Camping vicino a Luz, Portogallo, 2 Settembre 2015
Durante la notte siamo preda delle zanzare. Io in qualche modo riesco a non badarci troppo, ma ogni volta che sto per addormentarmi vengo svegliato dai tentativi di Giorgia di spiaccicarle sulle pareti della tenda. Il risultato è che la mattina dopo siamo piuttosto assonnati.
Facciamo colazione e scopriamo con piacere di dover pagare solo tredici euro per il campeggio, molto meno rispetto a quelli in Spagna o in Francia. Ripartiamo ed entriamo così nella regione dell’Alentejo, la più grande del Portogallo, conosciuta soprattutto per la produzione del sughero e la presenza di resti archeologici risalenti al Paleolitico, ed è proprio uno di questi che vorremmo visitare oggi: si chiama Cromeleque dos Almendres ed è un complesso megalitico. Secondo la guida è uno dei più belli della Penisola Iberica e di sicuro uno dei posti più affascinanti della regione. Si trova in una posizione piuttosto isolata in mezzo alla campagna e l’unico modo per arrivarci sono delle strade sterrate. Con l’aiuto del navigatore e delle indicazioni nella guida imbocchiamo una statale a due corsie, entrambe piuttosto strette, che attraversa la brulla campagna portoghese e ci fa allontanare dalla costa.
Troviamo un cartello che indica di lasciare la strada principale per una poco promettente strada bianca che sparisce tra le anse delle colline. Andiamo in esplorazione a piedi per controllare e ci sembra fattibile, piano piano e con cautela la percorriamo ma non troviamo altre indicazioni e il navigatore non riesce più a localizzarci. I dubbi crescono man mano che andiamo avanti e incontriamo pure un paio di bivi senza nessun tipo d’indicazione. In giro non c’è nessuno e mi viene pure il timore di essere su una strada proibita al traffico.
Dei megaliti nemmeno l’ombra, ma fortunatamente il navigatore si riprende e ci mostra la nostra posizione. Siamo nervosi, accaldati e pieni di polvere, mandiamo a quel paese i megaliti e prendiamo una strada che secondo il navigatore porta di nuovo verso la statale. Le condizioni sono al limite del praticabile e anche con l’aria condizionata al massimo sudo dal nervosismo. Sembrerebbe ormai fatta quando all’improvviso troviamo il classico gran finale: una ripida salita di cinquanta metri che ha sulla sinistra una profonda buca sormontata da una roccia sporgente. Non ho spazio per girare l’auto, non ci sono alternative: in qualche modo dobbiamo passare. Faccio scendere Giorgia e rifletto qualche minuto su come sia meglio affrontare l’ostacolo. Opto per una rincorsa che mi permetta di superare la buca e la roccia sperando poi che l’auto sia abbastanza alta da non toccare il terreno. Già mi prefiguro scene tragiche con l’auto ribaltata e noi costretti a chiamare qualche soccorso e spiegare come mai ci trovavamo là. Prendo velocità ed inizio la salita, tutto bene, le ruote anteriori entrano nella buca, tutto bene, cominciano a risalire, tutto bene, grazie allo slancio sorpassano la roccia, ma qui si fermano. Pigio il freno per evitare di tornare indietro. L’auto si ferma per un secondo ma poi comincia a comunque a slittare all’indietro. Lascio il freno e premo di nuovo l’acceleratore. Una leggera sgommata e poi le ruote fanno presa, l’auto comincia ad avanzare, la ruota anteriore passa la roccia e subito dopo si sente un rumore sordo di qualcosa che cozza contro l’auto, subito dopo anche le ruote posteriori passano l’ostacolo. Sembra fatta ma forse ho danneggiato qualcosa. Guardo il display del cruscotto col terrore di vedere accendersi qualche spia che segnala un guasto, ma non succede. Scendo aspettandomi il peggio e invece neanche un graffio, nemmeno sotto l’auto. Non mi sembra possibile e non riesco a capire se sia stato merito della mia abilità alla guida oppure solo un colpo di fortuna.
