Buber Martin

Il cammino dell’uomo

Pubblicato il: 1 Giugno 2007

Sessanta paginette per parlare dell’uomo,della sua educazione e del suo essere nel mondo.

Un piccolo concentrato di saggezza.

E’ un’opera tratta da una conferenza che Buber tenne al Congresso di Woodbrook a Bentveld nell’aprile 1947 e pubblicata per la prima volta l’anno successivo.

Di questo libro Hermann Hesse osserva: “…è quanto di più bello io abbia letto. Lascerò che questo dono così prezioso e inesauribile mi parli ancora molto spesso…”

Nei sei capitoletti che costituiscono l’opera Buber prende avvio dell’insegnamento chassidico (il chassidismo è il grande movimento mistico-religioso nato verso la metà del XVIII secolo in seno all’ebraismo dell’Europa orientale), che riporta episodi, detti, osservazioni fatte dei diversi “Rabbi” e poi ne trae spunto per riflettere con grande acutezza e profondità sulla condizione umana, sul rapporto dell’uomo con sé stesso e con Dio.

Come ben osserva Enzo Bianchi nella sua introduzione, non si tratta di un “libretto edificante e pio”, ma di un “opera pedagogica che riguarda l’uomo e il suo cammino, un’eco del grande messaggio dell’ebraismo rivolto a tutti perché riguarda la condizione dell’uomo in generale”.

I racconti chassidici vengono fatti “parlare”, attualizzati e correlati tra loro fino ad indicare un vero itinerario educativo, una forma di ricerca da sé prima di tutto e poi del proprio rapportarsi al mondo, ai propri simili, a Dio.

Già l’inizio è emblematico: si comincia da un raccontino nel quale, ad un Rabbi imprigionato ingiustamente, il capitano delle guardie pone un quesito-trabocchetto sulla domanda rivolta da Dio ad Adamo: “Dove sei?” (Genesi 3,9).

Lo scopo dell’interlocutore è dimostrare che Dio, se pone questa domanda, non sa dove sia Adamo, quindi non è onnisciente.

Ma il Rabbi svolge la domanda in maniera molto diversa e sorprendente, ribaltandola in chiave personale: “…in ogni tempo Dio interpella ogni uomo: Dove sei nel tuo mondo? Dei giorni e degli anni a te assegnati ne sono già trascorsi molti: nel frattempo tu fin dove sei arrivato nel tuo mondo?”

La domanda è quindi ben più ampia ed è fatta apposta per suscitare una reazione, a patto che l’uomo sia disposto a venir colpito dalla domanda stessa.

Adamo si nasconde per non assumersi la responsabilità delle propria vita.

Da qui, dal ritorno a se stessi parte un cammino che riguarda ogni uomo e che sarà personale, diverso per ciascuno, cioè implicherà una scelta.

Scegliere significa rinunciare a certe cose per privilegiarne altre, adatte a sé, senza imitare altri.

Lungo questa via si snoda il percorso esistenziale di ogni uomo nella sua unicità e irripetibilità e nel suo valore fino all’unificazione del sé, della propria anima.

Un cammino sempre “in fieri”, passibile di aggiustamenti, revisioni, con la consapevolezza che è cambiando se stessi che si contribuisce alla trasformazione del mondo.

Tenendo presente il tema, caro alla concezione ebraica sul cammino dell’uomo, del ritorno.

Ma ritorno significa qui qualcosa di molto più grande di pentimento e penitenze, significa che l’uomo che si è smarrito nel caos dell’egoismo – in cui era sempre lui stesso la meta prefissata – trova, attraverso una virata di tutto il suo essere, un cammino verso Dio, cioè il cammino verso l’adempimento del compito particolare al quale Dio ha destinato proprio lui, quest’uomo particolare.”

Resta aperta la domanda sullo scopo di tutto questo cammino e di tutto questo lavoro: la salvezza della propria anima? Sarebbe egocentrismo soltanto.

L’ultimo capitolo ha già un titolo programmatico “Là dove ci si trova”.

Nell’ambiente che avverto come il mio ambiente naturale, nella situazione che mi è toccata in sorte, in quello che mi capita giorno dopo giorno, in quello che la vita quotidiana mi richiede: proprio in questo risiede il mio compito essenziale, lì si trova il compimento dell’esistenza messo alla mia portata.”

E lì risiede anche la risposta ad un’ultima domanda “Dove abita Dio?”

Privo di retorica, con uno stile lineare, semplice, il libro non vuole “imporre”, ma “Proporre”, indicare un cammino globale di educazione e di crescita ed è ricchissimo di spunti di riflessione, nonché di una saggezza di base certamente ammirabile.

articolo apparso su lankelot.eu nel giugno 2007

Edizione esaminata e brevi note

Martin Buber (Vienna 1879-Gerusalemme 1965) A tre anni, dopo la separazione dei genitori, fu affidato ai nonni in Ucraina.Dottore in filosofia nel 1904, sionista, diviene famoso dopo le conferenze a Praga e i libri sui maestri chassidici.

Nel 1923 pubblica Ich und Du (L’Io e il Tu) e riceve un incarico all’Università di Francoforte sul Meno. Nel 1927 visita Gerusalemme e s’allontana dal sionismo.

Resiste al nazismo con la parola e gli scritti e nel 1938 lascia la Germania e compie la salita (alijja) a Gerusalemme, dove viene nominato professore di Sociologia all’Università Ebraica. Tra i suoi libri: La fede dei profeti (1942), Mosé (1945), Il problema dell’uomo (1948), Il messaggio chassidico (1952), L’eclissi di Dio (1953). Lavorò sempre per creare buone relazioni tra ebrei e arabi.

Martin Buber, Il cammino dell’uomo, secondo l’insegnamento chassidico, edizioni Qiqajon, Comunità di Bose 1990. Prefazione di Enzo Bianchi, priore di Bose. Traduzione dal tedesco a cura di G.Bonola.

Approfondimento in rete:

http://it.wikipedia.org/wiki/Martin_Buber

http://www.filosofico.net/martinbuber.htm