A quanto pare gran parte dell’elettorato italiano conosce poco o nulla del “Disegno di legge Renzi – Boschi”, ovvero della Riforma Costituzionale che, nelle intenzioni della banda renziana, metterà definitivamente in soffitta il sistema democratico per come lo conosciamo. Un sistema che, di anno in anno, ha visto imporsi un’oligarchia di partito mentre l’elettorato diventava sempre più ininfluente. Adesso, in virtù di un disegno che intende ridurre il pluralismo istituzionale e gli organi di controllo e di garanzia, il sigillo finale: la concreta prospettiva di un’autarchia elettiva legittimata dalla Costituzione e resa potabile agli elettori grazie agli slogan sulla velocità, sul nuovo, sui gufi e quant’altro. Proprio uno di questi “professori gufi”, Gustavo Zagrebelsky, insieme a Francesco Pallante, argomentando in merito alla necessità di un’autentica democrazia partecipata, ci ha proposto un libro che, come già si evince dal titolo, intende rispondere punto su punto alle réclame dei deformatori renzian-verdiniani.
L’opera di Zagrebelsky è una lettura necessaria, al di là delle contingenze dettate dal prossimo referendum costituzionale: alle banalità e alle falsità degli slogan si contrappongono queste pagine, caratterizzate da sintesi, profondità di pensiero, da analisi impietose sui pasticci teorici e pratici, sulle castronerie sintattiche, logiche, giuridiche contenute nel Disegno di legge12/04/2016; pur mantenendo sempre uno stile garbato e scevro da polemiche gratuite. Oltretutto, per smentire che all’epoca non esistessero idee alternative al pastrocchio, in “Non esistevano proposte alternative a questa riforma?” possiamo leggere il lungo parere inviato da Zagrebelsky al ministro Boschi nel 2014, nella fase iniziale dei lavori parlamentari. Parere che, pur suggerendo soluzioni semplici ed efficaci per superare il bicameralismo perfetto, evitare di collocare l’indirizzo politico fuori dal sistema parlamentare, ridurre i costi della politica e risolvere i pasticci combinati con le modifiche costituzionali degli anni ’90 e 2000, non ha ricevuto alcuna risposta.
Adesso però le risposte le hanno volute dare Zagrebelsky e Pallante. A fronte di “Diranno: le riforme servono alla governabilità”: “Noi pensiamo che occorra governo non governabilità e che governo, in democrazia, presupponga idee e progetti politici capaci di suscitare consenso, partecipazione, sostegno. In assenza la democrazia degenera in linguaggio demagogico, rassicurazioni vuote, altra faccia della rassegnazione e dell’abulia” (pp.5). E poi: “S’inorgogliranno chiamandosi governo costituente”: “I governi, poiché sono espressioni non di tutta la politica, ma solo di una parte, devono stare sotto la Costituzione e non sopra […] come se avere i numeri, comunque racimolati, equivalga a fare quel che si vuole. Ridurre la democrazia a una questione di numeri è l’espressione della santa ignoranza di chi s’è accaparrato la gestione di queste cose” (pp.7). Come viene ripetuto in altra sede, è proprio l’idea di Costituzione, strumento che, secondo la lezione di Montesquieu, funge da limite al potere, a risultare carente nei cosiddetti riformatori: “il governo che assume l’iniziativa di promuovere un ddl di revisione costituzionale si pone, dunque, al di fuori della logica del costituzionalismo” (pp.59).
Ancora: “Diranno: non c’è da fare tante storie perché in fondo si tratta di una riforma essenzialmente tecnica, rivolta a razionalizzare i percorsi decisionali e a renderli più efficienti. Noi diciamo […] E’ la razionalizzazione di una trasformazione essenzialmente anticostituzionale che rovescia la piramide democratica. Le decisioni politiche da tempo si elaborano dall’alto, in sedi riservate e poco trasparenti, e vengono imposte per linee discendenti sui cittadini e sul Parlamento, considerato un intralcio e perciò umiliato in tutte le occasioni che contano” (pp.9). In altri termini i “gufi” del No ci dicono che: “Non vogliamo la costituzionalizzazione degli abusi, per correre più in fretta. Non vogliamo una riforma che ci appare come l’armatura di un governo oligarchico, meno interessato alle sue responsabilità nei confronti dei cittadini e più legato agli interessi che lo hanno promosso e lo sostengono da dietro le quinte” (pp.15).
