Troisio Luciano

La ladra di pannocchie

Pubblicato il: 23 Ottobre 2006

Vario, poliedrico e ben curato stilisticamente, il romanzo di Troisio “La ladra di pannocchie” si articola in tre parti diverse per ambientazione e tematiche: la prima, intitolata “Ladra di frutta” si svolge a Conche, paese situato “alla confluenza delle province di Venezia, Padova e Rovigo” e introduce il personaggio–cardine di tutta la narrazione, Nerina.

Nella seconda parte “Il Karma di Dora” la scena si sposta in India, dove Nerina si reca alla ricerca della figlia Dora.

Con la terza parte si ritorna in Italia, ci si occupa di un argomento di grande attualità come quello degli OGM e si ha un finale inaspettato.

Pur costituito da sezioni così differenti, il romanzo non risulta affatto frammentario, ma perfettamente coordinato nelle sue parti, ben articolato, elegante, non privo di colti riferimenti e, talvolta, assai evocativo. Protagonista indiscussa è Nerina, la “ladra di pannocchie”, presentata – come in un fotogramma – all’inizio del libro mentre, ancora bambina, ruba per fame, le pannocchie da un campo insieme alla madre.

Cinque anni dopo la ritroviamo ragazzina di campagna, bella, intelligente, fantasiosa, sognatrice, lettrice appassionata di libri presi a prestito dalla biblioteca scolastica, ma sempre povera.

Estremamente interessante è la descrizione dell’ambiente provinciale della piccola frazione di Conche spersa nella campagna veneta e della vita che vi si conduce: le magre risorse dei campi (all’inizio del libro c’è una vera antologia delle erbe e dei frutti della campagna che i contadini recuperano per sfamarsi, in anni in cui questi prodotti erano ben lontani dal diventare specialità presentate nei ristoranti tipici), la miseria, la mentalità popolare, il rapporto con la religione vissuta spesso come superstizione e magia.

La confessione era ancora considerata dagli abitanti un atto magico, un sollievo anche respiratorio, una straordinaria terapia delle colpe e dei lutti, fornita gratis dalla Chiesa”.

Accanto a questa dimensione realistica, è presente però anche una componente assai evocativa rappresentata dal fascinoso luogo segreto delle iniziazioni sessuali delle ragazzine di paese.

Dopo aver attraversato un’infida palude, si giunge ad un lago, ai ruderi di un castello, a un “giardino deserto, dove fiori continuavano da soli a fiorire, l’erba non veniva falciata da nessuno, ma era uniforme, bassa e folta come il prato delle contesse. Un incantesimo delle streghe falciatrici”.

Tra magia, mistero ed echi pagani, anche la bella Nerina avrà una sua primissima esperienza con l’altro sesso in uno scenario naturale selvaggio e affascinante.

Appena terminate le scuole medie Nerina, a causa delle difficoltà economiche della sua famiglia, viene messa a servizio presso una benestante famiglia, proprietaria di un biscottificio, ma la sua intelligenza brillantissima e la sua prorompente bellezza la porteranno verso ben altri orizzonti.

Sposerà il figlio del padrone, potrà laurearsi, far carriera….. la vita le riserverà successo, ma anche grandi dolori.

Nerina diventerà una borghese, ma “Mai dimenticava di essere una serva dalle gambe secche”. Soprattutto l’accompagnerà sempre un’infelicità di fondo, un malessere sottile, un’inquietudine perenne per cui lei ritiene di ottenere facilmente tutto ciò che non le interessa affatto.

Nerina è fantasiosa e per tutta la vita porterà con sé un’immagine fiabesca particolare il cui vero significato si chiarirà solo alla fine e amerà ascoltare fiabe dalla voce del suo secondo compagno, Antonio, abbandonandosi subito dopo ad un sonno profondo. Una complicità intensa, acuita da questo loro codice di comunicazione, segnerà il loro rapporto.

La prima parte della vita di Nerina verrà sconvolta dall’improvvisa morte di marito e suocero (e i paragrafi del libro dedicati a questo fatto presentano un inquietante proemio, quasi classico, con Arpie e demoni dell’inferno. Ananke, la Necessità, evocata altrove nel testo, sembra far sentire la sua voce anche così), dopodiché la scena si sposta bruscamente in India per la seconda parte, dedicata alla ricerca di Dora, l’irrequieta e fragile figlia di Nerina, che finirà vittima della droga. Dora è una ragazza cresciuta nel benessere del Nord-Est, ma rimasta priva di certezze, confusa, senza un’identità.

L’India descritta nel romanzo è venata di esotismo, è un rifugio di freak, giovani inquieti o emarginati, europei alla ricerca di paradisi orientali e di misticismo.

Le sette imperversano e risultano in verità controllate da sfruttatori e trafficanti che plagiano le menti degli adepti e mirano essenzialmente all’accumulo e all’esportazione di capitali. I richiami letterari – ad esempio a Gozzano e al suo viaggio in India – fioccano anche in questa sezione.

In tale scenario viene introdotto il bel personaggio di Antonio, giornalista e scrittore di viaggi, che diverrà il secondo, fedele, adorante compagno della bella Nerina, sempre più colta e affermata e sempre più irrequieta e infelice dentro di sé.

Tra giochi di sguardi, gestualità, discussioni di alto livello culturale, Antonio rimarrà stregato da Nerina.