Un altro chilometro di strada sterrata e poi torniamo finalmente sulla statale e al tanto compianto asfalto. Con l’auto e il suo contenuto pieni di polvere e con i nervi ancora a fior di pelle puntiamo verso la vicina Évora, una delle città medievali meglio conservate del Portogallo. Troviamo parcheggio fuori dalle mura cittadine e proseguiamo a piedi. Le mura risalgono a diverse epoche storiche: una sezione venne costruita sui resti romani del I secolo, un’altra appartiene al XIV secolo, mentre una terza è del XVII secolo. Furono proprio i romani i primi a costruire qui una vera e propria città. Prima infatti era solo un piccolo insediamento celtico. Come molte altre città del Portogallo Évora passò sotto il dominio di diverse popolazioni, tra cui i mori, che furono poi cacciati nel 1165 grazie all’astuzia del cavaliere Giraldo Sem Pavor, ossia Giraldo Senza Paura, il quale secondo la leggenda riuscì a distrarre le sentinelle di guardia permettendo così ai suoi compagni di entrare indisturbati in città. Évora raggiunse il suo apice tra il XIV e il XVI secolo quando divenne sede arcivescovile e venne inaugurata un’università. A questo periodo ne seguì uno di declino che culminò con un saccheggio operato dai francesi nel 1808. Da allora la città è rimasta ai margini dei grandi sviluppi della modernità e a conti fatti ha addirittura meno abitanti oggi rispetto al Medioevo, questo tuttavia le ha permesso di mantenere intatto il suo bel centro storico.
Évora sorge su una piccola collina, i suoi edifici sono di calce e presentano quindi un bianco quasi accecante, scandito da semplici decorazioni giallo scuro. La pavimentazione è interamente di sanpietrini e i vicoli sono stretti, anche se permettono comunque il passaggio delle auto. La piazza principale si chiama Praça do Giraldo e ha una piacevole atmosfera rilassata e pigra tipicamente estiva. Pranziamo in un ristorante che dà su una strada secondaria e i cui tavoli sono per la maggior parte all’esterno. Assaggio una specialità locale a base di carne di maiale, patate e qualche vongola. Ero incuriosito dall’accostamento tra carne e pesce e per quanto il piatto sia ottimo, resto convinto che siano due cose che sono più buone separate.
Dopo pranzo camminiamo fino alla Sé, la cattedrale della città, venne costruita tra l’XI e il XII secolo e ha una struttura massiccia che la fa assomigliare più ad un castello. Poco distante visitiamo le rovine di un antico tempio romano risalenti al I secolo. La maggior parte delle colonne sono ancora in piedi e ben conservate. Durante il medioevo venne usato come piccola fortezza e protetto da mura, in seguito venne riadattato a mattatoio e solo alla fine del XIX secolo ne venne riconosciuto il vero valore storico. Dietro il tempio c’è un piccolo giardino pubblico dal quale si ha una bella visuale sulla campagna intorno alla città.
Torniamo verso l’auto ripercorrendo alcune delle pittoresche strade del centro storico. Tra i souvenir più venduti ci sono una serie di oggetti di sughero come borse, portafogli, tascapane, cappelli e quaderni. Sono molto belli ma piuttosto costosi. Troviamo pure una piccola lavagna con su scritto “Saudade esiste solo in portoghese”. Questo termine in effetti è caratteristico della lingua portoghese ed è uno degli aspetti più affascinanti della cultura di questo popolo. La si potrebbe definire una sorta di nostalgia, di desiderio verso qualcosa d’irraggiungibile e che quindi provoca malinconia. Può trattarsi di una persona, ma anche di un luogo ed è presumibile pensare che trovi le sue origini nella storia marinara del Portogallo. Già prima delle grandi scoperte geografiche infatti i portoghesi erano soliti migrare per trovare fortuna e spesso questo significava lasciarsi dietro la propria casa e la propria famiglia senza nessuna certezza di un ritorno o di un ricongiungimento. La saudade ha trovato ampio spazio nella cultura portoghese: nella letteratura, nel cinema, nell’arte e anche nella musica, in particolare nel fado, la musica nazionale portoghese, i cui testi esprimono spesso gli stessi concetti della saudade.
La tappa successiva è Alvito, quaranta chilometri a sud di Évora, nel mezzo della brulla campagna portoghese. Questo sonnacchioso villaggio fu un tempo residenza di baroni locali amanti dell’arte e i segni del loro passaggio sono effettivamente visibili. Le case del borgo assomigliano molto a quelle di Évora: costruite con calce bianchissima e decorate anch’esse con semplici contorni di colore giallo scuro o azzurro. Il centro del paese è il castello del XV secolo che oggi funge da albergo. Poco oltre troviamo una larga piazza con al centro una minuscola chiesa quadrata completamente bianca. Per strada non c’è anima viva e forse anche a causa del caldo, sia io che Giorgia siamo preda di un profondo attacco di sonno. Riprendiamo la superstrada che corre verso sud. Intorno a noi solo campi a vista d’occhio e dopo circa settanta chilometri prendiamo l’uscita per il villaggio di Entradas.
