Poe Edgar Allan

Racconti

Pubblicato il: 15 Novembre 2006

Poe è un narratore visionario e lucido al tempo stesso, allucinato, fantasioso ma capace di analizzare con precisione e spietatezza gli stati d’animo più torbidi, le sensazioni più oscure e remote, quelle che l’uomo tende a rimuovere oppure a nascondere anche a se stesso: la paura, l’orrore, la perversità che conduce al delitto, la crudeltà verso esseri umani o animali, gli oscuri terrori che a volte non riusciamo a definire e che agitano i nostri sogni o abitano la nostra immaginazione.

Una sensibilità esagerata, che trova il proprio culmine nella malattia o nello stato di debolezza di una convalescenza caratterizza spesso i suoi personaggi, che proprio grazie a quest’alterazione sensoriale si fanno recettivi verso gli aspetti più oscuri o stravaganti del reale.

Sentono e vedono ciò che ad altri è precluso, cadono vittime di allucinazioni fatali, odono passi, rumori, morti che ritornano in vita. Oppure finiscono schiavi delle droghe e ancora il risultato è il medesimo: visioni, distorsioni della realtà, una continua incertezza nel distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è e uno stato di paura insinuante, paura dell’altro da sé, paura del misterioso, paura di sprofondare per sempre nel baratro di un’irrimediabile pazzia. E orrore, talvolta: per quel che si percepisce, per il dischiudersi di tanta tenebra ospitata nella nostra mente all’apparenza così logica e razionale.

Incubi e deliri, personaggi disorientati o condannati a una morte atroce in un’oscura cella dell’Inquisizione (“Il pozzo e il pendolo”) o corrosi da malattie nervose (“Il crollo della casa Usher”); donne consunte, diafane, spettrali; scenari tenebrosi: Poe è un abilissimo sceneggiatore e con grande maestria descrive fino in fondo gli stati d’animo e le vicende dei suoi personaggi, collocandoli su un vero e proprio impianto teatrale ben congegnato, con le scenografie adatte, addirittura i suoni, i gesti, i minimi dettagli.

I racconti riescono a catturare il lettore e a farlo sprofondare insieme al protagonista, generalmente narratore in prima persona.

Ogni dettaglio è curato con precisione ossessiva, vi è il senso del colore (basti pensare alle sale de “La mascherata della Morte Rossa”), il gusto dell’arredamento e del vestiario, delle posizioni delle luci e delle ombre.

Poe non lascia nulla al caso e studia tutto in vista del colpo di scena finale.

Un visionario lucido, un artista maledetto ante-litteram (non a caso Poe fu riconosciuto prima in Europa da Baudelaire e poi in patria. I suoi racconti contengono un florilegio di temi e motivi cari al decadentismo), capace di creare le visioni più spaventose e poi di teorizzare sulla creazione artistica con razionalità lucidissima, abile e appassionato decifratore di crittogrammi ed enigmi, ideatore dell’antesignano di Sherlock Holmes (e di molti altri detective), il geniale Auguste Dupin, mente deduttiva ed acuta, che qui vediamo all’opera ne “La lettera rubata”, ma che dà il meglio di sé negli arcinoti “Delitti della via Morgue”; colto e stravagante, incallito mentitore nella vita privata, poeta e recensore, figura allucinata, assediata dall’alcool, dalla droga, dalla miseria e scrittore al perenne inseguimento di un sogno, una rivista tutta sua, indipendente e libera.

Poe fu figlio adottivo ribelle e anticonformista, giocatore e dissipatore, ma geniale, insofferente ad ogni disciplina, sposo a una moglie-bambina insidiata dalla malattia, che condivise con lui la povertà, che non poté esser sempre curata nel modo dovuto e probabilmente fornì l’archetipo per numerose figure femminili diafane e rubate anzitempo alla vita, disperato e sognatore, ignorato poi acclamato, artista diverso e scomodo, tuttora inquietante ed unico.

La selezione di racconti di Poe qui presentata rivela una gran varietà di registri: si va dal poliziesco (“La lettera rubata”) cui si è già accennato, all’horror, cui attingeranno in età contemporanea Stephen King e molti altri, scivolando spesso nel kitsch (Dario Argento), al trattatello filosofico (“La filosofia dell’arredamento”) sul gusto, al caso straordinario (“Lo scarabeo d’oro”) al racconto ironico (“Il diavolo nel campanile”).

Questa raccolta, seppur parziale, già dimostra l’abilità di Poe, le sue poliedriche doti narrative, la capacità di variare i registri linguistici, basti pensare alla parlata buffa del servo negro Jupiter ne “Lo scarabeo d’oro” o degli abitanti del paesino montano (che ricordano molto i tirolesi) ne “Il diavolo nel campanile”.

Alcuni leit-motiv si rincorrono nei racconti in modo quasi ossessivo.

