Buzzati Dino

Bàrnabo delle montagne

Pubblicato il: 31 Luglio 2007

Nessuno si ricorda quando fu costruita la casa dei guardiaboschi del paese di San Nicola, nella Valle delle Grave, detta anche la Casa dei Marden. Da quel punto partivano cinque sentieri che si addentravano nella foresta”. (p.21)

Tutt’attorno ”le bianche ghiaie che fasciano le montagne”.

Un incipit molto immediato per il primo romanzo di Buzzati, una storia montana, dolomitica, che racconta di guardiaboschi, di briganti, di un delitto e di una vita che trascorre nell’attesa di compiere un gesto memorabile e definitivo, capace di riscattare un errore di gioventù.

Bàrnabo è il più giovane dei guardiaboschi che vivono nella Casa dei Marden, ai piedi dei monti. Lui e i compagni devono sorvegliare tutto il territorio e specialmente la Polveriera in cui sono custoditi gli esplosivi per il decaduto progetto d’apertura di una strada tra fondovalle e monti.

Successivamente viene costruita una nuova casa per i guardiaboschi, che comunque continuano a vigilare a turno sulla zona.

Una notte i banditi, che mirano al deposito degli esplosivi, uccidono il capoguardia Antonio Del Colle. La vita di Bàrnabo viene spezzata in due da quest’evento: preso da un attacco di paura, fugge anziché aiutare i compagni. Dovrà lasciare il corpo dei guardiaboschi e le sue montagne, trascorrerà cinque lunghi anni in pianura, a lavorare la campagna presso un cugino, struggendosi dapprima di rimpianto e nostalgia, successivamente di una speranza di riabilitazione, un desiderio di riscatto con un gesto emblematico, che però non riuscirà a compiere.

Romanzo d’esordio di Buzzati, autore piuttosto schivo e riservato, “Bàrnabo delle montagne” rivela uno stile essenziale, immediato, semplice e nello stesso tempo non banale, ricco di suggestioni, di suggerimenti fantastici e di riflessioni sulla condizione umana.

Luoghi e personaggi, che avrebbero potuto prestarsi a descrizioni di stampo realistico, divengono in Buzzati territori dell’anima. L’Autore non indugia in elucubrazioni sulla vita dei guardiaboschi, sulla povertà dei paesi di montagna o, al limite, sul problema dell’emigrazione, ma tutto è visto in relazione allo stato d’animo di Bàrnabo e alla sua vicenda esistenziale.

Testimoni mute delle sua storia sono le grandi crode, riconoscibilissime le Dolomiti – altre montagne non hanno “bianche pareti” – che non costituiscono un semplice sfondo, ma accompagnano le vicende del protagonista, egli “sente come non mai la vicinanza delle montagne, con i loro valloni deserti, con le gole tenebrose, con i crolli improvvisi di sassi, con le mille antichissime storie e tutte le altre cose che nessuno potrà dire mai”. (p.103)

Descritte, contemplate, arrampicate, scrutate con ogni tempo e a ogni ora, le grandi crode sono oggetto di quell’amore, di quell’ammirata venerazione che soltanto chi ha vissuto accanto ad esse sa provare.

Le grandi crode sono presenze, sono vive, si narra di spiriti che le abitano, s’interpreta la voce del vento che spira tra i boschi e su tra le vette, le grandi crode sanno esser sorridenti oppure crudeli e inesorabili. La loro bellezza resta ineguagliabile.

“Non assomigliano veramente a torri, non a castelli né a chiese in rovina, ma solo a se stesse, così come sono, con le frane bianche, le fessure, le cenge ghiaiose, gli spigoli senza fine a strapiombo piegati fuori nel vuoto”. (p.52)

Una passione alpinistica non è estranea a Bàrnabo e al suo collega Bertòn quando decidono di salire su una cima alla ricerca dei briganti: c’è il desiderio di compiere un’impresa eroica, di avere un riconoscimento dai soliti compagni, ma anche il sottile piacere dell’aver raggiunto una cima inviolata, dell’esser stati per un attimo lontani da tutto. ll gusto dell’esplorazione e della sfida è vivo soprattutto in Bertòn: a differenza degli abitanti del paese, che non sono andati oltre i ghiaioni, egli desidera salire fin dove si formano le nuvole e provare sensazioni nuove.

Nessuno perciò ha mai sentito il rumore del vento sulle altissime creste”. (p.48)

Per Bàrnabo delle montagne il mondo esterno ai boschi, alla Polveriera è estraneo, quasi ostile, il suo legame con quei luoghi è troppo forte e intenso.

La vita nei boschi assume una valenza emblematica: tutto passa, tutto scorre, molti ricordi – anche quelli dell’assassinio di Del Colle – vengono perduti, il tempo scivola via, la polvere finisce per ricoprire tutto, restano i monti e l’attesa.

“….è che tutti vivono così come se da un’ora all’altra dovesse arrivare qualcuno; non l’assalto di un nemico, ma qualcuno, sconosciuto; non si può dire chi. Si guarda intanto verso le alte cime; esse sono grigie e sopra passano nubi dello stesso colore sempre uguali, sempre uguali”. (p.42)

È la dimensione buzzattiana dell’attesa perenne, indefinita, che conferisce al paesaggio una dimensione surreale, è come se tutto attendesse, come se il vento stesso portasse talvolta voci misteriose o come se le nuvole fossero segnali di un prossimo arrivo.

I guardiaboschi si ritrovano alla fine a sorvegliare una vecchia polveriera che non servirà più, vigilano qualcosa d’assurdo, Bàrnabo stesso rimarrà da solo in questo compito, che accetta nella remota speranza di un riscatto. La sua è una condizione esistenziale emblematica, aspetta con tenacia quel che potrebbe non accadere mai e, quando finalmente l’occasione si presenta, rinuncia. È passato troppo tempo, i banditi sono dei miserabili e non i feroci assassini che s’attendeva e dunque non osa sparargli. Tutto – anche la sua vergogna – è stato ormai inghiottito nella voragine del passato, trascorreranno altre stagioni l’una dopo l’altra, inesorabili e passerà la vita.

Attorno,le montagne, “sono nascoste, ma si sentono vicine; sono immobili e solitarie, sprofondate nelle nubi”. (p.109)

articolo apparso su lankelot.eu nel luglio 2007

Edizione esaminata e brevi note

Dino Buzzati (San Pellegrino-Belluno 1906-Milano 1972) scrittore, giornalista, drammaturgo e pittore italiano.

Dino Buzzati , Bàrnabo delle montagne, Milano, Oscar Mondadori 2007.

Introduzione di Claudio Toscani.