Si chiama così perché era il punto di entrata di un pascolo invernale molto importante. Oggi è un tranquillo borgo rurale la cui posizione ha evitato i problemi del turismo di massa. Si riconosce subito lo stesso stile di Évora e Alvito, case bianche, strade di ciottolato, atmosfera rilassata. La chiesa del paese svetta sul resto delle abitazioni grazie anche al fatto di trovarsi in posizione leggermente sopraelevata. Siamo i soli turisti in giro e alcuni degli abitanti ci guardano con curiosità, ma senza troppo stupore.
Non ci dispiacerebbe passare la notte in questo borgo isolato ma non abbiamo visto campeggi nei dintorni, ripartiamo quindi alla volta della costa. Il sole che tramonta di fronte a noi ci offre alcuni bellissimi scorci sulla campagna circostante. I campi si tingono di rosso e le ombre allungate creano bellissimi effetti di luce. Arriviamo a Vila Nova de Milfontes, famosa località balneare. Il campeggio è piuttosto affollato, ma hanno ancora qualche piazzola libera. Per cena una pasta abbondante e poi dritti in tenda.
La mattina seguente è piuttosto ventosa. Prima di riprendere il viaggio verso sud, su consiglio della guida, ci fermiamo nel minuscolo villaggio di Venda Fria dove compriamo una pagnotta di profumatissimo pane appena sfornato. Da fuori il panificio è uguale alle altre case, si distingue solo per un piccolo cartello sul muro con scritto “pão”. L’odore del pane invade anche l’auto e ci accompagna fino alla tappa successiva: Zambujeira do Mar.
Il paesaggio lentamente cambia e diventa sempre più mediterraneo e selvaggio, le coltivazioni diminuiscono lasciando spazio a grandi macchie di verde. Alla radio una delle poche band pop presenti nel mio I-Pod, gli One Repubblic: gruppo americano diventato molto famoso negli ultimi anni con canzoni come Counting Stars, If I Lose Myself e Love Runs Out. Non ho nemmeno ben presente cosa dicano i testi, ma le musiche sono accattivanti e tengono bene il tempo delle ruote e della strada.
Zambujeira do Mar è un villaggio della costa che si affaccia su una grande scogliera al fianco del quale c’è però una bella spiaggia. Lo spiazzo che introduce sulla scogliera accoglie al suo centro una piccola chiesa bianca con decorazioni azzurre. La vista sulla spiaggia è incantevole e grazie ad un sentiero è pure possibile camminare lungo la cresta della scogliera. Per il resto il paese si compone di piccole case di pescatori decorate con conchiglie, ristoranti di pesce e negozi di articoli per il mare e la pesca. Ci sediamo sulla scogliera e con l’aiuto di un vasetto di Nutella rendiamo onore al pane appena comprato. Inutile dire che ne viene fuori uno dei migliori panini alla Nutella della mia vita. Prima di ripartire facciamo la spesa in un minuscolo supermercato a gestione familiare. Giorgia si attarda a comprare un numero sorprendente di vasetti di marmellata fatta in casa da portare ad amici e parenti.
Lasciamo l’Alentejo ed entriamo nell’Algarve, la regione più meridionale del Portogallo. Una stretta striscia di terra che arriva fino al confine con la Spagna e che dal secondo dopoguerra è vissuta principalmente di turismo grazie alla bellezza della sua costa e delle sue spiagge. Il paesaggio si fa sempre più arido, con piante basse e arbusti secchi. Un vento impetuoso fa alzare nuvole di polvere e le poche case che vediamo mi danno un’impressione da “fine del mondo” che mi ricorda molto alcuni sparuti villaggi dell’entroterra tunisino, vicino ai confini con il deserto del Sahara.
Arriviamo alla città di Sagres, celebre grazie ad Henrique il Navigatore, che qui fece costruire una scuola di navigazione che contribuì non poco alle scoperte geografiche portoghesi. La scelta di Sagres per una scuola di questo tipo non è molto sorprendente visto che si trova nelle vicinanze di Cabo de São Vicente, l’estremità sud-occidentale del Portogallo e del continente europeo. Era questo l’ultimo lembo di terra che i coraggiosi marinai portoghesi vedevano mentre si allontanavano da casa. Un bel faro rosso ed un monastero abbandonato decorano il promontorio. Il vento soffia molto forte e la polvere che si solleva rende difficile tenere gli occhi aperti. Il rumore delle onde che s’infrangono sugli scogli arriva fino a qui e la visuale è incredibile. Ci sono molti turisti in giro ed è chiaro che siamo arrivati in una zona molto frequentata. Percorrendo la strada che ci riporta verso Sagres ci fermiamo a visitare la Fortaleza do Beliche, risalente al 1632 e costruita anch’essa a picco sul mare. Dalle sue mura si ha una bella visuale su un paio di baie nascoste dove l’acqua è più tranquilla e parecchio invitante.
