Casa di Sofia, Famalicão, Portogallo, 25 agosto 2015
Quando ci svegliamo piove ancora, per l’ennesima volta dobbiamo ripiegare la tenda da bagnata. Mi chiedo come sia possibile che non abbia ancora fatto la muffa.
Questo pomeriggio abbiamo appuntamento nella cittadina di Guimãraes con Sofia, una ragazza portoghese che ho conosciuto in Azerbaigian e che si è offerta di ospitarci qualche giorno a casa sua. Prima tappa della giornata però e la cittadina di Ponte de Lima. C’inoltriamo verso l’interno e risaliamo il Rio Lima, la città è famosa per ospitare uno dei ponti medievali meglio conservati di tutto il Portogallo. Purtroppo abbiamo fatto i conti senza l’oste: praticamente tutti i turisti della costa, avendo constatato le pessime condizioni atmosferiche, hanno deciso fare una gita di un giorno proprio qui e il traffico è soffocante. Anche nell’eventualità che trovassimo parcheggio, dovremmo comunque vedercela con una folla di rumorosi gitanti e il pensiero non ci entusiasma. Vedo il ponte a circa duecento metri da noi e così mentre la coda procede a passo d’uomo, scendo, scatto un paio di fotografie e poi rientro in macchina dicendo a Giorgia che per me possiamo anche ripartire. Lei concorda ed impostiamo il navigatore per la città di Braga.
Non abbiamo una fretta particolare e i chilometri non sono molti, Braga si trova leggermente più a sud, utilizziamo quindi strade statali, accompagnati alla radio dalla chitarra di Mark Knopfler, voce e chitarra dei Dire Straits, quando la band si è sciolta ha iniziato una prolifica carriera da solista. Non ha mai perso il tocco raffinato che lo ha reso famoso e la migliore definizione della sua musica l’ho trovata nella “Guida Galattica per Autostoppisti”:” Mark Knopfler ha la straordinaria capacità di far emettere alla sua Schecter Custom Stratocaster dei suoni che paiono prodotti dagli angeli il sabato sera, quando sono esausti per il fatto di essere stati buoni tutta la settimana e sentono il bisogno di una birra forte”. What It Is ci ipnotizza, Border Reiver ci porta nelle piovose lande scozzesi, Privateering c’imbarca su un vascello pirata e Golden Heart invece mi riporta alla mente vecchi ricordi agrodolci.
Intorno a noi un paesaggio verdeggiante e ondulato, ci sono molte vigne e infatti questa regione è famosa per il vinho verde, una tipologia di vino bianco dai riflessi verdi.
Braga è la terza città del Portogallo, venne fondata dai romani nel I secolo a.C., fu uno dei più importanti snodi commerciali della regione e fu qui che nel 1926 il futuro dittatore Antònio de Oliveira Salazar pronunciò un discorso che segnò l’inizio della sua ascesa al potere.
In giro per il centro c’è poca gente, le stradine sono per la maggior parte pedonali e pavimentate con sanpietrini. Balconi decorati danno un tocco di eleganza al tutto. Sulla piazza principale, Praça da República, vediamo altri vecchi edifici, uno di questi è una massiccia torre scura, si chiama Torre de Menagem ed è l’ultima sezione rimasta di un antico palazzo medievale. Ha un aspetto minaccioso e la vedrei molto bene come prigione.
Andando avanti lungo la via principale passiamo di fronte a molti negozi e boutique eleganti, in fondo un’arcata in stile gotico segna la fine della città vecchia. Il pezzo forte di Braga è però la sua Cattedrale, la Sé, la più antica del Portogallo. Venne iniziata nel 1070 e terminata circa un secolo dopo. Presenta diversi stili architettonici e dall’esterno non ha l’imponenza di altre grandi cattedrali come per esempio Notre-Dame. Lo stile romanico è quello predominante ma si vedono chiaramente anche le influenze gotiche e barocche. L’interno è riccamente decorato, l’oro la fa da padrone e, come nel caso della Cattedrale di Santiago de Compostela, sono abbastanza convinto che questo provenga dalle vecchie colonie americane. Siamo entrati dalla porta laterale ma usciamo dal portale piuttosto semplice ma comunque elegante.
