E dunque si arriva alla seconda e ultima parte dell’opera che chiude la “trilogia della depressione”. Se era la depressione che doveva trasparire, a conclusione della vicenda, possiamo dire senza ombra di dubbio che traspare pure, ma quella dello spettatore pagante. Non tanto o non solo quella di personaggi davvero poco sfaccettati e ripetitivi, perché Lars von Trier dopo una prima parte che quantomeno incuriosisce, prosegue il racconto attraverso i più banali e prevedibili clichè del sesso e delle sue possibili varianti, anche quelle più pericolose e perverse, palesando una piattezza narrativa che porta più di una volta alla parodia involontaria e complessivamente alla noia.
Questa seconda parte è presto riassumibile: prosegue il racconto di Joe a Seligman, diviso in capitoli, sulla sua vita da ninfomane incallita, anche quando inattesa arriva la maternità. Maternità che dura pochi mesi, perché Joe abbandona compagno e figlio per seguire le ardite vie del sesso estremo. Questa volta sono forti frustate sul sedere ad accendere la sua passione, fino a che la nostra bella protagonista non si stufa e si dà al recupero crediti o all’estorsione, che dir si voglia. Anche in questo caso, grazie alla sua conoscenza profonda e intima del genere maschile, miete successi e recupera denari in buona quantità tanto che, arrivata al culmine della nuova professione, decide di affiancarsi ad una ragazza quindicenne e disadattata a cui insegnare il mestiere. Joe farà sesso anche con lei, ma finirà male. E qui torniamo a Seligman, che ha ascoltato tutto il suo racconto senza particolare eccitazione perché in realtà non ha mai fatto sesso con nessuno e nemmeno sembra desiderarlo. Ma proprio quando Joe crede di essersi fatta finalmente un amico comprensivo e disinteressato alla sua vagina, Seligman si rimangia tutto e prova a penetrarla nel sonno, facendo però una brutta fine. Qui la storia chiude, e noi intuiamo soltanto che Joe ha sparato a Seligman ed è fuggita da casa sua.
Un finale triste e depressivo, come accennato, ancora una volta e in puro stile Lars von Trier, senza alcuna possibilità di speranza. Ma non è l’ennesimo apologo nichilista o l’assenza di speranza ad irritare, nel cinema del regista danese, quanto una messa in scena prevedibile, stanca e dal fiato corto, che forse non aveva del tutto lasciato ben sperare già nella prima parte ma che certo non si pensava potesse essere così scadente e svuotata di significati in questa seconda. Del resto, a conti fatti, abbiamo assistito alla cronaca, senza troppa fantasia, della vita di una donna ossessionata dal sesso e dalla sua vagina in particolare, che ha usato gli uomini pressoché come oggetti e non è riuscita a provare vera empatia nemmeno di fronte a un figlio. Quello che in fondo dà veramente fastidio, in Nynphomaniac, non è tanto il sesso ripetuto stancamente in sé, tanto siamo abituati a trovarlo ovunque e a tutti gli orari del giorno, oramai, e nemmeno la presunta morbosità di un racconto che a ben guardare si rivela abbastanza innocuo, rispetto alla potenza evocativa di Melancholia ma anche dello stesso, seppur discutibile, Antichrist, quanto il moralismo evidente che traspare di fondo, che il buon Lars ancora una volta elargisce a piene mani come nelle peggiori opere del passato (una su tutte: Idioti).
Ecco perché il giudizio complessivo di un’opera del genere non può che essere negativo, nonostante von Trier ci metta del suo, soprattutto nella prima parte, per renderla interessante grazie a qualche indovinata scelta di regia e a qualche trovata in sede di montaggio. Gli stessi attori, a ben guardare, vengono in fondo penalizzati, cosicché anche la solitamente brava Charlotte Gainsbourg, pur in un ruolo fortemente caratterizzato, non lascia grandi tracce di sé oltre alle reiterate e pur gradevoli nudità, e lo stesso Stellan Skarsgard si ritrova in un ruolo palesemente ingrato che culmina sfiorando il ridicolo. Forse voleva chiudere su note malinconiche, Nymphomaniac, ma quel che resta, e proprio il finale ce lo conferma, è una conclamata assenza d’empatia che non è tanto quella della protagonista rispetto ai suoi tanti uomini, quanto quella di Lars verso gli spettatori. Che stavolta non gradiscono: anche chi apprezza il suo cinema, non è difficile prevederlo, resterà probabilmente deluso.
Federico Magi, maggio 2014.
Edizione esaminata e brevi note
Regia: Lars von Trier. Soggetto e sceneggiatura: Lars von Trier. Fotografia: Manuel Alberto Claro. Montaggio: Molly Marlene Stensgard. Interpreti principali: Charlotte Gainsbourg, Stellan Skarsgard, Stacy Martin, Shia LaBeouf, Uma Thurman, Willem Dafoe, Christian Slater, Jamie Bell, Mia Goth, Sophie Kennedy Clark, Connie Nielsen, Michael Pas, Jean-Marc Barr, Udo Kier. Scenografia: Simone Grau Roney. Costumi: Manon Rasmussen. Produzione: Zentropa Entertainments, Zentropa International, Slot Machine, Zentropa International France, Caviar, Zenbelgie, Arte France Cinéma. Musica: Rammstein, D. Shostakovich, C. Saint-Saëns, Steppenwolf, G.B. da Palestrina, C. Franck, J.S. Bach, Talking heads, C. Gainsbourg, R. Wagner, L. van Beethoven, F. Haendel, W.A. Mozart. Origine: Danimarca / Germania / Francia / Belgio, 2013. Durata: 110 minuti.
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