Gaarder Jostein

L’enigma del solitario

Pubblicato il: 12 Ottobre 2006

Padre e figlio dodicenne partono in auto da un piccolo paese della Norvegia, Arendal, per recarsi in Grecia alla ricerca della madre del ragazzo, da otto anni lontana da casa per cercare se stessa, approdata infine nell’effimero mondo della moda.

Al confine con la Svizzera, mentre sono fermi a un distributore, uno strano nano regala al ragazzo una lente d’ingrandimento. In seguito, durante una tappa a Dorf, piccolo paesino delle Alpi svizzere, un vecchio panettiere, che ha in negozio una boccia sbeccata con un pesce rosso dai riflessi cangianti, regala al giovane Hans Thomas un minilibro nascosto in un panino al latte.

Con l’aiuto della lente e in gran segreto Hans Thomas dovrà leggere la storia raccontata nel libricino…che a sua volta racconta di un altro panettiere di Dorf, che aveva sentito la storia del solitario di Frode dal precedente panettiere….

Il vecchio tedesco Ludwig, questo il nome di colui che dà il libro ad Hans Thomas, ha scritto il libretto che contiene la sua storia, ma anche quella che gli ha raccontato il panettiere Albert Klages che lo accoglie dopo la guerra e che a sua volta gli racconta di come fu ricevuto da Hans, altro fornaio, e di come questi abbia fatto naufragio, molti anni prima, su una strana isola dove vive Frode, antico naufrago della potente fantasia.

Si svelerà così la straordinaria e fantastica vicenda di cinquantadue nani vestiti da carte da gioco e di un jolly che riappare qua e là.

I destini dei diversi personaggi – accomunati da traumi familiari e abbandoni laceranti – s’incroceranno e troveranno poi il loro compimento, che li aiuterà a superare il dolore e a recuperare serenità.

Il romanzo di Gaarder è una sorta di solitario con le carte animate dove le vicende s’intrecciano l’una nell’altra in un sistema ad incastro che comprenderemo solo alla fine, quando tutti i dettagli – apparentemente insignificanti – troveranno una collocazione.

Il libro è articolato come un mazzo di carte: vi sono cinque parti (picche, fiori, quadri, cuori) divise in tredici capitoli, in mezzo vi è la sezione dedicata al jolly. A ogni capitoletto corrisponde una carta da gioco, ma è il grande mistero dell’universo e dell’uomo quello su cui Gaarder s’interroga con fantasia.

Libro complesso e sorprendente fino alla fine, pieno di amore per la vita e di meraviglia per i misteri del cosmo, ricco di domande e di gusto per la ricerca, “L’enigma del solitario” può venir letto come una grande metafora dell’esistenza e delle sue sorprese.

La nostra vita è come il più fantastico dei racconti d’avventura, pensavo. Eppure la stragrande maggioranza delle persone considera il mondo del tutto «normale» e, per trovare una compensazione alla sua banalità, è costantemente in caccia di qualcosa che esca dalla norma, come per esempio gli angeli o i marziani. Questo avviene perché la gente non s’interroga mai sull’enigma che riguarda il pianeta in cui vive. Io la vedevo in modo completamente diverso. L’universo era per me come un magico sogno. Ed ero appunto alla ricerca di una spiegazione razionale che mi chiarisse il modo in cui tutto si concatenava” (p. 147).

Contemporaneamente il romanzo è un grande elogio alla fantasia e all’immaginazione: le carte da gioco di un naufrago, Frode, finiscono per animarsi e per percorrere “l’imperscrutabile strada che unisce lo spazio creativo all’interno della mente con lo spazio reale del mondo esterno” (p. 172). La realtà e la fantasia si toccano, si compenetrano, s’influenzano a vicenda, Frode narra la sua storia a un altro naufrago, questi diviene panettiere a Dorf e poi la tramanda al suo successore….e così la vicenda giunge sino ad Hans Thomas e i fili del destino s’intrecciano dando compimento a una storia.