Tutto suggeriva Nerina fuorché l’idea di fragilità. Piuttosto si trattava di una gentile lottatrice, stanca per continua sfida ma ben lontana dal cedere, come potrebbe essere un’invincibile mangusta sempre circondata da cobra, destinata a continui combattimenti estenuanti ma vittoriosi. Ecco cosa gli suggeriva Nerina: la capacità di vincere ogni prova, ma anche l’obbligo di dover profondervi eccessiva energia.”

Antonio è un uomo concreto, sensibile, pieno di buon senso, attento alla realtà.

Il paesaggio tropicale gli suggerisce sensazioni forti:

Al solito il vespero si annunciava struggente e magnifico. Antonio sentiva sensazioni intense, dolorose, spaesanti, connotate da angoscia che gli suggeriva commozione e pianto.

C’era la componente ansiogena, che ricorda ai naviganti lo dì che han detto a loro amiche addio, […] la sensazione si traduceva in dolori sordi dalla parte sinistra dell’addome, collegati a sentimenti elevati e poetici, purtroppo ineffabili, ma era già una fortuna fottuta soltanto avere l’occasione di viverli, e poi non raccontarli mai, tenerli nel recesso segreto;”

Antonio ha discernimento nel giudicare la realtà e nel districarsi nel labirinto di personaggi stravaganti che pullulano negli ambienti indiani in cui ricerca Dora.

Antonio sa coccolare e calmare Nerina, amandola teneramente e circondandola d’attenzione e di ammirazione estatica, basti vedere i ben ventitre aggettivi di seguito con i quali ripensa al corpo della sua Musa.

La sua presenza sarà fondamentale per Nerina al momento della tragica morte di Dora, salvata miracolosamente dall’esperienza indiana, ma precipitata di nuovo nel gorgo della droga in patria.

La drammatica storia familiare così si chiude, mentre viene introdotto il terzo argomento importante del romanzo: gli OGM e gli enormi interessi economici che si celano dietro questo tipo di ricerche.

La ex-ladra di pannocchie Nerina si è specializzata sul «dio del mais», è diventata una studiosa di fama mondiale, ha compiuto ricerche e fatto una scoperta rivoluzionaria, sta diventando anche un personaggio scomodo, perché, con i nuovi tipi di colture, si potrebbero sfamare i paesi poveri e cambiare un’economia di sfruttamento, che arricchisce sempre più chi già possiede ed affama popoli duramente provati.

Le vicende tornano a svolgersi in Italia tra industriali, politici, studiosi. Non mancano riferimenti al Nord-Est, tanto ricco quanto ignorante e povero di valori. Ecco come viene descritta da Antonio la famiglia Maironi, quella del primo marito di Nerina:

 “Buona gente di gran cuore, ma tutto sommato fornai di modestissima cultura, che potevano pretendere un certo rispetto in paeselli della retrograda provincia veneta ai confini della laguna, dove si autoconsideravano appartenenti a una casta superiore, e per censo lo erano; ma in sostanza – e ribadendo: a parte la grande bontà di cuore- dei grulli indegni di avere un apporto esogamico come quello rappresentato dalla cultissima, geniale Nerina, aristocratica per diritto naturale.”

Con un brusco cambio di scena, in uno sfondo iniziale quasi da incubo e con l’apparizione di una sorta di angelo della morte sotto forma di carceriere “apparve un essere biblico angelico coi capelli biondi, alto, atletico, vestito di cuoio nero, con un volto magro, sofferente, enigmatico, di portamento fortemente aristocratico, che la guardò subito centralmente, indecifrabile, un ragazzo ventenne dagli occhi di acciaio, di una bellezza senza pari.”, il romanzo volge verso un epilogo tragico.

E il leit-motiv fiabesco di Nerina finalmente trova il suo compimento.

 La vicenda di Nerina – da povera ragazza di campagna a borghese e poi deputata al Parlamento Europeo candidata al Nobel per la pace –può essere per certi versi emblematica dell’evoluzione di un’intera regione, il Veneto, passato da terra povera d’emigranti e contadini a ricco Nord-Est imprenditoriale, rampante, disseminato di capannoni, fabbriche e belle ville. Benessere diffuso, ma spesso mentalità ancora chiusa, razzismo strisciante, ignoranza, culto del denaro e del possesso.

Nerina invece rappresenta un’evoluzione positiva, quella verso cui dovrebbe tendere la sua stessa regione, lei non dimentica le sue origini povere e riesce a mettere il sapere acquisito a disposizione di tutti per un miglioramento globale della vita dell’uomo nel mondo.

Recensione apparsa su lankelot.eu nell’ottobre 2006

 

Edizione esaminata e brevi note

Luciano Troisio (Monfalcone, 1948), giornalista, critico letterario, poeta e narratore italiano. Ricercatore nel Dipartimento di Italianistica dell’Università di Padova, insegna Letteratura Italiana Contemporanea. È stato docente nelle Università di Pechino, Shangai, Bratislava e Lubiana.

Luciano Troisio, “La ladra di pannocchie”, Manni, Lecce, 2004.

Il libro è strutturato in tre parti, titolate “Ladra di frutta”, “Il karma di Dora” e “OGM: il Dio del mais”, suddivise rispettivamente in 7+3+3 capitoli, a loro volta ripartiti in brevi capitoletti.