Le figure femminili (“Ligeia”, “Berenice”, la donna de “Il ritratto ovale”, “Madeline Usher”) sono consunte dalla malattia, emaciate, diafane, spettrali, vanno estenuandosi poco a poco fino alla morte e talvolta ritornano poi in vita o fanno comunque percepire la loro misteriosa presenza. Sono state interpretate come proiezioni dell’autore stesso o immagini di Virginia, la moglie-bambina. Sono donne eteree, evanescenti, di una bellezza non classica, ma dalla forte presenza spirituale. Ecco lady Ligeia:

Nessun’altra donna eguagliò mai la bellezza del suo volto. Era lo splendore di un sogno d’oppio, un’esaltante visione aerea, più stranamente divina delle fantasie che visitavano nel sonno le anime delle figlie di Delo” (p. 30).

Donne destinate alla morte o alla catalessi, se anche all’inizio godono di buona salute e vitalità, ben presto mali oscuri le divorano e le trascinano via, spengono la loro gioia e il loro amore.

Il personaggio maschile (di solito l’io narrante) è in genere un visionario, spesso dedito all’oppio, propenso agli stati di esaltazione mentale e di delirio.

Caso tipico è quello di Roderick Usher, protagonista di un racconto magistrale. Erede di una stirpe antichissima e nobile, che “si era distinta, da tempo immemorabile, per una particolare sensibilità di temperamento che si era manifestata attraverso i secoli in molte opere artistiche di rilievo” (p. 43), egli è afflitto da una malattia nervosa che gli causa un’ipersensibilità, un’alterazione generale dei sensi per cui non tollera altro che certi sapori e certi suoni, i suoi occhi sono torturati anche dalla luce più debole, indossa solo abiti di un certo tipo di tessuto.

Così molti altri personaggi di Poe vivono malattie, convalescenze, nevrosi oppure confessano indole fantasiosa ed eccitabile (“William Wilson”, “L’uomo della folla”, “Il cuore rivelatore”, anche “Lo scarabeo d’oro”), oscure tare ereditarie, un malessere sottile, un disagio psico-fisico che li tormenta.

Personaggi di tal genere non possono che muoversi in uno scenario adatto, che teatralmente, come già osservato, Poe dischiude.

Predominano paesaggi tetri e desolati, antiche dimore avite labirintiche e stravaganti, con teorie di stanze, saloni, scale, torri, cantine, cripte oscure, angoli bui, tendaggi, quadri, mobili esotici, luci colorate.

Le descrizioni sono addirittura ossessive per il gusto del particolare, eppure magistralmente efficaci. Stanze piene d’oggetti che sarebbero piaciute ai decadenti, come la camera di lady Ligeia, dal soffitto di quercia scura “ornato dei più strani e più grotteschi fregi in uno stile a metà tra il gotico e il druidico” (p. 30). Dal centro della volta pende un “immenso incensiere” d’oro, “tutto traforato in modo che lingue di fuoco multicolori ne uscissero e ne entrassero in successione continua, torcendosi come se fossero dotate di vitalità serpentina” (p. 30).

E poi candelabri, il letto di fattura indiana, d’ebano, con un baldacchino “simile a un drappo funebre”, sarcofagi egizi di granito nero agli angoli della stanza e tendaggi, tappezzerie oscure, che giocano con la luce e creano panneggi scenografici, ombre, favoriscono le allucinazioni.

Oppure la triste casa Usher, ricoperta di minuscoli funghi, circondata dal fossato putrido che la riflette e con una crepa sottile che l’attraversa dall’alto al basso e le finestre come orbite vuote. Osserva il narratore:

La mia fantasia era esaltata al punto da farmi credere realmente che su tutta la dimora e sulla tenuta gravasse un’atmosfera particolare, caratteristica dell’edificio e delle sue immediate vicinanze, un’atmosfera che non aveva alcuna affinità con l’aria del cielo, ma che esalava dagli alberi marciti, dal muro grigio, dallo stagno silenzioso, come un vapore pestilenziale e mistico al contempo, opaco, lento, appena percettibile, e soffuso di una sfumatura plumbea” (p. 44).

Si arriva ad ipotizzare un’influenza dell’edificio sui suoi abitanti e, poco a poco, quest’idea si concretizzerà fino all’epilogo.

Un altro leit-motiv assai inquietante è quello del doppio e del sosia, altra causa di paura e di destabilizzazione per i protagonisti di Poe. William Wilson ne è ossessionato, questo suo sosia “buono” e sussurrante gli rovina l’esistenza, compare teatralmente (magistrale l’entrata in scena nella stanza in cui William sta barando al gioco) e lo conduce al parossismo finale.

Ma il tema compare anche in “Ligeia” e ne “Il ritratto ovale” (il ritratto s’abbellisce e la donna sfiorisce fino alla morte, vagamente ci si può richiamare a Dorian Gray).

