“Rimasi nascosto nella foresta, in attesa che il tempo passasse. Era il 9 marzo 1974, mancava poco a mezzogiorno, e io mi trovavo su un pendio a un paio d’ore da punto Wakayama. Il mio piano era di attendere fino all’imbrunire, quando è ancora possibile riconoscere una faccia, e poi di avvicinarmi rapidamente, in un’unica manovra, a punto Wakayama. Troppa luce avrebbe significato pericolo, ma il buio fitto mi avrebbe impedito di essere sicuro che la persona che stavo per incontrare fosse proprio il maggior Taniguchi. Per di più, la luce del crepuscolo avrebbe favorito una mia eventuale fuga, qualora si fosse resa necessaria.” (pag.7)
Comincia con queste frasi lo straordinario e per certi versi straziante libro di Hiroo Onoda “Dietro le linee” (traduzione dal giapponese di Andrea D’Anna), originariamente pubblicato presso Arnoldo Mondadori Editore nel 1975 e riproposto meritoriamente in ristampa anastatica dalle Edizioni di Ar, con una splendida ed evocativa copertina di Curzio Vivarelli.
Forse qualcuno ne avrà sentito parlare di Onoda. Credo in pochi. Onoda è uno di quei militari giapponesi di cui si è tanto parlato, vagheggiato, immaginato che non deposero mai le armi, che non vennero a sapere nulla della sconfitta del Sol Levante e che continuarono pur tuttavia a combattere, morire, sacrificare se stessi. A obbedire agli ordini che gli erano stati impartiti. A compiere la missione che gli era stata affidata. Una missione di guerra e di vita. Di bellezza e onore.
Facile relegare questo genere di esistenze nel campo della follia. Bollare uomini come Onoda come dei pazzi al servizio dell’imperialismo giapponese, delle dittature, di idee fuori dal tempo. Dei folli che nemmeno dopo essere rimasti soli per decenni su un’isola si accorgono che tutto è perduto. Che forse è meglio riporre le armi e tornare a casa dai propri cari a fare la calzetta. Al giorno d’oggi chissà cosa ne scriverebbero i vari Crepet, Recalcati, Saviano. Probabilmente gli uffici stampa farebbero di tutto per agghindarli e trascinarli/venderli in qualche show televisivo come animali rari. Esemplari da esporre in qualche museo cantina. O forse dipingerebbero Onoda come un cattivo maestro, un esempio da non seguire. I soloni contemporanei elogerebbero in maniera astratta il pacifismo, la democrazia, l’istruzione , che non producono mostri come Onoda.
Ma alla fine di cosa parla questo “Dietro le linee”? Sostanzialmente è il racconto in prima persona della formazione di un giovane uomo, di un combattente, di un samurai del XX secolo che crede nella lotta, che non depone le armi. Inviato nel 1945, a 23 anni, sull’isola di Lubang, dopo aver ricevuto dal suo comandante, il maggiore Yoshimi Tanigushi, gli ordini di rimanere sull’isola, costi quel che costi, e compiere azioni di guerriglia contro gli invasori americani, su quell’isola ci rimarrà per trent’anni. Combattendo prima contro gli americani e poi contro quel mondo tornato alla normalità. Una normalità che nulla ha a che fare con Onoda. Consapevole delle difficoltà vissute dal Giappone nelle ultime fase belliche, non cede al ricatto della sconfitta disonorevole. Non crede alla resa. Non si arrende per avere la vita salva. Non crede ai volantini che gli vengono lanciati dal cielo e che lo invitano ad arrendersi, che gli raccontano che la guerra è finita, che i suoi cari lo attendono. Non crede a un mondo che se lo sta lasciando alle spalle, a un mondo che sta distruggendo tutto ciò in cui lui crede, che lo aspetta con braccia aperte tecnologiche.
Il tenente Onoda difende l’onore, il senso del dovere, dell’obbedienza, del sacro, del sacrificio. La resa arriva solo quando si viene sollevati dalle consegne. O si muore. Altro modo non esiste. Pena, la vergogna di non essere stati all’altezza della missione assegnata. Di aver ceduto all’opportunità.
Ecco, ascoltatevele bene queste parole in testa. Provate a leggerle, oggi nel 2016. Non fanno uno strano effetto? Ovvio passare per pazzi. Ma ci sono parole, concetti, valori che non tramontano.
Sono stato un ragazzino cresciuto leggendo Jack London, “L’isola del tesoro”, “L’ultimo dei Mohicani”, Salgari e chissà quali emozioni avrei ricevuto da questo libro dalla scrittura limpida e cristallina, coinvolgente e ammaliante se l’avessi letto allora. Da questo libro ho ricevuto oggi conferme e certezze ma anche tanta malinconia che mi ha assalito immaginando me stesso bambino che leggo di questi guerriglieri giapponesi che si nascondono e combattono nella giungla, che s’ingegnano su come sopravvivere, su come procurarsi cibo, su come sopravvivere a una ferita da fuoco. Di un uomo che non si dà per vinto. Mi sarei commosso e avrei sognato. Avrei trovato ancora più forza nel ribadire la mia voglia di non essere addomesticabile. Avrei sognato di impugnare la sua spada di samurai. L’avrei tenuta fra le mani e avrei sorriso al crepuscolo.
Non abbiate paura di “Dietro le linee”. Non è un libro di catechesi. Impositivo. Tutt’altro.
Sono giorni di solstizio. Natalizi. Inizia un nuovo anno. Regalatelo o regalatevelo come buon auspicio per l’anno che sta per arrivare. Abbiate coraggio. Come scriveva Robert Brasillach nel suo “Il testamento di un condannato”: “Amore e coraggio non sono soggetti a processo”.
Edizione esaminata e brevi note
Hiroo Onoda (小野田 寛郎 Onoda Hiroo; Kainan, 19 marzo 1922 – Tokyo, 16 gennaio 2014) è stato un militare giapponese.
Hiroo Onoda, “Dietro le linee”, (Edizioni di Ar, Padova, 2014, traduzione dal giapponese di Andrea D’Anna, titolo originale “Tatta Hitori no 30 nen senso”))
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