A volte è difficile decidere cosa raccontare di un viaggio, si rischia sempre di fare la figura dell’amico che t’invita a casa solo per propinarti ore ed ore di foto sulle sue vacanze a Rimini o in Sardegna. In questo caso il viaggio è durato solo una settimana, ma con le esperienze che abbiamo fatto sembra quasi che sia durato un mese. D’altronde questo è quello che succede normalmente durante i viaggi organizzati in Senegal da Viaggi Solidali insieme alla ONG CPS – Comunità Promozione e Sviluppo. Viaggi che fanno entrare i partecipanti direttamente nella vita del paese, con tutte le sue bellezze, le sue contraddizioni e i suoi ritmi, senza filtri e senza pregiudizi.
Protagonisti questa volta sono stati una coppia di bolzanini, Maurizio e Lorenza, persone di poche parole ma di molti fatti ed esperti viaggiatori solidali e due torinesi, Ettore, ingegnere con un grande spirito d’osservazione ed una certa propensione alle freddure e sua figlia Elisa, biologa, anche lei appassionata di viaggi.
Con noi anche Pierre, guida senegalese con vent’anni di esperienza ed una propensione alla puntualità per niente africana, Bernard, autista che quando non guida è alla perenne ricerca di un posto dove distendersi per fare un sonnellino ed infine io, Francesco, volontario del servizio civile incaricato della gestione dei viaggi presso la CPS.
Il viaggio ha toccato alcuni dei luoghi più famosi del Senegal e altri meno conosciuti ma non per questo meno belli. Uno di questi è il villaggio di Sokone, dove ha sede il GIE Touris Jokkoo, partner di lungo corso della CPS: la sigla GIE sta per Group d’Intêrét Économique e si tratta di cooperative locali con obiettivi specifici e che promuovono progetti sul territorio dove operano.
Bassirou, il vice-presidente, insieme alle signore Astou e Binta, anche loro membri di lungo corso, ci hanno accolto con calore nella sede del GIE. Con loro abbiamo condiviso un tipico pranzo senegalese a base di Ceebu Jen, riso condito con verdure e pesce, seguito da anguria di stagione ed una serie di succhi freschi di ibisco, baobab e ditakh, un frutto verde dal sapore simile alla banana. Tutto preparato da Khady, la giovane ma già navigata cuoca del ristorante gestito proprio dal GIE. Come vuole la tradizione abbiamo mangiato per terra da un piatto comune.
Abbiamo avuto giusto il tempo di una pennichella prima di salire su un carretto trainato da un asino e dirigerci verso il baobab sacro di Sokone. Quando siamo passati per le strade polverose gli abitanti ci hanno guardato incuriositi, i bambini ci hanno salutato e abbiamo addirittura incrociato un varano che si è allontanato disturbato dal nostro passaggio. Il baobab sacro è immerso in un paesaggio semidesertico circondato da una cornice di mangrovie. La sua grande mole emana una certa aura di sacralità e l’usanza vuole che quando ci si passa nelle vicinanze si canti e si balli per salutarlo, non farlo porterebbe infatti molta sfortuna. Abbiamo improvvisato un ritmo battendo le mani e compiuto così il nostro saluto, ognuno seguendo il suo estro. l baobab avrà almeno ottocento anni e per buona parte della sua vita è stato venerato e considerato sacro dagli abitanti della zona. Come spesso succede a questi alberi quando raggiungono una certa età, il tronco diventa cavo e si apre. In questo caso la cavità era talmente grande che ci siamo entrati tutti senza problemi.
La sera siamo stati ospitati a casa di Binta: una signora molto espansiva, da parecchi anni membro del GIE e madre di ben nove figli. Durante la cena Ettore ha avuto un’interessante chiacchierata con il marito di Binta sulle differenti confraternite religiose del Senegal e poi uno alla volta siamo andati a farci predire il futuro da una signora capace di leggerlo nelle conchiglie. Nel frattempo Elisa e Lorenza si sono fatte dipingere le dita con l’hennè proprio da Binta. La notte è passata serena e la mattina seguente Ettore è uscito per una passeggiata nel quartiere scatenando così la curiosità di tutto il vicinato.
Come dimenticare poi l’incontro con la regina di Sippo? Un piccolo villaggio di pescatori nel mezzo del Parc National Du Delta Du Saloum, un’area protetta famosa per le sue foreste di mangrovie e le innumerevoli specie di uccelli. L’unico modo per raggiungerlo è in piroga e in Senegal arrivare in un villaggio è un po’ come entrare in una casa, di conseguenza è necessario andare subito a salutare il capo villaggio e così abbiamo fatto. La regina è un’arzilla signora di novant’anni che ci ha salutato tutti con due baci sulle guance e ci ha fatto accomodare nella sua modesta stanza. Ci ha chiesto i nostri nomi e da dove venivamo e poi ci ha spiegato la sua storia: appartiene ad un gruppo etnico che si chiama Mandingue e che oggi è diffuso in molti dei paesi dell’Africa Occidentale. Dopo esser venuta qui ed aver perso il primo marito ha deciso di sposarsi di nuovo per poter continuare a vivere a Sippo. Noi eravamo troppo intimiditi per chiederle una foto ma è stata lei a prendere l’iniziativa e a chiederci se ne volevamo una con lei. Forse anche lei si è resa conto che non capita tutti i giorni d’incontrare una regina!
