Nella sua postfazione Goffredo Fofi spiega che Arto Paasilinna può essere considerato una sorta di Stefano Benni finlandese. Un parallelismo che mi è sembrato piuttosto calzante. Nel mio piccolo ho pensato la stessa cosa leggendo “I veleni della dolce Linnea”: il mio primo Paasilinna. Una lettura disimpegnata e leggera, un romanzo che non richiede molta concentrazione né prevede sforzi di alcun genere. Esattamente quello che ci vuole quando si ha voglia o bisogno di letture lievi e brillanti. Perché il pregio di Arto Paasilinna è quello di concedere un piccolo svago letterario, una distrazione che di tanto in tanto può far bene.
La protagonista del suo libro, come si deduce dal titolo, è Linnea. Stiamo parlando di una deliziosa vecchietta che vive in una casina rossa nella campagna a poche decine di chilometri da Helsinki. Poche righe e sappiamo qualcosa di lei: “La graziosa anziana si chiamava Linnea Ravaska, nata Lindholm. Era venuta alla luce nel 1910, a Helsinki, ed era rimasta vedova del colonnello Rainer Ravaska nel 1952, lo stesso anno in cui nella capitale finlandese si erano tenuti i Giochi olimpici. Ormai pensionata, abitava nel villaggio di Harmisto, nel comune di Siuntio, in quella casetta rossa il cui unico comfort era l’elettricità”. E così Arto ci dipinge l’eroina della sua storia, in sostanza il personaggio buono della vicenda. Quello cattivo, antagonista di Linnea, è suo nipote Kauko Nyyssönen, detto Kake, un soggetto tutt’altro che raccomandabile, il quale raggiunge la casina di Linnea insieme ad altri suoi due compari di sbronza e di malaffare: Jari Fagerström e Pertti Pera Lahtela. L’arrivo del trio di mascalzoni nella casina di Linnea si trasforma rapidamente in un incubo visto che i tre si danno a violenze e bagordi costringendo la povera Linnea a sopportare di tutto. La vedova è talmente terrorizzata e stremata dai tre furfanti che è costretta allontanarsi: “La colonnella Linnea Ravaska prese il gatto sotto braccio, sparì dietro la stalla con la borsa dei vestiti in mano e si avviò in punta di piedi verso la foresta. Il cortile rimbombava degli schiamazzi entusiasti dei commensali occupati a rimpinzarsi con il maiale allo spiedo e ad annaffiarne i bocconi con la birra comprata da Linnea. Sul limitare del bosco, la vecchia signora lanciò un’ultima occhiata verso la sua casetta. Il suo sguardo era profondamente stanco ma carico di inestinguibile odio”.
La storia vuole che Linnea si trasferisca in città, ospite dell’anziano medico che un tempo era stato persino suo amante. La vecchia signora, temendo il peggio per sé, considerati i trascorsi poco edificanti di suo nipote e dei suoi amici, pensa di preparare dei veleni letali: preferisce uccidersi piuttosto che finire di nuovo nelle mani di Kauko. Il giovane, infatti, vuole a tutti costi scovare la zia e cercare di accopparla per riuscire ad entrare in possesso dei suoi averi. “Per un po’ i tre sbatterono le carte sul tavolo in silenzio, imbronciati. Poi a Jari Fagerström tornò in mente Linnea Ravaska. “Veramente dovremmo farla fuori, quella vecchia”, sparò all’improvviso. Pertti Lahtela caldeggiò l’idea. Era ora che Kake si facesse coraggio e riflettesse seriamente sul caso di sua zia. Sarebbe stato facile vendere la proprietà di Harmisto e comprare con il ricavato, ad esempio, una Mercedes”.
I piani di Kake, Pera e Jari sembrano implacabili e sanguinari ma la dolce Linnea, anche grazie all’aiuto di un fato fin troppo sorprendente se non addirittura inverosimile, riesce a scamparla in più di un’occasione dimostrando di essere un avversario tutt’altro che fragile ed indifeso.
Una vicenda tutto sommato piuttosto semplice costruita con pochi elementi e con poche, solide idee. La buona ed indifesa Linnea da una parte, il crudele e cinico nipote Kauko dall’altra. In mezzo una storia che riesce a tingersi di tonalità tragicomiche tra il giallo e il noir e che, alla fine, si risolve nella maniera più inaspettata e grottesca possibile.
Il confronto generazionale si risolve con il trionfo della componente più vissuta mentre a soccombere è la parte giovane ma anche quella più sprovveduta, violenta e insensata. Tra le righe del romanzo, inoltre, Arto Paasilinna ha tempo e modo di soffermarsi, spesso con battute rapide ma estremamente taglienti, sull’inadeguatezza delle forze dell’ordine oppure su alcuni caratteri non proprio esemplari della società finlandese. Un pizzico di satira che, come sempre accade, serve a far riflettere pur mantenendo i toni divertiti e spensierati.
Edizione esaminata e brevi note
Arto Paasilinna è nato nel 1942 a Kittilä, in Lapponia. Ha lavorato come guardaboschi, giornalista e poeta poi, a partire dal 1975, si è dedicato completamente alla scrittura. Il suo stile divertente e grottesco è molto amato. Ha pubblicato diverse decine di romanzi, ha composto delle pièces teatrali ed ha scritto alcune sceneggiature. In Finlandia è un autore di culto ed è tradotto in quasi cinquanta diversi Paesi. Tra le sue opere possiamo segnalare: “L’anno della lepre”, “Il bosco delle volpi”, “Il mugnaio urlante”, “Il figlio del dio tuono”, “Lo smemorato di Tapiola”, “I veleni della dolce Linnea”, “Piccoli suicidi tra amici”, “Il migliore amico dell’orso”, “Prigionieri del Paradiso”, “L’allegra apocalisse”, “Le 10 donne del cavaliere”.
Arto Paasilinna, “I veleni della dolce Linnea“, Iperborea, Milano, 2003. Traduzione dal finlandese di Helinä Kangas e Antonio Maiorca. Titolo originale: Suloinen myrkynkeittäjä (1988). Postfazione di Goffredo Fofi.
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