Meneghello Luigi

Pomo pero

Pubblicato il: 3 Maggio 2007

Pómo pèro ­– dime ‘l vèro

dime la santa – verità

                                                     Quala zéla? – Quésta qua”

(Cantilena di Malo, che serviva a scegliere fra le due mani a pugno quella che si spera non sia vuota)

Pomo pero”, come recita il sottotitolo “Paralipomeni d’un libro di famiglia”, costituisce il seguito e il completamento dell’itinerario iniziato da Meneghello con “Libera nos a malo”.

È un libro più breve, più triste per certi versi, intessuto di memorie e di figure scomparse ricordate o con nostalgia o con la caratteristica ironia di Meneghello.

Tre sono le sezioni in cui il testo è diviso: Primi, Postumi e Ur-malo, più un congedo e un interessante apparato di note volte a spiegare alcune parole oscure ai non-veneti (aggiungerei ai non-vicentini), a integrare le notizie del libro e a fornire dettagli sugli interessi dell’Autore.

L’insieme risulta volutamente frammentario, è come se il passato emergesse per sbuffi, attraverso fatti e figure di amici, vecchie zie o zii, parenti, in una lingua italiana intessuta di dialetto e parole inglesi cui Meneghello ci ha ormai abituato.

Dignità speciale viene conferita a tutto questo mondo che non vuole andarsene, almeno nella memoria dell’Autore e il dialetto lievita da solo, cresce, si mostra ricco di sfumature, colorato, degna materia di studio, ma soprattutto testimonianza di un altro universo dove parola e cosa coincidono, secondo la tesi già esposta nel libro precedente.

La prima parte, più serena e divertente, annota vicende svariate spesso a sfondo autobiografico, avventure dell’infanzia, le vicissitudini di Malo durante il fascismo, percepito come “una parte normale della vita”, un’esperienza di vita locale fatta essenzialmente di sfilate in divisa al grido di “Eia Eia Alalà”.

I suoi capetti e gregari vengono disprezzati non in quanto fascisti, ma perché ubriaconi o scansafatiche. Mancano invece, osserva Meneghello, persone istruite antifasciste. Nell’insieme la vita del paese risulta inossidabile di fronte a questi fatti, tutti continuano a lavorare e a “tribolare” come hanno sempre fatto.

Interessante è invece il rapporto dei ragazzi di Malo con la cultura scolastica italiana che “sedeva sopra di noi come una bella cappa di piombo azzurro” (p.35). In paese non c’è analfabetismo, in compenso “La cosa curiosa è che questo alfabetismo non aveva affatto aperto le porte a una nuova cultura: la gente aveva imparato a scrivere, ma era restata la stessa di prima”. (p.40)

Probabilmente qui vi sono la ragioni del dis-patrio di Meneghello nell’immediato dopoguerra.

La sezione Postumi è intrisa di meste memorie di antenati, amici, genitori, che furono testimoni di quel paese che non c’è più. Si apre con “Cavar su i morti”: una visita al cimitero per la traslazione delle spoglie di nonni e genitori dell’Autore nella nuova tomba di famiglia.

È passato un secolo da quando il paese è diventato Italia” (p.48), il benessere ha trasformato tutto e consente pure quella cappella funebre da “signori”.

Padre, madre – “pare, mare” –appaiono quasi come fantasmi insieme a una sorella morta infante e alla vecchia casa, che finisce abbandonata perché umida e invasa da spaventose lumache, grosse come “manze”, protagoniste di una vera colonizzazione notturna degli ambienti. A farne le spese sono il fratello minore dell’Autore e la novella sposina, messi in fuga da tanta viscida invasione.

In paese ai vecchi edifici si sostituiscono le case nuove, costruite pietra su pietra nei giorni liberi con impegno e accanimento da famiglie di operai-contadini.

Anche fare la casa è ancora un fatto anarchico in Italia”(p.65).

Il senso del libro è in questi fatti, in questo microcosmo inserito nel macrocosmo della natura umana.

C’è qualcosa di meritato in ciò che siamo e che abbiamo, questi tinelli con le muffe verdastre da tinello, queste gondole di terra ferma, questi padri con la testa rapata…Siamo forme campagnole di una ridicola cultura nazionale, forse a suo tempo impareremo a copiare dagli altri, in questo noi italiani siamo bravi…” […]

Siamo veneti, nonostante le irruzioni di seme foresto, e i bacilli venuti parte direttamente col seme, parte per via orale con la mediazione delle madonne miracolose”. (p.87)

Nelle ultime pagine quella nostalgia e quel senso di disfacimento che già erano presenti in “Libera nos a malo” s’affermano, il vecchio mondo è finito e sepolto insieme alla sua lingua.

In una nota Meneghello constata la diffusa usanza d’insegnare ai bambini l’italiano nella preoccupazione che poi abbiano difficoltà scolastiche.

Suo timore è che in quest’atteggiamento ci sia il desiderio di “farla finita in fretta con ogni richiamo al mondo della povertà, il mondo delle strettezze e delle tribolazioni, sentite come una sorta di “cose in dialetto”. (p.155)

Se è vano opporsi a questa tendenza bisogna rassegnarsi al fatto che “la nostra lingua [il dialetto] morirà presto” e “morendo una lingua non muoiono certe alternative per dire le cose, ma muoiono certe cose”. (p.155)

La terza parte Ur-Malo è costituita da ventuno sezioni di parole in dialetto non tradotte, costituiscono il sottofondo primigenio, l’humus primordiale dal quale sono scaturiti sia “Libera nos a malo” che “Pomo pero”.

Articolo apparso su lankelot.eu nel maggio 2007

Edizione esaminata e brevi note

Luigi Meneghello (Malo-Vicenza 1922), scrittore italiano. Ha studiato Filosofia all’Università di Padova. Dopo l’8 settembre partecipa alla Resistenza e aderisce al partito d’Azione. Nel 1947 si trasferisce in Inghilterra, dove fonda e dirige la cattedra di letteratura italiana presso l’Università di Reading.

Dal 1980 divide il suo domicilio tra Reading e Thiene, dove nel 2000 si trasferisce definitivamente dopo la morte della moglie.

Sua opera prima è ”Libera nos a Malo” (1963), cui seguono “I piccoli maestri” (1964, ed. riveduta 1976), “Pomo pero” (1974), “Fiori italiani” (1976), “Bau-sete” (1988), “Il Dispatrio” (1994). Ha scritto anche vari saggi che contengono elementi autobiografici e studi sulle tradizioni dialettali: “Jura” (1987), “Maredè Maredè” (1991). Negli ultimi anni Meneghello ha pubblicato tre volumi di “Carte”, che raccolgono i suoi appunti dagli anni Sessanta a oggi. Il volume “Trapianti” comprende una serie di traduzioni poetiche dal’inglese al dialetto vicentino.

Nel 2002 il regista Mazzacurati e l’attore Marco Paolini gli hanno dedicato il film “Ritratti”, frutto di una conversazione con Meneghello svoltasi in tre giornate, durante le quali lo scrittore rievoca le vicende della sua vita.

Luigi Meneghello, Pomo pero, Paralipomeni d’un libro di famiglia, Edizioni La Biblioteca per Il Mattino di Padova, La Tribuna di Treviso, La Nuova di Venezia e Mestre 2003.

Approfondimento in rete: http://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Meneghello

Sul film: http://www.jolefilm.com/files/index.cfm?id_rst=42&id_elm=247