Per il pomeriggio vorremmo trovare una bella spiaggia per stenderci al sole. La ricerca si rivela però un continuo via vai tra una località e l’altra con l’unica costante del traffico e dei tanti turisti. Seguendo la costa arriviamo a Luz, un piccolo villaggio di pescatori con una lunga spiaggia tranquilla e relativamente poco affollata. Sfortunatamente il campeggio locale ha dei prezzi esorbitanti. Siamo ormai spazientiti e con un crescente odio verso l’umanità, ma fortunatamente a pochi chilometri di distanza ne troviamo un altro con prezzi più ragionevoli: è molto grande e con una piscina dalle dimensioni ragguardevoli. Anche la piazzola è piuttosto spaziosa, tuttavia ha un grande difetto: è impossibile piantarci i picchetti della tenda. Normalmente questo non sarebbe un problema gravissimo, la tenda può stare su anche da sola, tuttavia tira parecchio vento e senza picchetti la tenda rischia di volare via. Provo e riprovo ma nulla da fare. Grazie all’arte dell’arrangiarsi sviluppata negli scout decido di utilizzare l’albero e il cespuglio a bordi della piazzola e con del cordino creo una serie di tiranti. Per maggior sicurezza ne collego uno pure alla portiera dell’auto.
Mangiamo qualcosa e poi ci dedichiamo ad una radicale messa in ordine dei nostri effetti: negli ultimi giorni c’è stato un progressivo accumulo di confusione e Giorgia vuole ricostituire una parvenza di ordine. Siamo pure entrambi a corto di vestiti puliti e così decidiamo di usare una delle lavatrici del campeggio. Qui i tiranti si dimostrano ancora più utili perché fungono egregiamente da stendini per i vestiti bagnati, anche se a causa del vento un paio di mie mutande ed una maglietta finiscono nella piazzola vicina. Svuotando l’auto scopriamo con somma gioia di aver finalmente debellato le formiche, era da prima di Lisbona che ci perseguitavano.
Finiti i “lavori di casa” finalmente possiamo lasciare il campeggio e fare un giro alla ricerca di una spiaggia. Ci spingiamo fino al principale centro urbano della zona, Lagos, che però si rivela anch’esso molto affollato. Tra un ingorgo e l’altro riusciamo a raggiungere la zona delle spiagge, lungo il promontorio a sud del centro. Qui la costa è formata da grandi scogliere di colore rossastro che racchiudono piccoli spiazzi sabbiosi perfettamente balneabili. Lunghe scale di legno permettono di accedervi. Lo spettacolo è veramente unico ma non ne possiamo più di tutto quel traffico e allora scappiamo a gambe levate. Il secondo tentativo ha un esito migliore: usciamo dalla strada principale ed arriviamo al borgo di Barrancão, da dove una strada sterrata ci porta alla Praia das Cabanas Velhas. Ci sono molte meno persone e non ha nulla da invidiare a quelle di Lagos. Tira vento ma è tutto il giorno che anelo ad un bagno e così mi butto in acqua. L’acqua è gelida e resisto solo pochi minuti prima di uscirne tremolante ed intirizzito.
Tornati in campeggio troviamo che i nostri vestiti si sono perfettamente asciugati e ci cuciniamo una sontuosa cena. Collegandomi al wi-fi della reception ricevo ottime notizie da casa e mi viene voglia di festeggiare. Guarda caso quella sera al bar del campeggio c’è la serata caraibica e la piña colada è a metà prezzo. I primi che prendiamo sono ottimi e finiscono in fretta, rendendo necessario un secondo giro. Stavolta però il barista sbaglia le dosi di rum e il risultato sono dei cocktail che sarebbero capaci di stendere anche un cavallo. Purtroppo il sapore del cocco copre quello del rum e ce ne accorgiamo quando ormai li abbiamo finiti. Guadagniamo la tenda con le gambe leggere e la testa pesante ed è un mezzo miracolo se non restiamo impigliati nei tiranti. Ci addormentiamo all’istante e dormiamo come sassi.
Links:
https://it.wikipedia.org/wiki/%C3%89vora
https://it.wikipedia.org/wiki/Saudade
https://it.wikipedia.org/wiki/Algarve
Francesco Ricapito Agosto 2016
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