Ecco un nome che sicuramente vi dirà nulla o quasi, Armando Crispino, regista poco prolifico che trovò il suo maggior periodo d’ispirazione nella prima metà dei Settanta grazie a due thriller a loro modo geniali: L’etrusco uccide ancora (1972) e Macchie solari (1975). Proprio di Macchie solari ci occuperemo nella nostra analisi, non dimenticando che il regista piemontese, prima di darsi al thriller, aveva sondato tutt’altro genere, la commedia (Faccia da schiaffi – 1969). Crispino, ad oggi, in epoca di rivalutazione del B-movie dei Settanta-Ottanta, sembra assolutamente dimenticato, caduto in un incomprensibile oblio della memoria critico-cinematografica del Bel Paese. Eppure gli amanti del thriller-horror dell’epoca non l’hanno dimenticato, tanto che nei blog di genere il suo nome torna sempre d’attualità, per paralleli e raffronti non condizionati da intellettualismi o snobismi di sorta. Tutti buoni motivi per proporvi un’analisi di questa sua originale opera, un thriller visionario che mantiene intatto il suo fascino a distanza di più di trent’anni. Detto ciò, passiamo ad una breve presentazione della trama.
Sulla Capitale, bruciata dal sole agostano, si abbatte un’ inquietante spirale di suicidi, apparentemente inspiegabili. Sembra che il motivo di tanto orrore sia dovuto all’azione delle macchie solari, fenomeno atmosferico che porterebbe ad una sorta di squilibrio psichico, alla follia. Simona, studentessa di medicina, si trova ogni giorno all’obitorio per una particolarissima tesi sul suicidio (differenza tra suicidi reali e simulati, niente a che vedere con il famoso studio in merito di Durkheim), sovente a contatto coi cadaveri che arrivano copiosi per l’epidemia suicida in atto. Da qui prende il via un’intricata vicenda che vedrà proprio Simona protagonista, ossessionata dalla sua teoria e dalla visione continua dei cadaveri, a lei manifestatisi in una sorta di limbo della coscienza, tra il mondo onirico e quello reale. Ma c’è un altro mistero legato alla morte – apparentemente un altro suicidio – di una giovane americana amante del padre, ad un prete, fratello della ragazza straniera, e a qualcosa che in molti cercano e che sembra sparita nel nulla (si scoprirà essere un testamento). Seguiranno altri suicidi, e qui la questione cara alla studentessa diventa fulcro della storia: ma sono davvero tutti suicidi? Ciò che appare, come scoprirete nel corso della visione, spesso non è.
Davvero un thriller fuori dal comune quello che ci regalò Crispino, che parte come un horror straniante, truculento e visionario per trasformarsi in giallo classico d’atmosfera, quasi antitetico agli stilemi del cinema argentiano tanto in voga al tempo. Eh sì perché si era in piena Dario Argento mania all’uscita di Macchie Solari (Profondo Rosso è di un anno precedente), tanto che il cinema del regista romano aveva creato già una serie impressionante di epigoni. Crispino invece guarda altrove e regala un incipit folgorante (dieci minuti da incubo che restano nella memoria degli amanti del genere) che porta notevolmente fuori strada, talmente tanto che i puristi dell’horror e del gore avranno trovato anche motivo di noia nella seconda parte della pellicola. In effetti il film, con lo scorrere dei minuti, si fa sempre più lento e d’atmosfera, dilatando la sua narrazione e attenuando fin quasi ad azzerare l’effetto gore. Certo con alcuni evidenti buchi di sceneggiatura, ma cercando una via spiazzante che non si può non riconoscere come originale e controtendenza, sempre in rapporto ai thriller dell’epoca. Vi è, in effetti, come nel precedente ed altrettanto fascinoso L’etrusco uccide ancora, una costante inusuale per un thriller-horror: le morti avvengono sovente di giorno, ancorché non sempre alla luce del sole (ne L’etrusco nelle tombe, in Macchie solari nel chiuso d’un appartamento). In Macchie solari è anche interessante notare le tematiche di contorno, come la necrofilia e le psicosi legate al