Di questi tempi sembra che i confini tra le professioni siano diventati davvero molto labili: comici che fanno i politici, politici che, oltre alla ben remunerata attività di maggiordomi, fanno – forse a loro insaputa – i comici, alcuni giuristi un po’ comici e un po’ uffici stampa dei partiti, giornalisti che spesso s’improvvisano giuristi; e così via. Poi ci sono le eccezioni, ovvero coloro che questo secondo (o primo) lavoro riescono a farlo comunque molto bene. Tra questi Marco Travaglio e, nel caso di “Perché No”, Silvia Truzzi. Da anni il giornalista torinese, tacciato per lo più di giustizialismo e disfattismo, è impegnato a fare le pulci ai politici, soprattutto di maggioranza, scovando, tra le pieghe di commi e di articoli di legge, trappoloni, bestialità e autentiche truffe ai danni degli italiani e del buonsenso. Nel caso poi della riforma costituzionale, la famigerata Renzi- Boschi, il nostro sicuramente ha avuto gioco facile proprio in virtù di un testo scritto con i piedi. “Perché No” è appunto una parafrasi, articolo per articolo, del testo di legge costituzionale approvato il 12 aprile 2016: un’analisi spietata di tutti i refusi, incongruenze, pasticci, errori concettuali, complicazioni del sistema improvvisati dalla banda di costituenti renziani-verdiniani. Argomentazioni che possiamo leggere anche nell’ottimo “Loro diranno, noi diciamo” di Gustavo Zagrebelsky e Francesco Pallante, ma che nel testo di Travaglio – Truzzi sono arricchite da un’altrettanto spietata analisi dei detti e contraddetti dei presunti riformatori. Tutto con un efficace approccio schematico, confrontando la costituzione vigente (già pesantemente e malamente emendata), il precedente referendum costituzionale del 2006, l’Italicum (ovvero come imbastire una Costituzione ad personam sulla base di una legge elettorale ad personam), le affermazioni di coloro che dieci anni fa si stracciavano le vesti per le riforme berlusconiane – per certi aspetti simili a quelle attuali (ma meno indecenti) – e che adesso, nella più sgrammaticata versione renziana, sarebbero diventate assolutamente necessarie. Con tutto il seguito di ipocrisie e di scarsa memoria: “[ndr: nel 2006] Magistratura democratica, ma anche esponenti del Movimento per la Giustizia come Armando Spataro aderirono ai comitati del No e parteciparono a eventi pubblici. Ma ciò che era cosa buona e giusta quando c’era Berlusconi è diventato un peccato mortale ora che c’è Renzi” (pp.118).
Una restaurazione pasticciata, propagandata a suon di slogan fasulli, che gli autori considerano in fondo coerenti con quanto combinato in questi anni dalla classe dirigente italiana: “la Costituzione è per la classe dirigente italiota una camicia di forza troppo stretta, un lusso eccessivo. Uno splendido, rutilante smoking calzato a viva forza addosso a un maiale: cioè a un Paese ancora inquinato dalle peggiori culture autoritarie e impunitarie che il mondo conosca: il comunismo togliattiano senza più nemmeno ideali, il cattocomunismo, il cattolicesimo controriformista, il familismo amorale, il castismo e il partitismo immorale, il fasci leghismo, il berlusconismo Doc di Berlusconi e quello spurio e provinciale di Renzi, il nano liberismo finanziario e confindustriale, col contorno dei residuati del gruppettismo anni 70. Tutte culture che tuttoggi si oppongono fieramente ai principi di Stato liberale di diritto: divisione dei poteri (che si controllano a vicenda, ciascuno indipendente dagli altri), uguaglianza e legalità (la legge è uguale per tutti), etica della responsabilità (chi sbaglia paga), meritocrazia (tutti uguali ai blocchi di partenza, ma non al traguardo” (pp.10).