Per pranzo scoviamo un minuscolo locale in una via secondaria. Sembra aperto da poco e dentro vi troviamo solo un ragazzo che fa sia da cuoco che da cameriere. Il menu del giorno prevede un primo, una bifana, bibita e caffè al modico prezzo di dieci euro a testa. Il primo si rivela essere una zuppa chiamata caldo verde: un nome appropriato dal momento che ci viene servita bollente ed è verde. Non riesco a capire con che verdure sia fatta, dalla consistenza sembrerebbero quasi alghe ma il sapore è più simile ai porri. La bifana è ottima, così come il caffè. Il ragazzo è molto gentile e gli auguro tutta la fortuna possibile con la sua attività.
Lasciamo Braga per dirigerci verso Guimarãraes, dove abbiamo appuntamento con la mia amica Sofia. Facciamo una breve sosta al santuario di Bom Jesus do Monte: sorge su una collina ed è circondato da una vegetazione rigogliosa ed è famosa per una spettacolare scalinata, la Escadaria do Bom Jesus. Purtroppo piove abbastanza insistentemente ed un vento freddo sferza l’area. Le nuvole inoltre c’impediscono di godere del paesaggio su Braga, che a quanto pare da qui è particolarmente bello.
Andiamo via un po’ rattristati e imbocchiamo la strada per Guimarãraes senza altre soste. Qui parcheggiamo dietro ad un castello e aspettiamo che arrivi la mia amica. Non ci vuole molto e vediamo avvicinarsi un’auto, dal sedile del passeggero vedo una faccia conosciuta: è Sofia, accompagnata da sua madre. Saliamo in auto e ci portano in centro. Sofia ha ventun anni, studia turismo e come me ha passato nove mesi a Baku grazie ad una borsa di studio Erasmus. L’ho conosciuta solo nel secondo semestre e mi è subito piaciuta. Personalità forte e molto sfaccettata, buon senso dell’umorismo, una certa propensione a rendere drammatici eventi di poco conto ed una buona dose di faccia tosta. Insieme a lei c’è pure Chelsea: mezza americana e mezza sudamericana (non mi ricordo esattamente di che paese) ma con anche un passaporto francese, è una di quelle persone con alle spalle una storia talmente strana da farti sentire noioso. Pure lei l’ho conosciuta in Azerbaigian, lavora per il governo americano e per puro caso ha deciso di venire a trovare Sofia nel nostro stesso periodo. Ora è appena tornata dal Kirghizistan, dove ha lavorato per un progetto sull’emancipazione femminile.
La madre di Sofia è una vispa di signora di un metro e sessanta che ci tiene molto a spiegarci la storia della città. Non parla inglese e quindi Sofia traduce per noi, anche se in effetti molte delle spiegazioni riusciamo a capirle lo stesso. Guimarãraes ha un passato piuttosto glorioso: fu qui che nel 1100 nacque Afonso Henriques, il primo re del Portogallo indipendente che proprio da qui fece partire l’offensiva contro i mori. Il suo centro storico è stato dichiarato patrimonio dell’UNESCO e recentemente la città si è proposta come centro culturale ed artistico, diventando nel 2012 la Capitale Europea della Cultura.
Non riusciamo a trovare parcheggio e quindi la madre di Sofia ci lascia vicino al castello e ci dice di entrare mentre lei ci aspetta fuori. Di fianco al castello si erge il Paço du Duques de Bragança, costruito nel 1401 e poi restaurato per diventare una delle residenze del Presidente Salazar. L’entrata è gratuita e la visita si rivela molto interessante. Ci sono numerose sale decorate con mobili e arazzi antichi, uno di questi rappresenta una mappa del mondo e alla base riporta una scritta molto affascinante e che forse ben rappresenta lo spirito portoghese dell’epoca: Por mares nunca d’antes navegados, “per mari mai navigati prima”. Visitiamo anche una grande cappella con bellissime vetrate ed un soffitto di legno a carena di nave.
