IL CHIRURGO SCARNIFICATO
Una giornata di pioggia. Asfalto bagnato e scivoloso, il consueto traffico cittadino: all’improvviso un incidente, uno schianto e un volo.
Una quindicenne in motorino, a casco slacciato, viene travolta e picchia violentemente la testa sull’asfalto. Cade in coma. Bisogna operarla d’urgenza.
Sembra una delle solite notizie di cronaca urbana, ma Angela –questo il nome della ragazza – è la figlia di un affermato chirurgo, che si trova così ad aspettare fuori della camera operatoria che un collega salvi la vita della sua unica figlia.
E mentre attende con angoscia rievoca, rivolgendosi alla figlia che non può sentirlo, un suo passato segreto, rimasto sepolto per 15 anni….
Inizia così questo romanzo, vncitore del premio Strega 2002, un’opera interessante, anche se quasi indiscreta nel mettere a nudo il protagonista, tanto che a volte si ha l’impressione di spiare attraverso il foro di una serratura di una stanza chiusa, nella quale sono nascosti i pensieri più riposti di Timoteo (questo il nome del protagonista).
Timoteo racconta alla figlia della sua vita di quindici anni prima: era un brillante quarantenne in carriera, benessere assicurato, sposato con Elsa, una giornalista di successo, una moglie brillante, ma che tende a sovrastarlo. Insieme frequentano ambienti borghesi e colleghi simili a loro, “eravamo cravatte nel mondo, onorari, commercialisti, e discorsi che virano”.
All’apparenza ha tutto, eppure una sottile inquietudine lo attraversa: la perdita degli ideali giovanili, l’aver assunto d’improvviso l’aspetto di chi un tempo si criticava, “avevo smesso d’indignarmi” dice di sé Timoteo e rievoca la perdita improvvisa del padre, il desiderio di una vita diversa, come se quella esistente non bastasse più e corresse comunque lungo un binario ormai stabilito e insufficiente.
Alcune scelte principali sono state fatte, eppure a Timoteo non bastano, desidera una speranza nuova, anche se non ha le idee chiare.
All’improvviso, un incontro casuale risveglia una parte di sé stesso che non conosceva, una componente bestiale, che va a sfogarsi su una creatura già molto sfortunata e debole, una donna che lui tratterà malissimo e che imparerà ad apprezzare troppo tardi.
In seguito la vita farà accadere in fretta gli eventi e cambierà le carte in tavola, nascerà Angela – figlia concepita dai genitori in età avanzata per motivi di carriera e fondamentalmente di egoismo – e Timoteo proseguirà comportandosi da padre spesso assente, ma a suo modo devoto.
Il contrasto che colpisce di più nel personaggio è quello tra essere e apparire: Timoteo appare come un bravo chirurgo, affermato, benestante, amato dai colleghi, rispettabile, di fatto è un uomo che non ha saputo controllare uno dei suoi istinti più bestiali e primordiali, che si è reso conto troppo tardi di quello che desiderava realmente e ha lasciato sola una donna di fronte a una decisione fondamentale.
L’autrice indaga implacabilmente i pensieri del protagonista, li riporta fin nei minimi particolari, scarnificandolo letteralmente davanti a noi e lasciandolo inerme di fronte alle sue azioni.
Stilisticamente vi sono frequenti flash-back: l’azione si sposta dal presente della sala d’attesa al passato di Timoteo e poi alla sala operatoria, dove Timoteo immagina lo svolgersi delle varie fasi dell’operazione con competenza professionale e con l’angoscia di sapere che sotto i ferri c’è sua figlia e non una paziente qualsiasi.
Eppure nulla può essergli risparmiato, la sua consapevolezza del rischio di Angela è completa, dal momento che è medico.
I pensieri più segreti, quelli che Timoteo fa tra sé e sé, vengono addirittura evidenziati con caratteri tipografici diversi.
In questo continuo movimento dei piani narrativi, il libro scorre veloce, tutto giocato attorno a pochi personaggi ben delineati.
Degna di nota è la descrizione della nascita di Angela, con la realistica concitazione che pervade la sala parto, eppure questo evento viene lasciato tutto al femminile, con un’intesa madre-figlia che durerà a vita e dalla quale Timoteo si tiene in disparte.
Lui non ha niente da dire a sua figlia che viene al mondo: “Sono un uomo triste e continuerò a esserlo, un uomo che guarda con sospetto il suo occhio nel vetro, un uomo che stenta ad amarsi, che sopravvive malgrado il disamore verso sé stesso. E cosa potrò darti, figlia mia? […] Cosa potrò insegnarti, io che non credo nella gioia….”
Sembra che non vi siano più speranza e più riscatto per questo personaggio.
Forse solo alla fine, dopo aver raccontato ad Angela tutta la sua storia ed essersi presentato nella sua verità, Timoteo dà un qualche senso alla vicenda e si alza in piedi “e non mi ero mai alzato nella vita”.
E quell’esortazione “Non ti muovere” che ha costituito il leit-motiv del romanzo torna, rivolta ad Italia (la donna amata fuori del matrimonio), e rivolta ad Angela, che invece si muoverà per tornare nel mondo.
Articolo apparso su lankelot.eu nel settembre 2006
Edizione esaminata e brevi note
Margaret Mazzantini (Dublino 1961). Trasferitasi in Italia, si è diplomata all’Accademia nazionale d’arte drammatica nel 1982. Attrice per il teatro e il cinema ha esordito in letteratura con Il catino di zinco (1994). Per il teatro ha scritto Manola (1998) e il monologo Zorro (2000). Con Non ti muovere ha vinto il premio Strega 2002.
E’ sposata con l’attore Sergio Castellitto.
Margaret Mazzantini, Non ti muovere, Mondadori, Milano 2002. Il testo è diviso in capitoli non numerati.
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