Le culture appartenenti a una minoranza rimangono generalmente poco note ai più e spesso vengono guardate con sufficienza, se non ignorate del tutto. Di fatto risultano pur sempre espressione, per quanto talvolta semplice o recente, di un’originalità, di una diversità spesso orgogliosa di sé stessa e decisa a mantenere viva la propria identità di gruppo.
Sparsi in differenti vallate alpine, un tempo isolate e caratterizzate da una dura vita di lavoro seppur in un mirabile scenario naturale, i Ladini costituiscono tuttora una minoranza legata fortemente alla montagna e che non desidera ridursi soltanto a folclore ad uso e consumo dei villeggianti, i quali, con la loro presenza, hanno pur sempre dato nuove prospettive e risorse all’economia delle vallate.
L’orgoglio per la propria originalità si rivela oggi essenzialmente attraverso il linguaggio, un linguaggio ancora non omogeneo, ma che ha iniziato, dal secolo scorso, ad articolarsi in forme più complesse e tematiche più profonde, dando luogo a poesia e prosa.
La cultura ladina appartiene ad una minoranza sparsa tra differenti vallate alpine, è un autentico arcipelago, con una letteratura di sviluppo relativamente recente ed una parlata invece molto antica, che rende ancora distinguibili i Ladini da altri popoli montanari che li circondano.
L’insieme delle parlate ladine (da alcuni studiosi questa lingua viene chiamata anche «retoromanzo») nasce da una base regionale di latino volgare d’epoca primo Impero, un latino abbastanza uniforme, ma con tratti celtici in alcune zone e in altre con tratti prelatini alpini.
Attualmente il Ladino, con particolarità diverse, è diffuso in tre aree principali:
– area delle parlate grigionesi in Svizzera;
– area ladina centrale articolata in anaunico nella Val di Non e solandro in val di Sole (dialetti ormai trentinizzati); ladino sellano o ladino in senso stretto (gardenese in Val Gardena, fassano in Val di Fassa, livinalese nel Livinallongo, badiotto in Val badia, marebbano nel Marebbe, ampezzano-cadorino e comelicese in Val Comelico;
-area delle parlate friulane, assai vasta.
L’elemento caratterizzante è che non esiste attualmente omogeneità linguistica tra queste diverse aree e quindi anche tracciarne una storia non è semplicissimo, si tratta di un arcipelago assai articolato.
A coniare il termine «ladino» per queste lingue fu il glottologo goriziano del secolo scorso Graziadio Isaia Ascoli, che lo ricavò dal nome «ladin» dato dagli abitanti di San Martino in Badia e da quelli dell’Engadina nei Grigioni alle rispettive parlate.
Poco dopo lo studioso Theodor Gartner introdusse il termine «retoromanzo».
Il saggio di Belardi risulta suddiviso in due parti principali riguardanti l’aspetto storico-linguistico e l’aspetto linguistico letterario del ladino.
Nella prima lo studioso si occupa delle origini del ladino e delle vicende storiche dei territori abitati da questo popolo.
Da poco dopo la metà del XIII secolo i Ladini furono nell’ambito del potere politico dei conti del Tirolo di lingua tedesca e poi dell’impero asburgico (dopo che il Tirolo venne donato all’Austria dall’ultima sua contessa priva di eredi).
Solo nel 1918, al termine della prima guerra mondiale, i Ladini fecero parte dell’Italia.
L’autore osserva come attualmente i Ladini siano tutti bi o tri-lingui, parlanti cioè anche tedesco e italiano e sottolinea comunque l’importanza degli imprestiti linguistici da altre lingue, che consentono al ladino di arricchirsi ed emanciparsi. Non mancano punte di polemica politica nei confronti del governo italiano e della maggioranza regionale per la scarsa autonomia e considerazione data ai Ladini.
Solo nel 1989 lo stato italiano ha riconosciuto a questa minoranza (solo a quella della provincia di Bolzano) il diritto di usare nei Comuni ladini anche la loro parlata come lingua amministrativa.
Bisogna però osservare che, non esistendo un ladino unitario, si è cercato di crearne uno “standard” in laboratorio (LS: Ladin Standard), che serva come lingua d’informazione sociale e culturale e ad uso amministrativo.
Gli Istituti Ladini di Vigo e San Martino hanno affidato quest’incarico nel 1988 al professor Heinrich Schmid dell’Università di Zurigo.
La seconda parte del saggio si occupa delle origini della letteratura ladina, una letteratura molto recente, sviluppatasi a pieno titolo solo dall’Ottocento, almeno in area sellana.
In Friuli e nei Grigioni l’accesso alla scrittura ebbe origine nel tardo medioevo e quindi lo sviluppo della letteratura fu più precoce.
Rinchiusi nelle loro valli, dotate di scarse vie di comunicazione, occupati dalla dura fatica quotidiana, per lungo tempo i Ladini si espressero con poche parole soltanto su argomenti riguardanti il lavoro, la famiglia, la chiesa, l’ambiente naturale già di per sé ammirevole.
Molto più sviluppata, fin dal Seicento, fu invece l’arte della scultura in legno, nella quale soprattutto i Gardenesi sono tuttora autentici maestri.
Le prime testimonianze di un uso scritto e pubblico del ladino sellano risalgono al XVII secolo e si tratta di un proclama-ordinanza del 1631, fatto tradurre in ladino dall’autorità tedesca, affinché fosse comprensibile a tutti.
In seguito, nel corso dell’Ottocento soprattutto, si hanno i primi testi scritti (spesso religiosi o moraleggianti) e poi vere e proprie personalità artistiche originali. Tra queste spicca la figura di Max Tosi, (Villanova Marchesina, Rovigo, 1913, nato da madre friulana – Merano 1988), che Belardi confronta, per certi aspetti, con Pasolini.
Da uno sguardo d’insieme la letteratura ladina, ancora in fieri, ma non spenta, risulta essere l’espressione di un gruppo estremamente fiero della propria originalità, talvolta ignorato o non adeguatamente considerato. Si tratta di una testimonianza particolare, degna di rispetto come tutte le minoranze esistenti.
Articolo apparso su lankelot.eu nel gennaio 2007
Edizione esaminata e brevi note
Walter Belardi, professore emerito della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma “La Sapienza”, socio nazionale dell’Accademia del Lincei. Si è occupato di teoria del linguaggio, di linguistica generale, di fonetica, di storia della linguistica, di linguistica comparativo-ricostruttiva e di linguistica storica. Ha pubblicato oltre trenta volumi e centinaia di saggi.
Ha scritto studi sul pensiero filosofico greco antico intorno al linguaggio, il pensiero dei grammatici greci e latini, le lingue classiche, l’armeno e le lingue iraniche antiche e medievali. Tra i suoi studi: “La poesia friulana del Novecento” (in collaborazione con Giorgio Faggin), Roma 1987; “Narrativa gardenese”, Roma-Ortisei 1988. Sua opera maggiore “L’etimologia nella storia della cultura occidentale”, Roma 2002.
Walter Belardi, “Breve storia della lingua e della letteratura ladina”, II edizione aggiornata (con una appendice curata da Marco Forni), Istitut Ladin “Micurà da Rü”, San Martin de Tor 2003.
Il libro è una versione ridotta – ma anche aggiornata e migliorata – del Profilo storico-politico della lingua e della letteratura ladina, Roma, Il Calamo 1994.
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