Milani Maurizio

Saltar per terra causa vino

Pubblicato il: 11 Gennaio 2017

Certe trasmissioni televisive si fanno con i prodotti a km zero. Benissimo. Allora, per non inquinare il pianeta, invitate al vostro programma solo quelli che abitano in corso Sempione a Milano. al massimo a 2 fermate del tram. PS: Che poi non serve a niente, la gente pur di andare in tv prende la residenza in corso Sempione. Vanno su i prezzi delle case, inizia la speculazione e siamo ancora punto e a capo. Firmato: Dc (ala fissa)”. (pag. 109)

Nei miei trentacinque anni di vita mi è capitato sovente di avere a che fare con uomini e donne di tutte le età che avevano sviluppato una certa dipendenza dall’alcol e anche da altre sostanze che talune volte con l’alcol ci vanno a spasso. Leggera dipendenza o proprio alcolismo pesante. Se non è dipendenza di sicuro il vino, la grappa, la birra, gli amari, gli aperitivi, i pranzi e le cene luculliane, le stecche di sigarette, le partite a carte, i trofei di caccia appesi alla pareti sono sempre stati una presenza fissa nel mio giro familiare e in quello di amici, conoscenti, colleghi di lavoro, compagni di stanze d’ospedale. E tanto odore di vino, birra, fabbrica, sudore, campi, letame attaccati alla pelle. Profumo di vita. Di morte. Confesso di non essermi mai seduto a un tavolo di astemi e di avere una sola amica che non fuma e che cerca di tenersi lontana dagli alcolici ma dopo averne consumati a damigiane da ragazzina.

Uno degli appuntamenti fissi della mia infanzia era accompagnare mio nonno in giro per la provincia comasca dentro e fuori da uffici postali, macellai, panettieri, banche, negozi, cimiteri e soprattutto baretti dove beveva bianchini che gli scioglievano il silenzio. Me ne ricordo in particolare uno in una zona periferica di Erba, vicino alla ferrovia e a un campo di motocross oggi scomparso, dove quando appoggiavi la mano al bancone ti restava unta di grasso e sudore per tre giorni. Prima di tornare a casa mio nonno mi pagava con un gelato o con una moneta da 500 lire per farmi tenere la bocca chiusa ma i suoi occhi e il suo alito erano roba sufficiente per far scaldare mia nonna. Non così tanto però, perché lei di sigarette sapeva di fumarne fin troppe.
Tutto questo però sempre di mattina.
Perché un bianchino alle 9 o alle 10 di mattina è un buon modo per cominciare la giornata.
Altro che consultare la mail o rispondere ai messaggi sul cellulare.
E poi la sera, la sera che ti aspetta.

Ciò che mi ha sempre colpito dei bevitori (e fra questi mi ci metto pure io che per amore dell’alcool e di molte altre cose ci ho quasi rimesso la vita) sono i loro racconti. O meglio, lo stile di questi racconti narrati a voce. Racconti che cominciano in un modo, magari con una premessa ben dettagliata e un richiamo all’attenzione, al silenzio e che poi si dispiegano in maniera biblica, dilatandosi fino a perdersi in finali inconcludenti, criptici, biascicati

Ma c’è da intendersi su cosa significa raccontare quelle storie e ascoltare quel genere di storie che possono anche scatenare risate infernali così come dare il via a litigi e risse. Cosa significa goderne. Viverle. Ricordarle.  Difficilmente chi non beve, non ha mai bevuto o é solo spettatore non partecipe di queste narrazioni potrà mai capire l’intensità di questi racconti. Non potrà mai viverli al pari degli ascoltatori bevitori che invece galleggiano nello stesso mood alcolico dell’oratore, sono presi dal medesimo fervore alcolico, tossico, sessuale e spesso culinario. Sono febbricitanti, estatici, addormentati, incasinati, spezzati, innamorati e si infilano nei discorsi, si rendono loro stessi protagonisti di storie assurde, aggiungono, correggono, coinvolgono. Molto spesso mi sono sentito protagonista di storie o complice in avventure che non avevo mai vissuto perché mi trovavo altrove o stavo lavorando. Altre volte ho creduto a storie impossibili. Altre volte solo in quei contesti ho vissuto serate e avventure che da sobrio mai avrei potuto vivere, ho discusso con donne irraggiungibili.

Questo mood alcolico è la cifra stilistica più bella e intensa dei racconti, sfoghi, lettere di Maurizio Milani che potete leggere nella raccolta “Saltar per terra causa vino” (Wingsbert House, 2014) oppure se non avete la puzza sotto il naso seguendo la rubrica “Innamorato fisso” ospitata su quel miracolo giornalistico che é Il Foglio.

Maurizio Milani  è un artista che sa catapultare il lettore, con poche parole e in poche righe, in un mondo surreale che affascina e commuove, in una saga alcolica in cui convivono la Bassa Padana, la nebbia, i pinguini, i Navigli, i viaggi folli in autobus fino a Parigi, il Po, la Milano dei bassifondi e delle stazioni,  gli ubriaconi,  gli obesi, i traballanti, i pisciatori, gli sconfitti, gli innamorati fissi, i ladruncoli, le fidanzate stronze che ti mettono alla prova ogni giorno, i rom, i marocchini, i fantasmi delle pagine di Guareschi che si fanno vivi così come l’umanità dolente di Simenon, le facce tristi di Buster Keaton, i Cochi e Renato, le persone che conoscono solo in dialetto, le sagre di paese, i cacciatori. Uomini che bevono e producono vino di merda, che pescano e mangiano pesci siluri, che hanno a che fare con uomini bauxite.