Di fronte ad uno schieramento così imponente di “riformatori” le parole di un celebre costituente del ’46 – ’48, opportunamente citate, ci fanno capire in che mani siamo capitati: “La Costituzione – dice all’epoca Meuccio Ruini, aprendo i lavori della Costituente – si rivolge direttamente al popolo e deve essere capita”. Tanto che – ricordano ancora Travaglio e Truzzi – “alla fine della stesura viene sottoposta a un grande linguista, Pietro Pancrazi, per renderla ancor più semplice, lineare e cristallina”. Ma poi “arrivano i lanzichenecchi della Seconda Repubblica. Chi legge gli articoli della Carta rimasti intatti, nella Prima parte, e quelli modificati negli ultimi vent’anni, capisce lo scadimento verticale, in picchiata, della classe politica dal dopoguerra a oggi”. E difatti qual è lo stile (e la sostanza) della Riforma? “Ora tocca ai rottamatori, soprattutto della lingua italiana: parlano e scrivono un idioma cuneiforme, di ceppo non indo-europeo, e che necessita di traduttore simultaneo e di codice di decrittazione” (pp.19). Per rendersene conto, suggeriscono gli autori, basti leggere i nuovi art. 70,71,72: a voler essere buoni qualcosa che assomiglia alla famigerata legge di stabilità piuttosto che agli articoli di una Costituzione della Repubblica.
Una riforma sgangherata imposta con “canguri”, voti di fiducia, ricatti ai parlamentari, in nome del superamento del bicameralismo perfetto (più concretamente per blindare una presunta maggioranza), ma che, secondo gli autori, non risolverebbe alcun problema di navetta tra le camere ed anzi creerebbe costosi conflitti di attribuzione ed ulteriori complicazioni proprio in virtù delle previsioni normative pasticciate. Oltretutto il Senato, teoricamente espressione degli interessi locali, sarebbe ridotto a un dopolavoro per senatori in cerca di impunità; il ritorno in termini economici e di governabilità risulterebbe irrisorio – più efficace, aggiungiamo noi, risparmiare sull’Air Force One di Renzi – e per lo più vanificato da procedure di dubbia applicabilità.
I titoli dei capitoli dicono molto delle pagine contenute nel libro di Travaglio-Truzzi, apprezzabili – lo ripetiamo – per il lavoro di archivio e di parafrasi: “Padri costituenti e ricostituenti”, “Le bugie del Sì” (analisi approfondita slogan per slogan), “E vissero impuniti e contenti” (sul nuovo Senato a porte girevoli), “C’è chi diceva no” (dedicato sopratutto ai centrosinistri voltagabbana e in genere ai personaggi sinistri che abitano il Parlamento), “Le alternative c’erano eccome”, “Come funziona negli altri paesi”, “Le ragioni del No” (35 punti che rappresentano una sintesi chiarissima di cosa pensano “gufi e rosiconi”). E poi, in appendice, “La riforma costituzionale”, testo costituzionale vigente e testo modificato, articolo per articolo. La lettura, ancora una volta – e senza scomodare le necessarie considerazioni su pesi e contrappesi terremotati e su un’idea della politica tipo “House Of Cards”, sempre più in mano ad oligarchie autoreferenziali – potrà confermarci quanto detto nel 2014 da un insospettabile, il senatore dissidente del Pd Walter Tocci: “L’elegante lingua italiana dei padri costituenti, con le sue parole semplici e profonde, viene improvvisamente interrotta da un lessico nevrotico e tecnicistico, scandito dai rinvii ai commi, come un regolamento di condominio” (pp.19). Ovvero come deturpare non solo l’etica, ma anche l’estetica della Costituzione.
Edizione esaminata e brevi note
Marco Travaglio, (Torino, 1964), scrive per Il Fattoquotidiano, A, Micromega, dopo aver collaborato per anni al Giornale diretto da I. Montanelli, Repubblica, l’Unità. E’ l’attuale direttore del Fattoquotidiano. Tra suoi più recenti successi “Mani sporche” (Chiarelettere 2007, con Gianni Barbacetto e Peter Gomez). Altri suoi libri, tra i tanti, sono “La scomparsa dei fatti”, “Montanelli e il cavaliere”, “Intoccabili”, “L’odore dei soldi”, “Bravi ragazzi”, “Se li conosci li eviti”, “Italia anno zero”, “Papi”, “Uliwood Party”, “Promemoria”, “Colti sul Fatto”, “BerlusMonti”.
Silvia Truzzi, giornalista, è nata a Mantova e vive a Milano. Laureata in Giurisprudenza, lavora a “Il Fatto quotidiano” dalla sua fondazione. Ha vinto il Premio giornalistico internazionale Santa Margherita Ligure per la cultura nel 2011 e il Premio satira politica Forte dei Marmi, sezione giornalismo, nel 2013. Nel 2015 ha pubblicato “Un Paese ci vuole” (ed. Longanesi).
Marco Travaglio, Silvia Truzzi,“Perché No”, PaperFIRST, Roma 2016, pp. 204.
Luca Menichetti. Lankenauta, luglio 2016
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