Gaarder Jostein

La ragazza delle arance

Pubblicato il: 12 Ottobre 2006

Un romanzo delicato e gentile, a tratti struggente, fantasioso e incantato, pieno di una poesia che nasce anche dal dolore, dalla nostalgia e dalla lontananza inesorabile. Un romanzo che sfiora il grande segreto dell’esistenza, pone interrogativi sulla vita e sulla morte e non vende certezze, ma soltanto esili speranze. Un romanzo fatto di meraviglia e amore per la vita e di dolore per la sua brevità, regole già prestabilite decretano l’andamento della favola strana dell’esistenza e non è in nostro potere cambiarle, possiamo solo scegliere se accettarle o rifiutarle.

Georg Røed è un ragazzino norvegese di quindici anni, è orfano di padre da quando aveva quattro anni e vive con la mamma, il suo patrigno e la sorellina Miriam. Conduce un’esistenza tranquilla, in una famiglia che lo ama, va a scuola, ha i suoi interessi.

Un giorno, in un vecchio passeggino rosso rimasto per anni nella rimessa, trova una lunga lettera che il padre, medico, morto di malattia in pochi mesi, gli aveva lasciato. La lettera racconta la storia della ragazza delle arance….

Un giorno, in un tram a Oslo, il padre Jan Olav, diciannovenne, incontra una bella ragazza con un grosso sacchetto di carta pieno di arance. A un certo punto, temendo che le stiano per cadere, Jan si slancia verso di lei, facendo rotolare tutti i frutti sul pavimento.

La ragazza gli dà del cretino e se ne va…ma è solo l’inizio di una romantica storia d’amore. I due si cercheranno, lui la rivedrà in un bar e poi la notte di Natale in chiesa ed ancora a Siviglia…la ragazza esigerà e imporrà una fase di lontananza, che prelude al ricongiungimento e al ritrovamento.

La storia avrà le sue regole, che potranno poi essere modificate o infrante addirittura.

I due si cercheranno, si ritroveranno e vivranno una sorta di favola incantata, piena di magia e di bellezza, ma con un’ombra incombente e un finale inesorabile. Sui dettagli della trama non è corretto inoltrarsi per rispetto al lettore.

Jan e Veronika, questi i nomi dei due giovani, vivranno un incanto, tutto raccontato attraverso il filtro fantastico del ragazzo che, fantasioso e sognatore, saprà trasfigurare la loro storia e portarla a una dimensione quasi mitica. Veronika è graziosissima, sembra uno scoiattolo “per la sua dolcezza”, ha un sorriso “pieno di calore”.

“…e quel sorriso, Georg, avrebbe potuto sciogliere il mondo intero, perché se il mondo l’avesse visto avrebbe avuto la forza di fermare tutte le guerre e tutte le inimicizie del pianeta, o almeno di interrompere per lungo tempo l’uso delle armi” (p. 44).

Veronika sembra addirittura venire da un altro pianeta, da una dimensione diversa, come Cenerentola deve rientrare dopo il loro incontro la notte di Natale, forse il suo fermaglio per capelli “è stato forgiato da uno dei sette nani che a turno salvarono la vita a Biancaneve” (p. 66).

Tutta la meraviglia e lo stupore della scoperta dell’alterità si rivelano nel lungo racconto della storia con la ragazza delle arance.

Vi è il dischiudersi reciproco, l’incanto per la bellezza, la gioia della condivisione e il graduale passaggio verso il «noi» dei due ragazzi.

Dalla gioia estatica dell’iniziale incontro alla fondazione della famiglia, della casa quale luogo dell’essere insieme, luogo nel quale ancora ci si scopre reciprocamente nell’edificazione di un quotidiano che non risulti banale o

scontato o noioso.

Il padre, quale eredità al figlio, lascia un racconto di formazione e attraverso questo racconto lo stesso Georg maturerà, si sentirà più grande dopo la lettura della lettera. Non solo, lui stesso sentirà di stare scrivendo un romanzo assieme al padre: un racconto a quattro mani, realizzato attraverso un rapporto empatico che supera il confine della morte.

Due formazioni e l’eredità struggente che un padre consapevole di stare per morire cerca di lasciare a un bimbo ancora piccolo, ma che un giorno capirà.

Jan è un uomo straordinariamente fantasioso, egli stesso confessa di aver avuto due alternative per il suo futuro: “O sarei diventato un poeta, cioè una persona che celebra con le proprie parole questo mondo incantato nel quale viviamo, ma di sicuro te ne ho già parlato. Oppure sarei diventato medico, cioè una persona al servizio della vita” (p. 150).

Ha conservato stupore e meraviglia per l’universo: “Non ho mai lasciato che né Newton né Darwin avessero la meglio sul mistero della vita” (p. 150).

Sa guardare all’essere umano tutt’intero, collocato nell’universo e protagonista di una “favola scintillante” e sa guidare anche Georg, seppure a distanza, verso questo mondo, lasciandolo poi libero di scegliere e di essere.

La favola dell’uomo ha però regole ferree: esige il congedo ed esige che si sopporti la nostalgia, ma nulla come la fantasia e l’immaginazione riescono a render tollerabile anche il dolore e il mistero e il distacco. Con sublime levità il romanzo riesce ad addentrarsi nel grande ignoto dell’universo rispettandolo e lasciando una spazio aperto al “sogno improbabile” chiamato speranza.

Una favola a tratti deliziosa, a tratti molto triste, di sovrana delicatezza e stupore, che insegna ad apprezzare quel che si ha e che si vive come una scoperta continua e un dono prezioso.

Recensione apparsa su lankelot.eu nell’ottobre 2006

Edizione esaminata e brevi note

Jostein Gaarder (Oslo, 1952), ex insegnante di filosofia, romanziere e favolista norvegese. 

Jostein Gaarder, “La ragazza delle arance”, Longanesi, Milano, 2004.

Traduzione di Lucia Barni.

Prima edizione: “Appelsinpiken”, Oslo, 2003.