La casa editrice Arcoiris di Salerno, dopo la pubblicazione di “Un viaggio terribile” e “L’amore stregone”, ha pensato bene di proporci due pièce teatrali di Roberto Arlt, “Saverio il crudele” e “L’isola deserta”; probabilmente identificate dalla critica come “opere minori”, ma di sicuro letture efficaci per la comprensione di quella che è stata definita la “poetica del fallimento”, peculiare dell’autore argentino. La prima vede in scena l’inaspettata scoperta di un“crudele”, ovvero Saverio, un modesto immigrato che commercia in burro. Soprattutto un ingenuo che diventa vittima di una burla feroce imbastita da un gruppo di sfaccendati di buona famiglia: Susanna, già artefice di scherzi memorabili, attorniata dai suoi giovani complici, si finge impazzita, trasformata in una regina detronizzata da un colonnello. I suoi amici hanno il compito di convincere Saverio a partecipare a una messinscena, spacciarsi per l’usurpatore, fingersi ghigliottinato e così, di trauma in trauma, riportare alla ragione Susanna. Inizialmente tutto sembra andare secondo i piani, tanto che il buon Saverio inizia ad immedesimarsi nel personaggio in una maniera tale da far pensare ad un irreversibile impazzimento. Poi il colpo di scena e la scoperta di un pazzo vero e ben più pericoloso.
“L’isola deserta”, la seconda messa in scena, racconta di alcuni contabili relegati in un ufficio – sostanzialmente uno scantinato – nei pressi del porto di Buenos Aires. Il trasferimento ad un piano superiore, luminoso, e poi l’incontro col mulatto Cipriano, un fattorino dal passato avventuroso, scatenerà un moto di ribellione nei confronti di un lavoro grigio e di un ambiente cementificato che non conosce le gioie della natura. Una ribellione rispetto la demoralizzante monotonia della vita quotidiana e che rimarrà – facile intuirlo – più che altro nella testa di impiegati ricattabili e licenziabili.
Questa idea doveva essere molto presente nello scrittore argentino. Ne abbiamo conferma leggendo la postfazione a cura di Carolina Miranda: “Mira Arlt sostiene che per suo padre la routine aveva un potere annientatore, capace di trasformare persone civilizzate in automi soggiogati dalla dittatura del denaro […] E’ precisamente in questa incessante ricerca della felicità che troviamo una delle premesse più importanti dell’opera arltiana: la felicità si raggiunge grazie al coraggio” (pp.115). Un coraggio che però non esiste e, se esiste, va presto a sbattere contro delusioni e incubi creati ad arte.
Due atti teatrali la cui parola chiave si chiama “inganno”; e che confermano quanto la poliedricità di Arlt si sia manifestata con racconti a dir poco bizzarri, popolati da personaggi folli e soprattutto perdenti, sempre desiderosi di essere altrove, immersi in una precarietà che non lascia scampo. Tutti elementi che, , se interpretati con intelligenza, potevano rivelare una critica spietata nei confronti della società (in)civile e piccolo-borghese del tempo, a volte angosciata, a volte semplicemente stupida; e che, svenduti gli antichi ideali, affondava nel conformismo e si vendeva alle peggiori dittature. Rappresentazioni d’ipocrisia a ogni livello, dove tutti recitano una parte (Jean Franco, non a caso, ha scritto di “ispirazione pirandelliana”); e poi i ritratti di perdenti incapaci di realizzare i propri sogni, che, per lo più in contesti grotteschi e farseschi, hanno un destino di alienazione e follia.
Proprio a causa di questo perenne recitare dei personaggi la critica letteraria ha voluto evidenziare lo stile allucinatorio dello scrittore argentino, quasi da “incubo espressionista”, al punto che “niente è mai come sembra, non si sa veramente come è accaduto quelle che è accaduto, la malafede, in pratica, è la struttura portante della narrazione”. In “Variazioni sul tema della lettura” (ed. Aracne, 2007) Loris Tassi ha scritto alcune pagine che funzionerebbero bene anche come introduzione alle due pièce teatrali, in particolare a “Saverio il crudele”: “I personaggi arltiani sono colpevoli di finzioni, presentano una natura ostentatamente fittizia, sono autenticamente – artificiosamente – posseduti dalla letteratura e ne sono sofferenti […] Il più delle volte, la recita ha conseguenze funeste: il ruolo che assumiamo per gioco finisce per rivelare o forse per costruire il nostro destino, così come lettura rivela o costruisce la vita del personaggio arltiano”.[1]
Una finzione imposta dalla società o creata ad arte per fuggire da grigiore della vita quotidiana. Ragion per cui, alla fine, il “crudele” Saverio, malgrado la sua metamorfosi, non ci appare affatto spietato come potrebbe suggerire il titolo della pièce teatrale; semmai vittima di ben altra crudeltà e, fino a quel momento, oppresso, come gli impiegati dell’Isola deserta, da una “perpetua ricerca della felicità”.
[1] Loris Tassi, Variazioni sul tema della lettura. L’opera di Roberto Arlt, ed. Aracne (collana Studi americani, culturali e linguistici), Roma 2007, pp.48.
Edizione esaminata e brevi note
Roberto Arlt (Buenos Aires, 1900 – Buenos Aires, 1942) fu giornalista, scrittore e drammaturgo. Tra le sue opere sono stati tradotti in italiano i romanzi “Il giocattolo rabbioso”, “L’amore stregone”, “I sette pazzi”, e “I lanciafiamme”.
Roberto Arlt, “Un viaggio terribile”, Arcoiris edizioni (collana Gli Eccentrici), Salerno 2016, pag. 120. Traduzione di Raul Schenardi e di Violetta Colonnelli.
Luca Menichetti. Lankenauta, agosto2016
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