Anche la presenza di cadaveri occultati e di seppellimenti troppo affrettati suscita sensazioni d’orrore e di paura. Si arriva all’analisi del delitto (“Il gatto nero”, “Il cuore rivelatore”, “Il barile di Ammontillado”) e allo scavo nella perversità umana.

Di questo spirito [della perversità] la filosofia non si cura. Eppure non sono così sicuro che la mia anima sia viva, di quanto sia sicuro che la perversità è uno degli impulsi primitivi del cuore umano, una di quelle inscindibili facoltà primarie o sentimenti che governano il carattere dell’Uomo” (p. 168).

Poe, prima di Freud, scava nell’inconscio e ne trae visioni, mostri, paure, irrazionalità, scatti, gesti violenti, squaderna vizi, rivela azioni malvagie e orrori senza scadere nel kitsch e creando racconti brevi, ma carichi di tensione.

Emblematico Il pozzo e il pendolo: un io narrante senza nome si ritrova, dopo un processo cui si accenna soltanto, nelle segrete dell’Inquisizione spagnola e nel disorientamento più totale di una cella-trappola piena di trabocchetti, metamorfica, in balia di entità esterne che ogni tanto gli modificano lo scenario e gli fanno provare nuove torture e nuove angosce. Vi è nel testo una tensione crescente che non si allenta mai.

Così come un crescendo d’orrore vi è ne La mascherata della Morte Rossa, con la terribile pendola i cui inquietanti rintocchi segnano la fuga inesorabile del Tempo e la vanità di ogni tentativo d’isolamento dell’egoista principe Prospero.

Poe fu però anche poeta (e qualche poesia c’è in un paio di racconti) ed esteta: un piccolo assaggio si ha nella dissertazione La filosofia dell’arredamento, dove Poe non lesina critiche alla moda americana e al suo cattivo gusto.

Snobisticamente discetta su tende, mobili, illuminazione, specchi vagheggiando la stanza ideale, in cui non possono mancare naturalmente due o trecento libri.

Articolo apparso su lankelot.eu nel novembre 2006

Edizione esaminata e brevi note

Edgar Allan Poe (Boston, Usa, 1809 – Baltimora, Usa 1849) scrittore americano. Figlio di attori girovaghi, rimasto orfano in tenera età, viene accolto in casa dal commerciante in tabacco di Richmond John Allan, forse suo padrino, e dalla moglie, che lo amerà come un figlio, anche se la coppia non lo adotterà mai legalmente. Poe assumerà il loro cognome come secondo nome.

Precoce talento letterario, ma propenso all’alcool e al gioco, finisce espulso sia dalla Virginia University, sia successivamente dall’Accademia Militare di West Point.

I rapporti col padrino si faranno sempre più tesi, specie dopo la morte della moglie e il suo secondo matrimonio, che causerà la rottura definitiva.

Dal 1829 e fino alla morte Poe avrà invece buoni rapporti con Mary Clemm, zia dal lato paterno, che lo accudirà e manterrà per tutta la vita.

Le sue prime raccolte di versi rimangono ignorate da pubblico e critica.

Nel 1835 il suo racconto “Manoscritto trovato in una bottiglia” vince un premio di cinquanta dollari. Da ora in poi Poe inizia a collaborare a giornali e riviste, le cui tirature aumentano grazie ai suoi articoli. Scrive racconti, poesie, recensioni.

Nello stesso anno sposa la cugina Virginia Clemm, non ancora quattordicenne, che morirà di tisi nel 1847. Sempre schiavo dell’alcool e del laudano, Poe con la moglie, si sposterà in varie città americane, cercherà di fondare una sua rivista indipendente, conoscerà povertà e malattia. Nell’ultima fase della sua vita si dedica all’’attività di conferenziere. Nel 1849 viene trovato in strada a Baltimora, semicosciente, in preda al delirium tremens. Morirà senza riprendere conoscenza.

Tra le sue opere: “Racconti del grottesco e dell’arabesco” (1840); “Racconti” (1846); il romanzo “La storia di Arthur Gordon Pym” (1838); le poesie “Tamerlano e altre poesie” (1827); “Il corvo e altre poesie” (1845); “Eureka: un poema in prosa” (1848) e vari saggi critici tra cui “La filosofia della composizione” (1846).

Edgar Allan Poe, “Racconti”, La biblioteca di Repubblica, Roma 2003.

Introduzione e traduzione di Barbara Lanati. Il volume contiene i seguenti racconti: Berenice, Ligeia, Il crollo della casa Usher, Il diavolo nel campanile, William Wilson, La filosofia dell’arredamento, L’uomo della folla, La mascherata della Morte Rossa, Il ritratto ovale, Il cuore rivelatore, Il gatto nero, Il pozzo e il pendolo, Lo scarabeo d’oro, La lettera rubata, Il barile di Amontillado.

Approfondimento in rete: The Work of Edgar Allan Poe / E.A. Poe Society of Baltimore / Poe Museum / Antenati.

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