Palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes, con sorpresa. Ma a ben addentrarsi nelle dinamiche del cinema che conta, proprio sorpresa non è. Ken Loach è un regista politico, marxista convinto, che ha sempre concepito il suo cinema come impulso per scuotere le coscienze, per sollecitare all’attenzione di quella che ritiene essere la borghesia britannica – e successivamente, con la notorietà, europea e mondiale – la condizione disagiata di disoccupati, operai sottosalariati ed emarginati sociali. Un cinema duro, lineare, affatto virtuosistico, attento ai dialoghi e ai volti più che agli effetti che suscitano facile empatia, come ad esempio la colonna sonora. Anche Il vento che accarezza l’erba non sfugge a questa consuetudine visivo-narrativa, sorprendendo semmai per il particolare tipo di tematica che un autore solitamente militante come Loach va, in questo caso, ad affrontare: l’identità patriottica.
Irlanda, 1920. In conseguenza degli innumerevoli soprusi perpetrati dall’esercito inglese ai danni di irlandesi pacifici ed inermi, un gruppo di ragazzi si unisce per ribellarsi all’oppressore: si nascondono nelle campagne, reclutano nuovi giovani, li addestrano al combattimento e alla guerriglia. L’imperativo è rivendicare l’indipendenza, scacciare il nemico, costruire una repubblica democratica d’Irlanda in cui si possa vivere liberi e in piena autonomia. Tra i ragazzi ribelli ci sono due fratelli: Damien, giovane medico in procinto di trasferirsi a Londra, viene talmente toccato dall’efferata esecuzione di un amico che decide di stracciare idealmente le sue vesti borghesi; Teddy, il maggiore dei due, era già uomo d’azione, pronto a donar la vita per scacciare l’oppressore. Sono due leader, guidano i gruppi assaltatori ma discutono anche di politica e dell’Irlanda che sarà. Nel frattempo sono cominciate le rappresaglie inglesi, violente e barbariche come da consuetudine, ma il popolo d’Irlanda oramai è desto, consapevole dell’occasione di rivolta che la contingenza porta all’ evidenza di tutti. Si arriva cosi ad una tregua, la firma di un trattato che è solo una vittoria apparente, talmente ambigua da spaccare in due lo stesso popolo irlandese, da un lato persuaso dell’improvvisa possibilità d’emancipazione (le truppe inglesi lasciano le città d’ Irlanda), dall’altro consapevole della persistente egemonia della corona. Comincia una lotta interna, ci si uccide tra fratelli, non solo in senso simbolico. Ken Loach porta all’estremo narrativo le conseguenze della scissione di un popolo, mettendo contro Damien e Teddy, tanto uniti dall’amor fraterno quanto divisi dalla concezione di Patria, di ideale, di libertà.
Un Loach insolito, dicevamo, che si misura (in modo assai diverso dal suo Terra e libertà) sul tema patriottico senza l’enfasi epica e titanica propria all’idealismo romantico. Naturale per un marxista come lui, spesso manicheo ma sempre intellettualmente onesto nel voler costruire un cinema militante e politicamente connotato. È un inglese che critica aspramente il colonialismo della sua nazione, tanto che questo film sembra voler stigmatizzare, attraverso una dolorosa pagina di storia non universalmente nota (suo il pregio di averla riportata all’attenzione), il comportamento dell’attuale governo Blair, più che mai impelagato nella politica yankee “d’esportazione”. Facile fare similitudini, come è facile capire che Loach non è per nulla tenero con la chiesa cattolica (nel film, nonostante gli irlandesi ribelli fossero cattolici, è considerata connivente con la corona) e con i militari inglesi (trasposti come caricature: alla Full metal Jacket, per capirci). In ogni caso, ciò che emerge in modo vivo e crudo è l’uso-abuso della violenza, impietosamente filmato dal regista inglese per rendere ancor più realistico un tema già di per sé molto duro. Loach filma la rabbia, il dolore, la violenza, il dubbio, la contraddizione, la disperazione senza andare né sopra né sotto le righe, cercando il rigore come unica cifra stilistica possibile per descrivere questi stati d’animo e la contingenza che li accoglie. Non filma la pietà, del tutto assente nella pellicola; pietà improbabile e impossibile, né tra amici e né tra fratelli, nonostante il rimorso e l’angoscia che muove gesta estreme e disperate.
Come oramai sarà chiaro, i suoi personaggi sono tutto fuorché ero, ed hanno i volti assai azzeccati di attori non troppo noti (se si esclude Cillian Murphy, che ha fatto parte del cast di Batman begins di Nolan), capaci di incarnare in maniera credibile il logorio fisico-animico che il film di Loach pretendeva. La fotografia scelta ben si armonizza all’atmosfera che cerca di restituire la pellicola: un cielo sempre denso di nubi e mai soleggiato fa da contrasto ad una natura quasi selvaggia che nasconde i suoi figli ribelli, facendo da scenario all’orrore che spesso si innesca naturalmente. Da che parte sta Loach? Certo non è tenero con i connazionali ma mostra impietosamente le esecuzioni tra fratelli irlandesi, lasciando trasparire un senso di comprensione minima nei confronti di chi deve ribellarsi perché oppresso, oltraggiato, vilipeso, considerato più una bestia che un uomo.
È un film che può piacere, che per alcuni versi è importante vedere, che soffre di un lieve manicheismo (pur minore rispetto al passato) e di una freddezza che non aiuta troppo l’immedesimazione. Mancando la dimensione epica manca molto per un film del genere ma, ad essere onesti fino in fondo, che questo accada in un’opera di Loach è anche comprensibile – lo spettatore che ama il suo cinema ne è consapevole. Certo a Cannes c’era anche l’ottimo Volver di Almodovar, che senza dubbio meritava di più.
Federico Magi, novembre 2006.
Edizione esaminata e brevi note
Regia: Ken Loach. Soggetto e sceneggiatura: Paul Laverty. Direttore della fotografia: Barry Ackroyd. Montaggio: Jonathan Morris. Scenografia: Fergus Clegg. Costumi: Eimer Ni Mhaoldomhnaigh. Interpreti principali: Cillian Murphy, Padraic Delaney, Liam Cunningham, Gerard Kearney, William Ruane, Orla Fitzgerald, Mary O’Riordan, Mary Murphy, Fiona Lawton, Roger Allam. Musica originale: Gorge Fenton. Produzione: Orion Pictures Corporation. Titolo originale: “The Wind That Shakes the Barley”. Origine: Gran Bretagna, Irlanda, Francia, 1984. Durata: 124 minuti.
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