Località più famosa ma comunque imperdibile è di sicuro Fadiouth: incantevole isoletta composta interamente di conchiglie e collegata alla terraferma da un elegante ponte di legno lungo mezzo chilometro. Essere una popolare meta turistica avrebbe potuto rapidamente rovinarla ma gli abitanti hanno saputo organizzarsi creando una cooperativa e ora pagando un modico prezzo per l’attraversamento del ponte tutti i visitatori possono avere il supporto di una guida locale autorizzata. Tra queste c’è proprio il nostro Pierre, nato e cresciuto a Fadiouth e che come tutti gli isolani del mondo è innamorato della sua isola. Gli abitanti sono poche migliaia e Pierre sembra conoscerli praticamente tutti visto che si ferma a chiacchierare ogni pochi metri.
Il terreno è fatto praticamente solo di conchiglie ma la cosa più curiosa sono i maiali che fanno liberamente il bagno nelle acque che circondano l’isola: questo perché nonostante il Senegal sia un paese prevalentemente musulmano qui a Fadiouth la maggior parte degli abitanti è cattolica, ed ecco quindi spiegata la grande densità di maiali. Nella zona centrale c’è la chiesa, edificio recente ma non per questo meno interessante: dietro l’altare sono raffigurate delle piroghe ed una capanna, il canto di qualche uccello che ha fatto il nido nel soffitto riecheggia per tutta la navata e incassate nel muro ci sono numerose conchiglie che fungono da acquasantiere.
Di fianco alla chiesa si trova una minuscola moschea, ma il simbolo più forte di questa convivenza pacifica è senza dubbio il cimitero, situato sulla terraferma ma collegato a Fadiouth da un ponte e dove ci sono sia tombe musulmane che cattoliche. La luce del sole riflessa dalle conchiglie è quasi abbagliante e vedere tombe di due religioni diverse nello stesso luogo è un bellissimo messaggio di tolleranza.
Viaggiare in modo solidale non vuol dire mantenere sempre solo uno stile spartano e rustico, ci sono pure occasioni per viziarsi un pochino, per noi è stata la permanenza all’Hotel Keur Yakaar alla Somone, sulla zona costiera nei pressi della città di Mbour: si tratta di un’incantevole struttura finanziata da una ONG svizzera e che si occupa di formare personale alberghiero. Qui studiano e fanno pratica giovani cuochi, camerieri e addetti alle pulizie. Il corso dura due anni ed è l’ultima novità dei viaggi di CPS. Quel giorno eravamo gli unici clienti e avevamo a disposizione tutto lo staff, il risultato è che siamo stati serviti e riveriti di tutto punto: dopo che due ragazze molto eleganti ci avevano mostrato le camere siamo scesi per la cena. Qui un ragazzo del secondo anno ci ha presentato orgogliosamente il menù come se si fosse trattato di un libro scritto da lui, non appena l’acqua nel bicchiere scendeva sotto un certo livello c’era sempre qualcuno che veniva a riempirlo, l’attesa per i piatti è stata di pochi minuti ed erano tutti eccellenti. Dopo il dessert il ragazzo del menù più un’altra ragazza del secondo anno ci hanno fatto una piccola presentazione della struttura e hanno risposto a tutte le nostre domande. Con il solo fatto di essere ospitati in questa struttura abbiamo contribuito alla formazione di futuri camerieri e cuochi che una volta finito il corso avranno i mezzi per cercarsi un lavoro e diventare indipendenti: anche questo fa parte dei viaggi solidali.
La città di Mbour ci ha riservato alcune belle sorprese. Oltre a visitare la sede della CPS ne abbiamo conosciuto alcuni dei partner più stretti. Tra questi il GIE Bolo Sukali Médine Liberté: ospiti nella casa della presidentessa e assistiti da Khoudja, la tesoriera, abbiamo imparato i fondamenti della tecnica batik per la tintura di tessuti: dopo aver scelto un colore ed un motivo, con l’aiuto di Khoudja abbiamo piegato e legato i tessuti per poi spostarci in giardino ed osservare come con l’aiuto di altre signore questi venivano colorati e risciacquati. Il risultato è stato sorprendente: colori estremamente intensi e motivi definiti e precisi, dei perfetti souvenir dal Senegal. Mentre questi si asciugavano al sole siamo tornati dentro e abbiamo pranzato con dell’ottimo miglio macinato proprio nel mulino del GIE.
Una settimana è veramente poco per poter dire di conoscere un paese, ma è sufficiente per farsene un’idea: abbiamo sfruttato al massimo ogni momento, non abbiamo avuto paura di metterci in gioco, di andare oltre quello che è il turismo classico per immergerci nella vita quotidiana dei senegalesi, con i suoi ritmi, le sue peculiarità e anche le sue problematiche. Non è stata una vacanza riposante, forse non è stata nemmeno una vacanza, è stato un viaggio dove sia noi che le persone che abbiamo incontrato hanno avuto modo d’imparare qualcosa e di trarne un beneficio. Il Senegal è un paese affascinante ma sa anche essere crudo, ammalia ma allo stesso tempo stordisce. Lo scopo di questi viaggi è proprio quello di far vedere tutti questi aspetti ai nostri visitatori e di farli ripartire con gli strumenti necessari per poter giudicare loro stessi, al di là dei pregiudizi e dei preconcetti.
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Francesco Ricapito – Dicembre 2016
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