Una volta usciti camminiamo fino al vicino castello, dove pare sia nato il re Alfonso Henriques. Non è molto grande ma è dotato di sette torri. Non ha l’eleganza di Carcassonne, in Francia, ma la sua evidente antichità mette in soggezione. Lungo le mura il vento ci porta odore di pioggia e abbiamo una vista della città. Quando torniamo dalla madre di Sofia ci accompagna nel centro storico, dove finalmente troviamo parcheggio. I vicoli del centro portano tutti alla piazza, lastricata con eleganti sanpietrini e su cui si affacciano la chiesa ed un bel porticato. Così come a Braga, gli stessi balconi delle case non fanno che aumentare il fascino del quartiere. Le nuvole vanno diradandosi e per noi è tempo di andare a casa di Sofia, prima però sua madre ci tiene a farci vedere un’ultima cosa: una scritta installata su una sezione delle vecchie mura della città che recita “Aqui Nãsceu Portugal”, “Qui nacque il Portogallo”. Un riferimento al fatto che appunto il processo di indipendenza nazionale partì proprio da Guimarãraes.
Sofia abita a Famalicão, non è molto distante, circa mezz’ora in autostrada, e si trova più vicina alla costa e alla città di Porto. La sua casa sorge in un quartiere periferico, sopra una collina, ed è una villa che odora ancora di nuovo. Il giardino non è del tutto ultimato, ma dal piacevole portico che la circonda si ha una bellissima visuale sulla città e sulle colline circostanti.
Per cena la madre di Sofia ci vizia e a me e Giorgia si scalda il cuore ad avere qualcuno che cucina per noi dopo due settimane di fornelletto a gas. Piatto forte della serata è del baccalà con riso, il bacalhau come viene chiamato qui, cui si aggiunge una zuppa a base di patate e delle salsicce con una storia molto particolare alle spalle: si chiamano alheira ma sono conosciute pure come “salsicce degli ebrei”. Nel XV secolo il re del Portogallo decise di convertire a forza tutti gli ebrei presenti sul territorio, questi allora, per continuare a professare la loro fede in segreto ma allo stesso tempo dare l’idea di essere buoni cristiani, inventarono queste salsicce di pollo speziato che però danno l’impressione di essere di maiale, animale a loro proibito. Dopo cena assaggiamo un bicchierino del famoso porto. Colore rosso intenso e sapore delicato, ci aiuta a digerire il sontuoso pasto.
Ci concediamo una doccia e consegniamo alla madre di Sofia buona parte dei nostri vestiti per approfittare della lavatrice. Poi usciamo per una birra con un amico di Sofia: Famalicão è una cittadina prevalentemente industriale e lei ci spiega che non c’è molto da vedere. Dormiamo nel salone dove ci hanno sistemato due comodissimi materassi e la notte passa tranquilla e pacifica.
Il giorno dopo ci svegliamo tardi, dopo una sontuosa colazione Giorgia, Chelsea e Sofia vanno a fare un giro a Braga, io devo restare a casa perché ho un appuntamento molto importante su Skype. Tornano per pranzo e così verso metà pomeriggio andiamo tutti alla stazione di Famalicão da dove prendiamo il treno per Porto. Il piano è visitare la città, passare la nottata con gli amici di Sofia e l’indomani prendere il primo treno per Famalicão. Il mio spirito da vecchio brontolone sarebbe volentieri tornato indietro anche la sera ma non voglio rovinare l’entusiasmo generale e così taccio.
Arriviamo alla stazione di Porto: si chiama São Bento ed è una bellissima entrata per la città visto che è decorata da numerosi azulejos, piastrelle di ceramica dipinte a mano con varie tonalità di blu e azzurro che in Portogallo fanno parte della cultura nazionale. La stazione venne costruita nel 1903 e lo si capisce facilmente, lo stile ricorda molto quello riscontrabile pure a Parigi. Le piastrelle mostrano momenti storici come battaglie ed incoronazioni, la luce che entra dalle ampie vetrate ne fa risaltare ulteriormente i colori.
Il traffico fuori dalla stazione è quello delle grandi città, poco distante troviamo l’Avenida dos Aliados, che più che una strada è una piazza lunga e stretta. Dalla zona pedonale al suo centro è possibile ammirare gli eleganti edifici che la circondano, su uno dei lati corti spicca un’alta torre che corona il palazzo del consiglio municipale. Sofia insiste per farci entrare a vedere il Mcdonald che dà sulla piazza, insistendo che è uno dei più belli al mondo. Dentro effettivamente troviamo delle belle vetrate colorate che lo fanno quasi sembrare un bistrot parigino di fine Ottocento, ma le analogie si fermano qui.
