Un intero romanzo costruito sul leit-motiv della musica, a partire dal titolo stesso. Il canone infatti è una struttura musicale assai usata soprattutto nella polifonia. Esso consiste nel fare iniziare una melodia da una sola parte (detta antecedente) e di farla seguire, dopo un dato intervallo temporale, da una diversa parte che imita rigorosamente – anche partendo da una nota diversa – il disegno melodico presentato dalla parte che ha iniziato.
Nel canone inverso la parte che risponde alla prima propone gli intervalli di questa in direzione inversa.
Nel romanzo la musica – e in particolare la vicenda di un violino – accompagna e permea ogni relazione umana, crea un alone di mistero e il canone inverso è il progressivo deteriorarsi di una relazione d’amicizia tra due ragazzi dotati di abilità musicale.
UNA VICENDA COMPLESSA
Il narratore – soltanto alla fine si scoprirà la sua identità – acquista a Londra, presso un’asta da Christie’s, uno strano e pregiato violino, caratterizzato da una testina antropomorfa con un volto inquietante, che sta al posto della tradizionale chiocciola.
Mentre in albergo si appresta a contemplare con piacere il suo nuovo acquisto, riceve la visita di uno scrittore misterioso che, non prima di aver cercato invano di acquistare lo strumento, inizia a raccontargli la storia del violino e del suo misterioso possessore.
La vicenda si trasferisce così a Vienna. Lo scrittore si rivela un musicofilo e un esecutore occasionale, giunto nella capitale austriaca per le celebrazioni del trecentesimo anniversario della nascita di Bach.
In questa città incontra uno strano personaggio, un talentuoso del violino, che dice di chiamarsi Jeno Varga, il quale gli racconta una storia particolare, una storia tutta musicale che lo scrittore cercava da tempo e che non era mai riuscito a narrare. Egli osserva:
“La musica è la mia consolazione. Quest’arte, nella sua essenza sfuggente, nella continua vanificazione di se stessa assomiglia all’idea che mi sono fatto della vita” (p. 17)
Quasi come una musica che si leva e giunge lontano, così la storia passa da un narratore all’altro e si delinea, nel suo svolgersi, misteriosa e fantastica. Lo scrittore stesso sente una sorta di attrazione fatale per il violinista, è come se la musica lo guidasse, la sente ovunque:
“Quel suono, lo sapevo bene, non esisteva che nella mia fantasia eccitata, eppure l’inganno era perfetto. Persino il vento, che si era levato improvvisamente, confondeva i miei sensi con il suo sussurro, facendomi udire vicinissime quelle note che per un momento credevo svanite, per tramutarle poi nel cigolio di un’imposta o nel tinnire di qualche insegna di latta” (p. 32).
La vicenda narrata sarà di fedeltà totale e assoluta alla musica, che diverrà quasi ossessione, sarà la storia di un’amicizia tra due ragazzi (almeno fino alla sorpresa finale) e di un amore a distanza, nato e vissuto sempre all’insegna della musica.
Il rapporto di Jeno con il suo violino, unico ricordo di un padre mai conosciuto,diviene quasi diabolico.
“Era come se da quel violino fosse scaturito uno spirito misterioso, un genio collerico, raffigurato da quel volto crudele e dolente che intravedevo sulla superficie della tavola armonica, riverso come se emergesse boccheggiante dal pelo dell’acqua” (p. 62).
Dotato di talento, Jeno va a studiare al Collegium Musicum, rinomato e terribile istituto, isolato dalla società civile, un luogo desolato e opprimente la cui tetra struttura contrasta violentemente con la libertà e la bellezza rappresentate dalla musica.
Gli insegnanti si rivelano mediocri e meschini, occupati solo ad evitare che i ragazzi solidarizzino tra loro e a gestire le invidie reciproche. Il vero talento, la creatività, l’originalità vengono di fatto scoraggiati, a vantaggio della sola tecnica, in se stessa arida e monotona.
Jeno diviene, per un periodo, estraniato e, inizialmente, neppure la morte della madre lo scuote, solo in seguito realizza l’avvenuta realtà.