sesso. Il personaggio interpretato da Mismy Farmer è gravato da profondi disturbi legati alla sessualità che si intrecciano con visioni di violenza e di morte. L’aspetto psicanalitico, è bene ricordarlo, era abbastanza ricorrente nei film di genere dell’epoca (lo stesso Argento ne fa largo uso, ma su tutti ricordiamo un singolare giallo di Sergio Martino, interpretato da una Fenech disturbata da una logorante attrazione-repulsione per il sesso violento: Lo strano vizio della signora Wardh), usato spesso come rafforzativo simbolico o voyeuristico, a seconda del fatto che si scegliesse di osare letture un po’ più articolate di film generalmente assai lineari o che si volesse far presa su spettatori di grana grossa. Nel caso di Crispino la ricerca di un’estetica – sia visiva che narrativa – abbastanza personale mi fa propendere per la prima ipotesi, sempre ricordando che stiamo comunque parlando di opere destinante a smuovere l’inconscio alla sua superficie più che nei suoi abissi imperscrutabili (una delle poche opere che cerca di scavare nei meandri più reconditi dell’inconscio, facendo leva sull’irrazionalismo più spinto e su poche salde costanti, è proprio Profondo Rosso, che fa confluire nello stesso vortice ipervisivo musica d’atmosfera, ricerca ossessiva del dettaglio, iperbole degli oggetti ed artifici narrativi).
Mismy Farmer, davvero bella, ci mostra più volte le sue grazie svestite, divenendo cosi una sorta d’icona degli amanti dei film di genere, ricordando anche l’inquietante personaggio – anche li gravi disturbi psichici – interpretato in 4 mosche di velluto grigio, opera cult di Argento, nonché la spiritata performance ne Il profumo della signora in nero, di Francesco Barilli. Gli altri attori sono solo contorno, fagocitati da una storia ricca di lati oscuri, intrecciati da Crispino, come sopra si accennava, non sempre in modo convincente ma sufficientemente individuabili anche dallo spettatore non troppo incline ai rompicapi, tanto da consentire al film una discreta fluidità narrativa.
A fortificare l’atmosfera, oltre alla regia non manierata di Crispino, le consuete ottime musiche di Morricone, che quasi fanno il verso alle suggestive note – sempre di Morricone – dei temi dei primi tre thriller argentiani. Come avrete potuto notare dal mio pezzo, ora giunto al suo termine, è praticamente impossibile, parlando dei thriller dell’epoca, non fare raffronti con il cinema di Dario Argento, ancorché Crispino non sia affatto un suo emulo. Ed anzi, al contrario, tanto per buttarvela lì e farvici riflettere un po’ su, che non fa mai male, c’è chi dice che il maestro dell’horror nostrano abbia attinto all’opera crispiniana nell’immaginare il suo film più noto: l’idea della musica che innesca la furia assassina, prima di ogni delitto (le famosissime sequenze di morte, evocate da una terrificante nenia infantile, presenti in Profondo Rosso), è la costante che accomuna il capolavoro di Dario Argento a L’etrusco uccide ancora, di un biennio precedente. Il che, a voler esser sospettosi, potrebbe anche non essere un dettaglio trascurabile. Ai posteri l’ardua sentenza, soprattutto se i due thriller di Crispino (ad oggi irreperibili in Dvd) saranno in futuro rivalutati, come a mio avviso meriterebbero.
Federico Magi, luglio 2007.
Edizione esaminata e brevi note
Regia: Armando Crispino. Soggetto e sceneggiatura: Armando Crispino, Lucio Manlio Battistrada. Direttore della fotografia: Carlo Carlini. Montaggio: Daniele Alabiso. Interpreti principali: Mismy Farmer, Barry Primus, Ray Lovelock, Angela Goodwin, Massimo Serato, Carlo Cataneo, Gaby Wagner, Eleonora Morana, Carlo Casale, Giovanni Di Benedetto, Maria Pia Attanasio, Pier Giovanni Anchisi, Leonardo Severini, Ernesto Colli. Scenografia: Elio Balletti. Musica originale: Ennio Morricone. Produzione: Clodio. Titolo internazionale: “Autopsy”. Origine: Italia, 1975. Durata: 100 minuti.
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