Da tagliatore di teste per le grandi multinazionali a killer, il passaggio è stato breve per il divo hollywoodiano più retrò dell’attuale panorama cinematografico. George Clooney, dopo il successo ottenuto con lo sfaccettato protagonista di Up in the air (2009), torna nelle sale incarnando un personaggio ancora più enigmatico e ricco di impercettibili sfumature, interpretando un killer americano rifugiatosi in un paesino dell’Abruzzo per sfuggire a sconosciuti sicari svedesi che lo vorrebbero eliminare. Questa è la premessa, in pieno stile action-thriller, con cui ci si presenta The American, terzo lungometraggio del talentuoso regista e fotografo olandese Anton Corbijn. Premessa subito disattesa da una pellicola dall’andamento lento e meditativo, ricca di silenzi e di sguardi, nella quale l’azione è ridotta all’essenziale.
Come si diceva, è la storia di Jack, killer professionista esperto nella fabbricazione delle armi, che si rifugia in Italia, in un paesino abruzzese, su indicazione del proprio committente. Qui viene a contatto con la popolazione locale, in particolare con un prete e con una prostituta, Clara, per la quale comincia a provare più che una semplice attrazione. Vuole sbrigare l’ultimo lavoro e poi ritirarsi per sempre, magari proprio con Clara, che ricambia il sentimento. I rischi a cui è esposto comunque sono molti, e nemmeno lo sperduto paesino abruzzese sembra allontanarlo da un passato che sta tornando per chiedere il conto.
Un thriller atipico, introspettivo, esistenziale, dominato da atmosfere rarefatte e giocato tutto sulla vena recitativa di un protagonista che dimostra nuovamente di saper passare dalla commedia al dramma con consumata maturità espressiva. Probabilmente la prova drammatica più convincente di Clooney in assoluto, considerando che l’attore americano aveva dato il meglio di sé in ruoli beffardi, sarcastici e stralunati, come quelli incarnati nei film di Soderbergh e dei fratelli Coen. La pellicola, girata quasi interamente nella sfortunata provincia aquilana – se si eccettua il breve prologo svedese e pochissime sequenze a Roma -, grazie al trailer italiano uscito a luglio ha indirettamente aiutato economicamente le zone terremotate dell’Abruzzo. Italiani sono anche alcuni interpreti, tra i quali oltre alla bella co-protagonista, Violante Placido (Ovunque sei, Che ne sarà di noi), ritroviamo il bravo Paolo Bonacelli (Johnny Stecchino, La sindrome di Stendhal) e l’ottimo Filippo Timi (Come Dio Comanda), qui in una breve apparizione.
Basato sul romanzo di Martin Booth, A Very Private Gentlemen, The American presenta sicuramente una prima parte molto affascinante, nonostante l’indubbia lentezza, legata al mistero di un personaggio del quale il film non ci racconta il passato e ci rende sostanzialmente nebuloso anche il presente. Gli stessi dubbi che sembrano trasparire dall’enigmatico volto del protagonista affollano la mente dello spettatore, oramai persuaso e forse affascinato dall’atipicità del film. Man mano che i dubbi in qualche modo si diradano, la pellicola scade progressivamente d’interesse, fino a un finale ampiamente prevedibile che probabilmente non avrebbe potuto essere diverso, vista la struttura proposta. Al di là dello scontato epilogo, e della scarsa qualità di alcuni dei pochi dialoghi proposti – uno su tutti, che sfiora involontariamente il ridicolo, quello tra il killer e il prete sul peccato e la coscienza -, l’opera di Corbijn ha senz’altro il suo fascino, anche grazie a una regia attenta ad ogni singola inquadratura e giustamente centrata sui volti e sulle impercettibili emozioni regalate da un protagonista misurato e credibile fino alla fine. Talmente credibile che quei pugni sul volante e quella smorfia di disperazione, in prossimità del malinconico epilogo, sono un sussulto che emoziona e che, forse in maniera inequivocabile e definitiva, consacra Clooney non tanto nel firmamento delle star, del quale faceva ampiamente parte da tempo, ma in quello dei grandi interpreti del cinema contemporaneo. Dal canto suo Corbijn, dopo l’apprezzato Control (successo a Cannes, e apprezzamento della critica internazionale), biopic sulla vita di Ian Curtis, scomparso leader dei Joy Division, dimostra di voler intraprendere strade cinematografiche meno legate al genere, sfornando questo thriller inusuale che certamente deluderà chi è abituato alle classiche spy story ricche di adrenalina, ma che potrà senza dubbio interessare a chi ama le opere sofisticate e non in cerca di emozioni a buon mercato.
Federico Magi, settembre 2010.
Edizione esaminata e brevi note
Regia: Anton Corbijn. Soggetto: tratto dal romanzo “A Very Private Gentlemen”, di Martin Booth. Sceneggiatura: Rowan Joffe. Direttore della fotografia: Martin Ruhe. Montaggio: Andrew Hulme. Scenografia: Mark Digby. Costumi: Suttirat Anne Larlarb. Interpreti principali: George Clooney, Violante Placido, Thekla Reuten, Paolo Bonacelli, Bruce Altman, Irina Bjorklund, Filippo Timi, Samuli Vauramo, Bjorn Granat. Musica originale: Herbert Gronemeyer. Produzione: Anne Carey, George Clooney, Grant Heslov e Jill Green per This is That Productions, Focus Features, Smoke House, Greenlit Rights. Origine: USA, 2010. Durata: 105 minuti.
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