbar impara a scrivere usando una serie di segni che solo lui può capire davvero e che lo accompagneranno per tutta la vita.
Kazem Gan fa anche in modo che Aga Akbar abbia un mestiere. Lo spinge a diventare riparatore di tappeti, un lavoro fondamentale in quel tempo e in quella regione nota in tutto il mondo per la bellezza dei suoi tappeti annodati. Aga Akbar, inoltre, si sposa. La sua prima moglie è malata e muore silenziosamente poco dopo le nozze. L’uomo in preda alla disperazione si rifugia sul Monte Zafferano, nei pressi del pozzo sacro, quello in cui è nascosto il santo Mahdi. “I musulmani sciiti aspettano da secoli un Messia, il santo Mahdi, perché è un Naji, un liberatore. A questo riguardo gli sciiti la pensano in modo completamente diverso dai sunniti. Gli sciiti credono che dopo il profeta Maometto vi siano stati altri dodici santi. Il dodicesimo successore di Maometto, o, secondo gli sciiti, l’ultimo santo, si chiamava Mahdi. Per la precisione Mahdi ebne Hassane Askari“. Dopo la morte della prima moglie, Kazem Gan riesce a trovare per Aga Akbar una nuova compagna: Tine. Da lei Aga Akbar avrà Ismail e le sue sorelle.
Intanto la Persia passa dal regno di Reza Khan al governo dell’ultimo scià fino alla rivoluzione degli ayatollah. Ismail, divenuto un promettente studente di Fisica a Teheran, entra a far parte del movimento di opposizione al regime ma, dopo aver portato avanti la sua lotta assieme ad altri compagni, è costretto a lasciare il suo Paese. La via di fuga passa proprio per quell’antico e inaccessibile passaggio che è il Monte Zafferano. Aga Akbar accompagna suo figlio, lo copre col suo lungo cappotto nero e spera che i gendarmi non lo seguano e non lo trovino mai.
La storia di “Scrittura cuneiforme” è fatta di tante storie e di una serie di personaggi incantevoli. Lo spirito antico della poesia persiana e il fascino lontano di un Paese che non c’è più si irradia impalpabile da ogni pagina. Al lettore non può sfuggire la delicata malinconia e la pacata amarezza di un figlio che è stato costretto a lasciare suo padre senza però mai dimenticare chi è e da dove arriva. Un legame che sa andare oltre lo spazio, oltre la vita e che recupera forza e vigore attraverso un quaderno in caratteri cuneiformi, apparentemente indecifrabile, che racchiude pensieri, esperienze, ricordi, passioni, desideri e paure rinnovando, una volta di più, il potere magnifico e sconfinato della scrittura.
Edizione esaminata e brevi note
Hossein Sadjadi Ghaemmaghami Farahani, questo il vero nome di Kader Abdolah, è uno scrittore iraniano nato ad Arak nel dicembre del 1954. La passione per la letteratura e la scrittura lo coinvolgono fin da bambino. Legge opere di autori occidentali mentre inizia a studiare Fisica presso l’università di Teheran. Pubblica alcuni racconti in lingua persiana e sceglie il proprio pseudonimo, Kader Abdolah, combinando i nomi di due esponenti dell’opposizione assassinati dal regime degli ayatollah. Nel 1985 abbandona l’Iran perché membro dell’opposizione. Vive in Turchia per qualche anno dopodiché si trasferisce, come rifugiato politico, nei Paesi Bassi dove vive tuttora. Impara da autodidatta la lingua olandese e per un anno studia Letteratura all’università di Utrecht. Inizia così a scrivere in olandese. Il suo esordio arriva nel 1993 con il libro di racconti intitolato “Le aquile” a cui fa seguito “Le ragazze e i partigiani”. Il suo primo romanzo arriva nel 1997 e si intitola “Il viaggio delle bottiglie vuote”. Negli anni a seguire pubblica “Scrittura cuneiforme”, “La casa della moschea”, “Il messaggero” e “Il re”.
Kader Abdolah, “Scrittura cuneiforme“, Iperborea, Milano, 2003. Traduzione e postfazione di Elisabetta Svaluto Moreolo. Titolo originale: “Spijkerscrift” (2000).
Pagine Internet su Kader Abdolah: Sito ufficiale (nl) / Wikipedia / Scheda Iperborea
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