“Fu l’anno più difficile, l’anno in cui il dubbio che la musica non fosse una ragione sufficiente per vivere si fece sempre più forte. Fu l’anno in cui la musica stessa, che fino ad allora mi aveva consolato con la sua presenza immateriale, mi abbandonò del tutto” (p. 84).
Nell’ambiente ostile del collegio, Jeno riesce comunque a fare amicizia con Kuno, un ragazzo della sua età, figlio di una nobile famiglia tirolese.
Un’amicizia che nasce, si sviluppa e poi tramonta sempre attraverso le note: alla musica suonata dall’uno, l’altro risponde; per una rivalità riguardo un’esecuzione i due si allontaneranno.
Jeno trascorrerà, dopo la conclusione degli studi, un’estate ospite al castello di famiglia di Kuno e qui la vicenda si tingerà di mistero, sconfinerà nel sogno e approderà a una serie di rivelazioni finali inquietanti.
L’atmosfera del castello tirolese, con le sue presenze, le stanze piene di oggetti e cimeli di caccia, l’antica polvere, le zone non visitate da anni e anni, i segreti di famiglia, viene resa magistralmente da Maurensig.
Il castello sembra un luogo fuori dal tempo, in cui la vita, con i suoi riti, l’immancabile cena alle sette, si sia fermata.
“Tutto sembrava racchiuso in una boccia di cristallo” (p. 111).
E inquietante è la figura della nonna paralitica, che pronuncia come unica parola solo il nome di uno zio medico e alchimista, scomparso misteriosamente e la cui tomba è stata profanata.
L’allusività, il non detto appare l’elemento essenziale della vita al castello: tutti sanno del mistero riguardante lo zio, ma nessuno ne parla apertamente, all’apparenza per non turbare la nonna, unica che potrebbe sapere qualcosa, ma è afasica, dunque impossibilitata a rivelare ogni notizia.
Le grandi discussioni serali vertono spesso sull’immortalità.
“Per me a evocare l’immortalità era stata sempre e solo la musica. La musica era una delle tante vie che portano alla conoscenza, una via ignota alla maggior parte degli uomini, ma che Kuno e io stavamo percorrendo da tempo. La musica preesisteva alla creazione del mondo e non si sarebbe estinta. Eppure era anche la più labile delle arti, quella che si dissolve nota dopo nota. Consacrare la propria vita alla ricerca della perfezione nella musica era per me l’unica strada per tentare di raggiungere l’ineffabile stato degli immortali” (pp. 127-128).
E il talento, per Jeno, non è soltanto frutto di un’eredità genetica, ma “dono dello spirito” (p. 136).
Nel corso del libro i riferimenti a cosa sia il vero talento musicale, alla tecnica e alla libertà della creazione sono numerosi e riflettono probabilmente un interesse personale dell’autore a questi temi.
Dopo una rivelazione finale, Jeno sembrerà sparire misteriosamente, non prima di aver però descritto l’avvento del nazismo, un periodo storico in cui sembra non esserci più posto per la musica nel mondo. È una fase oscura, in cui risuonano solo grida e marce militari e la civiltà del passato, in particolare quella mitteleuropea di Vienna, va dissolvendosi sotto gli occhi e l’indifferenza di tutti.
Lo scrittore cui Jeno ha narrato la sua storia rimarrà, in seguito ad eventi successivi, per sempre incerto sulla realtà del suo incontro, che si trasferirà nel sogno. Solo ai lettori saranno rivelati altri particolari….
Secondo romanzo di Maurensig, Canone Inverso si rivela ricco di sorprese, ben costruito e conferma la vocazione ad una scrittura rivolta all’onirico e al fantastico, elementi più ampiamente presenti nell’ opera, “Il guardiano dei sogni”.
Articolo apparso su lankelot.eu nel novembre 2006
Edizione esaminata e brevi note
Paolo Maurensig (Gorizia, 1952), scrittore italiano, vive e lavora a Udine.
Ha scritto: “La variante di Lűneburg” (1993), “Canone Inverso” (1996), “L’ombra e la meridiana” (1998), “Venere lesa” (1998), “L’uomo scarlatto” (2001), “Il guardiano dei sogni” (2003).
Paolo Maurensig, “Canone inverso”, Mondadori, Milano, 1996.
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