“Un sogno chiamato rivoluzione” inizia da un pogrom, quello che si abbattè sulla comunità ebraica di Kishinev, in Russia, nel 1903. E ci imbattiamo immediatamente in un uomo, Shlomo Weizman, che corre disperatamente lungo le strade del quartiere ebraico per cercare di trarre in salvo sua nipote Chaya. E’ da questo drammatico evento che Filippo Manganaro parte per dare vita ad un appassionante romanzo nel quale sono sapientemente amalgamati eventi storici reali e storie di personaggi inventati, come Shlomo e Chaya. I due protagonisti, dopo aver assistito alle ennesime violenze scatenate a causa di calunnie antisemite divulgate attraverso i giornali della Bessarabia, decidono di partire per gli Stati Uniti inseguendo il sogno di libertà e democrazia.
In realtà l’America non è il luogo idilliaco che i due avevano immaginato perché, soprattutto agli inizi del ‘900, gli USA si trovano a vivere alcuni dei momenti socialmente più difficili e complicati della loro storia. Shlomo e Chaya attraversano l’oceano assieme a migliaia di altri disperati in cerca di salvezza e fortuna. “La lentezza con cui la Blucher entrava nel porto di New York pareva un omaggio alla solennità del momento. Fermi e silenziosi sul ponte, i migranti dimenticarono in un attimo i contrattempi e le tensioni del viaggio: il pessimo cibo, il mal di mare, i pidocchi, il cattivo odore che, già dopo pochi giorni, aveva vinto la battaglia olfattiva con la brezza marina, le risse tra gli uomini e le molestie alle donne”.
I due ebrei russi, su suggerimento dell’assistenza, raggiungono il Lower East Side, il numero 97 di Orchand Street. L’arcigna signora Moeschl, l’affittacamere, assegna loro un piccolo appartamento facendolo pagare a caro prezzo. La zona è stracolma di immigrati come loro provenienti da tanti Paesi diversi. Nonno e nipote riescono a trovare lavoro, lui torna a comporre caratteri per la stampa, lei a fare la cucitrice. Il mondo del lavoro e le rivoluzioni operaie sono il cuore pulsante del libro. Manganaro descrive con estrema accuratezza e passione la sequela di rivendicazioni, scioperi e scontri che hanno coinvolto i lavoratori americani, tessili e non, in quei primi anni del XX secolo. Il racconto passa attraverso la ricostruzioni di episodi dimenticati o poco noti della storia statunitense, recupera vicende tragiche come l’incidente presso la fabbrica tessile Triangle di New York quella in cui, secondo l’invenzione letteraria, lavora Chaya la quale, quel 25 marzo 1911, non è andata a lavoro per assistere uno dei suoi due figli. Nell’incendio alla Triangle morirono 146 persone, molte delle quali bambini lavoratori, ma solo a seguito di tale catastrofe gli Stati Uniti vararono una serie di nuove regole relative alla sicurezza sul lavoro.
Manganaro descrive, a volte anche con notevole spirito critico, l’evoluzione dei movimenti sindacali americani di quegli anni. I personaggi di “Un sogno chiamato rivoluzione” sono coinvolti in prima persona nei movimenti di protesta e negli scioperi che hanno toccato il mondo operaio del tempo. Chaya e suo marito Paddy, così come le altre figure del libro, diventano uno strumento narrativo indispensabile per entrare in contatto con realtà storiche che sembrano lontanissime ma che, in fondo, non lo sono affatto. Così la vita dei personaggi lascia spazio a figure o eventi di cui, solitamente, si parla o si ricorda poco come l’irlandese Mary Harris Jones, meglio nota come Mamma Jones, una delle più longeve e inflessibili sostenitrici della dignità dei lavoratori e della difesa dei loro diritti; oppure Clara Lemlich una dei leader della cosiddetta “rivolta dei 20.000”, lo sciopero di massa dei lavoratori e delle tante lavoratrici delle industrie tessili newyorkesi indetto nel 1909, tra le più attive propugnatrici del suffragio femminile. Ma nella storia raccontata da Manganaro vengono sfiorati anche altri eventi rilevanti: la rivoluzione messicana, quella irlandese fino ad arrivare alle Brigate Internazionali giunte a Madrid nel 1936 in pieno periodo franchista.
Un romanzo storico denso ed avvincente, scritto in maniera appassionata con la cura e l’attenzione di chi, evidentemente, ama profondamente ciò che fa. Manganaro riesce infatti a restituirci spaccati di vita e di storia che hanno segnato alcuni dei mutamenti sociali più importanti del secolo scorso. Conquiste che hanno comportato sacrifici e lotte durissime senza risparmiare nulla e nessuno. Migliaia di persone hanno perso la libertà e la vita per portare avanti la propria battaglia e per ottenere il legittimo riconoscimento di diritti fondamentali. E in momento come il nostro in cui il diritto al lavoro è costantemente messo in discussione e minacciato da insidie che sembrano annientarne il senso, leggere un libro come “Un sogno chiamato rivoluzione” può essere un’esperienza toccante ma anche benefica ed edificante.
Edizione esaminata e brevi note
Filippo Manganaro è nato ad Arenzano, provincia di Genova, nel 1955. Nel 2004, per Odradek, ha pubblicato il libro “Senza patto né legge, antagonismo operaio negli Stati Uniti”. Il suo maggiore interesse è rappresentato dallo studio della storia degli Stati Uniti con grande attenzione alle lotte sociali e sindacali e alla questione migratoria. “Un sogno chiamato rivoluzione” è uscito nel 2012 per Nova Delphi.
Filippo Manganaro, “Un sogno chiamato rivoluzione“, Nova Delphi, Roma, 2012.
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