Maurizio Milani non è un autore da salotto di sinistra e nemmeno il santino di qualche destra ipotetica. È uno che scrive da Dio, senza pudore, col cuore, che se ne infischia dei luoghi comuni tanto cari alla pletora di radical chic terzomondisti, dei pacifisti con tutte le sicurezze del divano, dei volontari della carità:

Ieri sono stato sbattuto fuori dalla Cassa depositi e prestiti. Ero andato per chiedere 1000 euro di prestito per pagare le bollette. Il funzionario mi fa: “Vai via ubriacone! Questo è un ente statale, serve per finanziare le opere pubbliche”. Anzi, in più voleva chiamare il magistrato di turno per vedere se avevo commesso qualche reato (quale? Ignoranza forse). Meno male che con me c’era un mio amico marocchino. Il funzionario (forse per non sembrare razzista) non ha dato seguito alla denuncia. Sono convinto che se fossi stato solo io mi faceva sbattere in galera. Firmato: Dc”) (pag. 121)

degli ambientalisti con le scarpe in caucciù, dei cultori dello Slow Food, dei carlin petrini de noantri, del biologico In the Wild, delle dandiniane da salotto, dei no-ogm, dei grillini, degli agriturismi, dei vegetariani, dei vegani, dei crudisti, dell’intenditore di vino, dell’appassionato di Tripadvisor. Gente che a criticarla fai sempre la figura di uno che non capisce nulla, del qualunquista, del reazionario, di quello che non legge i libri giusti, non vede i film giusti, non firma gli appelli giusti, non fa le vacanze nei posti giusti, non fa la spesa da Eataly:

Il vino meno prestigioso al mondo è quello che facciamo nella tenuta di mio zio (indagato e poi prosciolto). La tenuta è appena fuori Milano (circa 880 metri) per cui può venire a piedi. La tenuta é ricavata da un pezzo del Parco delle cave, che come tutti sanno, è pubblico. Però né Regione, né Comune, né Provincia sono venuti a lamentarsi. A questo punto il padrone sono io. In patria abbiamo ciurlato 50 ettari di demanio. Ci vantiamo e faremo sempre peggio. Abbiamo impiantato dei filari di vite norvegese. Siccome non abbiamo fatto mai i viticoltori, il vino che produciamo è il peggiore al mondo. Non sa di niente, nemmeno di tappo, non ha colore, non ha profumo, in pratica è alcol, ma nemmeno tanto. Sembra non so cosa (direi una vergogna)” (pag. 11)

Sono racconti alcolici creati da una penna dotata di irriverenza ma anche e soprattutto di una straordinaria delicatezza, di sensibilità e attenzione per le storie sommerse, per la vita di provincia che nulla ha a che fare coi quadretti cari al turismo da cartolina, per quegli uomini che bevono il vino delle cantine di paese, a pochi euro al litro, che di certo sanno quando un vino è buono e quando fa schifo ma che non se la tirano continuamente se lo sanno, lo producono e lo bevono e finita lì.
Ecco, io adoro Maurizio Milani perché mi restituisce una parte del mio mondo presente e passato, della mia famiglia dispersa, dell’albergo a due stelle appartenuto per generazioni alla mia famiglia, della semplicità delle piccole cose, delle mie solitudini atroci, delle mie sconfitte, del mio romanticismo deriso e perché Milani mi fa sorridere e insieme piangere.

E perché sa scrivere delle bellissime lettere d’amore come quella a Kate Perry che si chiude così:

P.S. Dimenticavo: ho 59 anni, peso 130 kg e sono disoccupato dal 1996. Il comune a volte mi chiama per spalare la neve. Gli dico che vado, ma poi non mi presento. Questo non per causa tua, ma perché non ho voglia di lavorare.”

Edizione esaminata e brevi note

Maurizio Milani, al secolo Carlo Barcellesi, è nato a Codogno nel 1961. Diplomato perito agrario, è diventato negli anni comico, scrittore, attore teatrale. Dal 2003 al 2008 è stato ospite fisso a Che tempo che fa. Ha pubblicato per Bompiani, Baldini & Castoldi, Kowalski, Rizzoli, Aliberti, Barbera.

Maurizio Milani, “Saltar per terra causa vino” (Wingsbert House, 2014. Introduzione di Alessandro Di Nuzzo)

(Questa recensione è comparsa sulla rivista cartacea vallesewronghiana “Conosci il Fendant?”, numero 25, settembre 2014″ ed è dedicata all’amica Pat, grande intenditrice di vini e a mia madre, Adriana, scomparsa il 12/01/2014 e che non si perdeva mai Maurizio Milani a Che tempo che fa)

Un’intervista a Milani di qualche tempo fa:

http://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/maurizio-milani-comico-eclissato-rai3-si-toglie-qualche-sassolino-28525.htm