Anche sul presunto riformismo in opposizione al conservatorismo – ricordiamo che Renzi, per infamare i suoi critici, ha pure tirato fuori il codice di Hammurabi – i due autori hanno detto la loro: “Chi è dunque più conservatore? Chi, per mantenere o migliorare le proprie posizioni nel mercato elettorale, è disposto a usare tutte le risorse disponibili per ottenere il consenso immediato degli elettori, o chi, invece, si preoccupa, più che non delle sue proprie fortune elettorali, dell’avvenire e di chi verrà dopo di lui?” (pp.29).
Questi i discorsi più generali sui principi, sui valori, ma poi, nel dettaglio ecco venire fuori le castronerie che, chiaramente, sono legate ad una classe politica intenzionata ad arraffare il potere quanto prima, a costo di incappare in errori logici e giuridici madornali. Ad esempio il nuovo Senato che, secondo Zagrebelsky, svela un’evidente prospettiva “amministrativistica”, con tutte le incongruenze che ne derivano. Oppure l’analisi del micidiale art. 70 della nuova Costituzione, che da un bicameralismo perfetto, giustamente criticato, ci porterà ad un bicameralismo confuso: forse – ma non è detto – a una decina di procedimenti di approvazione legislativa. Addirittura pasticci per omissione: tra le tante norme sconcertanti, un art. 123 C. che rimane identico e con il riferimento al commissario del governo, organo da anni inesistente, che già il – pessimo – riformatore del 2001 si era dimenticato di depennare dall’articolo in questione (con tutti i problemi che questa dimenticanza ha generato). Il testo di Zagrebelsky e Pallante mette inoltre in evidenza tutte le forzature procedurali che hanno caratterizzato l’approvazione del disegno di legge costituzionale e della legge elettorale “Italicum”: una fretta che fa pensare ad intenti non proprio limpidissimi.
Le conclusioni, per un lettore che non sia digiuno di diritto e che non voglia ragionare come partigiano di partito, sono piuttosto evidenti: nonostante quello che andavano dicendo fino a poco tempo fa alcuni attuali sostenitori del pastrocchio renziano, la nostra Costituzione non è la più bella del mondo, ha dei limiti e dei difetti da emendare, ma di sicuro, con la prossima riforma, diventerà la più brutta del mondo. Per coloro che si esaltano al pensiero di cambiare per cambiare, “purchessia”, un risultato netto, incontestabile.
Edizione esaminata e brevi note
Gustavo Zagrebelsky, (San Germano Chisone, 1943) è un giurista italiano, giudice costituzionale dal 1995 al 2004 e presidente della Corte costituzionale nel 2004. E’ professore emerito dell’Università di Torino. Tra le sue numerose pubblicazioni: “Il diritto mite. Legge, diritti, giustizia”; “Imparare la democrazia”; I”ntorno alla legge. Il diritto come dimensione del vivere comune”; “Sulla lingua del tempo presente”; “Fondata sulla cultura. Arte, scienza e Costituzione”; “Liberi servi. Il Grande Inquisitore e l’enigma del potere”.
Francesco Pallante, (Torino, 1972) professore associato di diritto costituzionale presso l’Università di Torino. Ha pubblicato la monografia “Il neoistituzionalismo nel pensiero giuridico contemporaneo” (Jovene 2008) e articoli riguardanti, in particolare, i temi del diritto regionale e del diritto non scritto. Con Paolo Di Motoli ha scritto il libro “Morire per Gerusalemme. Storia delle guerre per la Città Santa dagli inizi del novecento ad oggi” (Datanews 2004).
Gustavo Zagrebelsky, Francesco Pallante, “Loro diranno, noi diciamo. Vademecum sulle riforme istituzionali”, Laterza (collana Saggi tascabili Laterza), Bari 2016, pp. 145.
Luca Menichetti. Lankenauta, agosto 2016
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