Proseguiamo fino ad arrivare alla Capela das Almas: un gioiellino di chiesa interamente decorata all’esterno da azulejos raffiguranti episodi di vite dei santi. La quantità di dettagli e la loro precisione è incredibile e non c’è un centimetro che sia stato lasciato libero. L’interno è molto più sobrio ma si bilancia bene con l’horror vacui dell’esterno.
Usciamo e andiamo in direzione del Douro, il fiume che attraversa Porto. Prendiamo Rua Santa Catalina, dove una folla lenta ma animata passeggia ammirando le eleganti vetrine dei negozi. Le facciate degli edifici sono spesso mantenute con cura e conservano così tutto il loro fascino ottocentesco. La strada finisce in Praça da Batalha e qui quasi per caso c’imbattiamo nella chiesa di Santo Ildefonso, un altro piccolo gioiello barocco ricoperto da azulejos.
Continuiamo passando di fianco alla Sé, la cattedrale di Porto e proseguiamo verso l’edificio più caratteristico della città: il Ponte de Dom Luis I. Porto si è sviluppata lungo le sponde del suo fiume, che tra l’altro dà il nome a tutta la provincia. Questo ponte venne costruito nel 1886 e guardandone una foto si ha la netta sensazione di aver già visto qualcosa di simile. Quel suo arco centrale che sostiene i due livelli riporta alla mente un altro edificio, ma quale? La risposta viene spontanea quando si apprende che il progettista del ponte fu un allievo di Gustave Eiffel.
Come detto il ponte ha due livelli, quello superiore è riservato ai pedoni ed alla metropolitana mentre quello inferiore è per le auto. Un grande arco di metallo, aiutato da qualche altro pilastro, sostiene la struttura. Non ci sono particolari decorazioni e le travi di metallo sono lasciate a vista. Attraversandolo si ha una panoramica mozzafiato sulla città: le sponde del fiume sono abbastanza scoscese e sembra quasi che le case siano state costruite le une sulle altre. Più a monte si vedono la cattedrale e gli altri palazzi storici del centro città e le facciate ben tenute delle case fanno quasi sembrare Porto un tranquillo villaggio di pescatori. Non c’è da sorprendersi che questo quartiere, chiamato Ribeira, insieme al resto del centro storico, siano stati dichiarati patrimonio dell’UNESCO.
La vista migliora ulteriormente quando, una volta passato il ponte, saliamo lungo la collina che ci si trova di fianco e arriviamo al Monasteiro da Serra de Pilar, facilmente riconoscibile per la sua struttura tondeggiante.
Questa sponda del fiume dove ci troviamo in verità non fa parte di Porto ma di un’altra città, Vila Nova de Gaia, la quale ha una propria amministrazione, ma da secoli è legata a Porto per via della produzione dell’omonimo vino.
Porto occupa un posto di primo piano nella storia del Portogallo, il nome stesso del paese viene da questa città e si pensa che derivi dall’epoca romana, quando la zona era occupata da villaggi di pescatori lusitani. Porto venne conquistata dai mori per un periodo per poi tornare in mano alla popolazione locale ma fu sotto la dinastia dei Borgogna, ed in particolare dell’eroe nazionale Alfonso Enriques, che anche il resto della regione riguadagnò la sua indipendenza. Nei secoli successivi gli abitanti di Porto ottennero la fama di ribelli a causa di numerosi episodi di protesta spesso legati a leggi restrittive nei confronti del commercio. Oggi Porto è la seconda città del Portogallo per abitanti e peso economico, superata solo dalla capitale Lisbona. Il commercio dell’omonimo vino fa parte della cultura cittadina da secoli: si crede che siano stati i romani i primi a piantarne le vigne nella regione, furono tuttavia gli inglesi che nel XVII secolo ne inventarono la versione che conosciamo oggi. In quegli anni Inghilterra e Francia erano in guerra e gli inglesi decisero di rivolgersi ai portoghesi per acquistare riserve di vino. La regione del Douro era quella che ne produceva di più ma il suo vino si caratterizzava per essere molto forte. Per renderlo più dolce gli inglesi cominciarono a mescolarlo con brandy e succo d’uva et voilà, ecco il porto. Il successo fu tale che ancora oggi questa bevanda è praticamente il simbolo della città, nonché uno dei vini più famosi del mondo.
