Allen Woody

Interiors

Pubblicato il: 8 Settembre 2006

Dopo il successo di pubblico e critica ottenuto nel 1977 con Io e Annie (premio Oscar per film, regia e sceneggiatura), Woody Allen, fino ad allora incline ad una vena di commedia prima comico-stralunata e poi ricercata e colta, con Interiors costruisce la sua prima incursione nel cinema drammatico. Lo fa ispirandosi a colui che ha sempre ritenuto essere una sorta di mentore cinematografico: Ingmar Bergman. Il primo elemento che connota l’approccio al dramma è proprio quello caratteristico dei film bergmaniani: una fotografia che si fa espressione e che sovrasta con luci oscure i tratti somatici dei volti, che sfuma lentamente sui primi piani e che sostituisce le parole nei momenti di turbinio emotivo. Allen, più verboso di Bergman nei dialoghi, sceglie una misura a lui inconsueta proprio per avvicinarsi al maestro scandinavo, riuscendovi in parte. Il tutto ad uso di una trama che ha il suo fulcro narrativo nell’incapacità d’espressione dei sentimenti.

Tre sorelle, Joey (Mary Beth Hurt), Renata (Diane Keaton) e Flyn (Kristin Griffith), la prima sempre insicura e in cerca d’approvazione, la seconda poetessa di talento, la terza attrice hollywoodiana non troppo famosa. Joey, la più giovane, è in eterna competizione con Renata, ha velleità artistiche non supportate da adeguato talento e convive con un uomo politicamente impegnato. Renata è piena di sé e della sua arte, è sposata con un romanziere frustrato, perennemente ubriaco e subalterno al talento della moglie. Flyn è la più lontana dalla famiglia, vive del suo lavoro e non cerca molto di più di ciò che ha. Quando Arthur (E.G. Marshall), il padre delle tre, lascia la moglie Eva (Geraldine Page) ed è in procinto di risposarsi con una donna (Maureen Staphelton) appena conosciuta, il dramma latente dei sentimenti inespressi si libera tra angoscia, dolore e rimorso. La madre non accetta l’allontanamento del padre, comincia cosi per lei una crisi senza fine che la porta più volte in clinica. Eva è stata una donna piena di sé e delle sue capacità d’arredatrice, ha considerato sempre Renata la migliore delle tre sorelle, con sommo dispiacere di Joey. La cornice dell’evolversi del dramma è una casa sul mare, il giorno del matrimonio di Arthur al quale sono tutti presenti, tranne Eva. La felicità dei novelli sposi stride col vuoto comunicativo che aleggia tra il resto dei convenuti. Per quanto si vogliano trattenere, i sentimenti saranno costretti a fuoriuscire ma non in modo virulento. E, con sorpresa di Joey – l’unica che la vedrà e che le parlerà – , Eva è lì con loro, nonostante il per lei triste evento: si è nascosta nell’ombra. Ascolta e si lascia intravedere. Per l’ultima volta.

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A dispetto di ciò che i meno avvezzi al cinema del regista newyorchese possono immaginare, il genere dramma e affini si addice ad Allen. Ultimo brillante esempio è Match point, ma si possono citare anche Settembre (l’ altro suo film “bergmaniano”), Stardust Memories, Un’altra donna e Crimini e misfatti. Concentrato esclusivamente a girare le sue storie, Allen spesso dà il meglio di sé. Qui si evidenziano lo stile, i tempi della narrazione congruenti ai toni dei dialoghi e all’ambientazione scelta, nonché la magistrale direzione degli attori. Nonostante ciò, Bergman è ancora difficilmente avvicinabile per queste vie che, è giusto notare, non vogliono essere una rilettura o un calco delle pellicole del cineasta svedese ma un cinema a sé che cerca in questo stile autoriale la sua ispirazione. Il modello è decisamente Sussurri e grida, nella scelta delle inquadrature e nell’uso della luce; Bergman è comunque più essenziale e meno dispersivo nei dialoghi, più a suo agio nel creare l’atmosfera da dramma intimo – e teatrale – dalla prima all’ultima scena.

Detto ciò, ed esaurito il discorso sugli omaggi quanto mai dichiarati del regista newyorchese a Bergman, analizziamo la tematica di fondo della pellicola: l’incomunicabilità del sentimento. E qui, meno che nel caso precedente ma sempre riconoscendo un modello cinematografico a lui caro, Allen approfondisce un tema congeniale a Michelangelo Antonioni (anch’egli tra i suoi ispiratori della prima ora). L’arte è la dimensione in cui avviene il cortocircuito comunicativo, è l’oggetto ma anche il soggetto della contesa emotivo-sentimentale. In base alle qualità artistiche Eva stabilisce la sua gerarchia dei sentimenti: Renata è in cima ai suoi pensieri ma è concentrata solo sul suo ego, al contrario Joey vive il conflitto odio-amore nei confronti della madre perché non corrisposta nel sentimento, essendo essa mediocre artista. L’arte, o sarebbe meglio dire la proiezione di ciò che i personaggi immaginano debba essere, si fa soggetto narrativo perché domina le esistenze dei protagonisti. Chi più e chi meno ne viene fagocitato (vedere cosa accade al marito di Renata). E allora, alla vita si sostituisce proprio l’arte che diventa, nella totale inconsapevolezza di tutti, giustificazione e soluzione rispetto a fallimenti umani ed esistenziali. Ciò che aleggia su ogni personaggio, nell’angoscioso ed emotivamente trattenuto finale, è un senso di solitudine di difficile quanto improbabile estinzione.

Curiosità: Il film ebbe 4 nomination agli Oscar: Regia, sceneggiatura e le due attrici Geraldine Page e Maureen Staphelton.

Federico Magi, settembre 2006.

Edizione esaminata e brevi note

Regia: Woody Allen. Soggetto e sceneggiatura: Woody Allen. Direttore della fotografia: Gordon Willis. Montaggio: Ralph Rosenblum. Scenografia: Mel Bourne. Interpreti principali: Kristin Griffith, Mary Beth Hurt, Diane Keaton, Geraldine Page, E.G. Marshall, Maureen Staphelton, Sam Waterston, Richard Jordan. Musica originale: Tommy Dorsey. Produzione: Jack Rollins, Charles H. Joffe per la United Artists. Origine: Usa, 1978. Durata: 91 minuti.