Tra le tante carte spicca il Jolly: lui è il diverso, perché consapevole della sua natura immortale, si sposta continuamente senza requie, perché altrimenti qualcuno potrebbe accorgersi che non invecchia mai. A lui spetta il compito di riordinare le altre carte e le loro storie, “vive il mondo come un’avventura e un enigma in perenne rinnovamento” (p. 185).

L’esistenza è un gioco enigmatico nel quale si rischia di perdersi, ma c’è e ci sarà sempre un Jolly che riflette e osserva e che prende consapevolezza di sé.

Sono fuori luogo ovunque. Non sono né Re né Fante; non sono un Otto e neppure un Asso. Sono come mi vedete, cioè soltanto un Jolly, e ho dovuto scoprire da solo chi è un Jolly. Ogni volta che muovo la testa, il tintinnio dei sonagli mi ricorda che non ho famiglia. Non ho un valore e neppure un mestiere. […] E così, sono andato in giro osservando le vostre attività. Ma, per questa stessa ragione, ho potuto vedere alcune cose nei confronti delle quali voi eravate ciechi” (p. 267).

Il Jolly è un incrocio tra il filosofo, il giullare e l’artista, uno stravagante e argentino personaggio, strambo, ma necessario.

Il romanzo non è però soltanto una storia fantastica letta da un ragazzino su un libro minuscolo, è anche la storia di un viaggio – e di molti viaggi – e di un rapporto – e di molti rapporti. Padre e figlio partono alla ricerca della madre: è un itinerario sia culturale – visitano luoghi fondamentali (Venezia, Delfi, Atene) – sia di scoperta e formazione per entrambi.

Il pater, come lo definisce Hans Thomas, ama filosofeggiare, ma ha un debole per l’alcool, è il figlio illegittimo di una ragazza norvegese e di un soldato tedesco d’occupazione, è il “bastardo del tedesco” e non ha mai conosciuto il padre. È uno strano uomo, marinaio colto, pieno di domande che trasmette al figlio, il quale a sua volta scoprirà e svilupperà le proprie capacità di filosofeggiare. Il viaggio costituisce un modo nuovo d’incontrarsi e di conoscersi con l’obiettivo finale di ricostituire la famiglia divisa.

Padre e figlio si scopriranno due jolly: fantasiosi, diversi dagli altri, osservatori.

Con esito sorprendente, il finale del libro ci condurrà ad intrecciare insieme i destini di diverse generazioni, segnate da alcuni fatti comuni (la dipendenza dall’alcool è un leit-motiv, come pure la mancanza della madre e l’accoglienza da parte del panettiere a Dorf). Contemporaneamente vi è, di fronte all’universo e al cosmo – tema ricorrente in Gaarder – un interrogarsi e uno stupirsi continuo, senza però dare mai risposte definitive e totalizzanti.

“…pensai quanto fosse triste che, per noi uomini, una cosa così indescrivibile come il mistero della vita potesse diventare un’abitudine. Un giorno, all’improvviso, davamo per scontato il fatto di esistere. E poi… non ci pensavamo più fino al momento in cui ci toccava lasciare questo mondo” (pp. 321-22).

Da bambini si ha la capacità di cogliere il mondo circostante, in quella sorta di “ubriacatura di percezioni sensorie” che è l’infanzia e prima che le tracce di quel periodo svaniscano, Hans Thomas scrive la sua storia e parla del libretto che il Jolly s’è ripreso e annoda fili di esistenze lontane nel tempo, storie di naufraghi e di pesci colorati e di un’isola misteriosa e di un grande gioco che rimane sempre enigmatico.

Recensione apparsa su lankelot.eu nell’ottobre 2006

Edizione esaminata e brevi note

Jostein Gaarder (Oslo, 1952), ex insegnante di filosofia, romanziere e favolista norvegese. 

Jostein Gaarder, “L’enigma del solitario”, Tea, Milano 1998. Traduzione di Danielle Braun Savio.

 

Per approfondire: Sito ufficiale dell’artista / Jostein Gaarder: a cura di Bill Winter / The Sophie Foundation