Il lungofiume sulla sponda di Vila Nova de Gaia è costellato di cantine dove è possibile fare visite guidate e degustazioni di porto. Lungo l’argine vediamo anche molti barcos rabelos, le barche che in passato venivano costruite apposta per trasportare le botti di vino lungo il fiume. Il timone è un lungo remo posto a poppa, le forma dello scafo è stretta e affusolata e il fondo è piatto. Non posso fare a meno di paragonarlo alle varie imbarcazioni usate per secoli a Venezia per scopi molto simili: mascarete, caorline, pupparini e naturalmente gondole, non sono poi così diverse nella forma.
Ormai è tardi e le cantine stanno chiudendo, percorriamo la strada che corre parallela al fiume fino ad arrivare ad un piccolo mercato che vende prodotti artigianali. Tornando indietro il sole è ormai quasi sparito dietro le anse del fiume e lo spettacolo della luce rosata che colpisce gli edifici rende Porto molto simile ad una città delle favole. In generale mi piace molto, ci ho passato solo qualche ora e non ne ho nemmeno visto tutti i monumenti principali, ma avverto la giusta combinazione di storia, cultura e vitalità.
Riattraversiamo il Ponte de Dom Luis I e percorriamo un tratto del lungofiume che si trova su questo lato fino ad arrivare a Praça da Ribeira, da dove abbiamo una bella vista sulle cantine della riva opposta. Qui trovo anche un piccolo chioschetto d’informazioni turistiche che ha uno slogan veramente bello: “oPORTOnity to ask”, cioè “oPORTOnità di chiedere”, assolutamente geniale!
Con l’ultima luce disponibile riesco a scattare una foto ad un altro dei simboli della città: la Torre dos Clérigos, costruita nel XVIII secolo dall’architetto italiano Niccolò Masoni: è alta 76 metri e trasmette molta eleganza ed armonia.
Passeggiamo pigramente mentre decidiamo dove andare a mangiare, Sofia insiste per farci assaggiare una delle specialità di Porto la francesinha: una sorta di panino con dentro un misto di salsiccia, salame e wurstel, ricoperto da formaggio fuso e da una speciale salsa alla birra, il tutto accompagnato da patatine fritte. Come se non bastasse, la versione “rinforzata” prevede pure un uovo in cima al tutto. Il locale più rinomato per gustare questa leccornia si chiama Cafè Santiago e la sua fama è direttamente proporzionale alla folla che vi troviamo. Aspettiamo una buona mezz’ora, il servizio è sbrigativo e per niente cordiale, ma la francesinha è effettivamente molto buona: ben lontana dall’essere dietetica e leggera, ma non importa. Inoltre io ho un certo debole per questi piatti pesanti, che in Veneto sono spesso descritti con la parola “onti”.
Usciamo e torniamo verso il lungofiume per incontrarci con degli amici di Sofia. Troviamo un bar seminascosto che serve cocktail giganteschi da portare via per soli 2 euro, ci sediamo in riva e passiamo la serata a chiacchierare e a goderci la vista sul ponte. La zona è molto animata e ci sono moltissimi locali pieni di gente, soprattutto gruppi di giovani e turisti. Verso le tre ci muoviamo verso una piccola discoteca. Il livello generale di allegria è piuttosto buono e il dj passa grandi classici di rock ballabile che in questi casi sono i miei preferiti. Purtroppo però la festa dura solo mezz’ora e poi il locale chiude.
Usciamo e torniamo con calma verso la stazione; ormai sono quasi le cinque e dobbiamo aspettare circa un’ora per prendere il primo treno per Famalicão. Non appena mi siedo sul sedile sono colpito da un acuto attacco di sonno, mi distendo e mi addormento. Per la prima volta in vita mia vengo svegliato dal controllore, imbarazzatissimo gli faccio prontamente vedere il biglietto. Anche gli altri sembrano nelle mie stesse condizioni, ma almeno loro non si erano distesi del tutto sui sedili. Una volta tornati a casa di Sofia ci concediamo tutti una mattinata di sonno profondo.
Links:
https://it.wikipedia.org/wiki/Braga
https://it.wikipedia.org/wiki/Guimar%C3%A3es
https://it.wikipedia.org/wiki/Porto_(Portogallo)
Francesco Ricapito Agosto 2016
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