Cosa vuol dire viaggiare in modo solidale? Andare solo in paesi poveri? Visitare scuole, orfanotrofi e ospedali struggendosi delle loro condizioni precarie? Fare una vacanza alternativa per poi ripartire con la coscienza pulita perché si è fatto qualcosa di buono?
Nessuna di queste cose. Viaggiare in modo solidale vuol dire fare attenzione all’impatto che si crea quando si visita un determinato luogo. Non è una scelta da fare alla leggera e non è il tipo di vacanza nella quale ci si riposa e ci si rilassa. Sono esperienze forti, dove la realtà la fa da padrona e dalle quali si torna con più domande che risposte.
Questi sono i viaggi organizzati ormai da quindici anni in Senegal da CPS – Comunità Promozione e Sviluppo e Viaggi Solidali. L’ultimo si è svolto tra il 27 dicembre e il 6 gennaio e ha visto la partecipazione di ben 14 coraggiosi viaggiatori. Un gruppo eterogeneo ma accomunato da una grande esperienza di viaggi solidali; persone abituate agli imprevisti e alle sorprese ma soprattutto attente, interessate e con uno spiccato occhio critico.
Erano molti anni che in Senegal non arrivava un gruppo così numeroso e a raccogliere la sfida sono stati Pierre, esperta e premurosa guida senegalese, Dijbi, autista di professione e vero asso del volante e Francesco, volontario del servizio civile responsabile dei viaggi presso la CPS.
Gite in piroga, escursioni a piedi, in canoa ed in carretto, avvistamento di iene, visite a scuole, centri di formazione e mercati locali, pernottamento in una famiglia locale, passeggiata tra le mangrovie, serata di lotta senegalese, laboratorio di succhi locali, sembra quasi impossibile aver fatto tutto questo (e altro) in solo undici giorni. Un programma fitto, ricco e variegato, con poche pause ma molte attrattive.
Come in ogni viaggio però sono gli imprevisti a dare quel pizzico di sapore in più. Trovarsi nel mezzo di una processione che celebrava un matrimonio è stato uno di questi: eravamo a Popenguine, sulla costa, siamo usciti dopo cena per una passeggiata in paese quando abbiamo sentito avvicinarsi il suono dei tam tam, i tamburi tradizionali senegalesi e in men che non si dica siamo stati invitati anche noi a ballare e a seguire la processione fino ad un baobab sacro attorno al quale la folla si è messa a danzare.
Spesso però gli imprevisti non sono piacevoli: aspettare per quasi due ore la piroga che doveva venirci a prendere al porto di Palmarin non è stato poi così bello. Tempi senegalesi, in wolof, la lingua maggioritaria del paese, si dice ndanka ndanka, piano piano e noi non possiamo che adattarci e lasciare a casa gli orari precisi al minuto a cui siamo abituati.
Con la piroga abbiamo attraversato buona parte del delta del Sine – Saloum. Un parco naturale dove mare e fiume si confondono e dove distese di mangrovie offrono riparo a migliaia di uccelli e ad altri animali, tra cui anche delfini, di cui abbiamo incrociato un piccolo branco. Qui abbiamo visitato il villaggio di pescatori di Maia, dove per rispettare l’etichetta locale abbiamo portato i nostri omaggi al capo: in Senegal infatti entrare in un villaggio è come entrare in una casa e far sapere al capo della propria presenza è semplice educazione. Tra ritardi, vento e maree contrarie, il percorso è stato lungo e il sole africano non ci ha dato tregua, per fortuna però c’era Gloria, che con la sua “Settimana Enigmistica” ha improvvisato un cruciverba collettivo per ingannare il tempo.
Tappa importante del nostro viaggio è stato il villaggio di Sokone. Situato lungo la strada che porta verso il confine con il Gambia e sede del GIE Touris Jokkoo, dal 2002 partner della CPS. I GIE, Group Interet Economique, sono cooperative d’iniziativa popolare molto comuni in Senegal che promuovono progetti di miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. Qui si svolge l’attività che in genere più spaventa e allo stesso tempo incuriosisce i viaggiatori: l’ospitalità in famiglia.
Il GIE locale ha infatti una rete di famiglie disposte ad ospitare i viaggiatori nelle loro case, per dar loro un assaggio di vita quotidiana in una vera famiglia locale. In Senegal l’ospitalità, la teranga, è una cosa sacra e talmente radicata che nessuno qui esiterebbe a dare la propria camera e il proprio letto ad un ospite.
Sokone però ha anche altro da offrire: lo veniamo a sapere il giorno di Capodanno, quando all’ombra di un bel palmeto scopriamo tutti i segreti dell’estrazione e della produzione del vino di palma. Nostro professore per un giorno è Armand: 60 anni, andatura lenta e ondeggiante, fisico asciutto, almeno quattro denti mancanti. Non sfigurerebbe in un circolo delle bocce o ad un tavolo a giocare a briscola e invece lui si arrampica sulle palme con il solo supporto di un cerchio di corteccia intrecciata. Una volta in cima, a circa dieci metri d’altezza, l’arzillo Armand taglia le fronde e posiziona delle bottiglie vuote che verrà poi a riprendere più tardi quando si saranno riempite di linfa. Questa se viene fatta fermentare diventa appunto il vino di palma. Con la stessa grazia con cui è salito, Armand ridiscende, toccando terra accompagnato dai nostri applausi di ammirazione.
Da Sokone è quasi obbligatorio passare almeno una notte nel vicino Keur Bamboung, un campement ecologico situato su un’isola del delta, costruito interamente con materiali locali e raggiungibile solo dopo venti minuti di piroga ed altrettanti a piedi. Qui l’energia elettrica funziona solo grazie a qualche pannello solare, ogni bungalow ha la sua piccola cisterna d’acqua per docce e rubinetti e spesso i bagni non hanno nemmeno il soffitto ma solo un recinto intorno. Il wi-fi non è contemplato ma il paesaggio è da cartolina, il luogo ideale per immergersi nella natura selvaggia del Parc National du Delta du Sine-Saloum.
Dal vicino villaggio di Sippo partono anche le gite al Réposoir des Oiseaux, un isolotto di mangrovie a circa un’ora di piroga dove all’imbrunire gli uccelli si riuniscono per passare la notte. Osservare il tramonto sulle foreste di mangrovie, dove il cielo è tagliato solo da qualche baobab isolato, ci dà veramente la sensazione di trovarci nell’Africa che si vede nei documentari.
Dopo quest’immersione nella natura abbiamo avuto l’occasione di visitare alcune delle realtà sostenute dalla CPS nella città di Mbour: abbiamo cominciato con la scuola Demain Ensemble, dove bambini disabili (handicappati non si usa più!) studiano con bambini normodotati; proseguendo poi con il GIE Boloo Suqaali Médine Liberté, dove una pattuglia di rumorose e corpulente maman senegalesi ha organizzato una dimostrazione di tintura batik a cui è seguito un pranzo pantagruelico a base di cous cous di miglio macinato proprio con il mulino del GIE.
Dopo pranzo ci siamo spostati al Centre de Formation Coup Couture Père Janvier, fondato dall’estroversa Madame Khady Kondé: un centro che ospita un corso di tre anni di taglio e cucito pensato per le giovani ragazze di Mbour. Un modo per dare a quest’ultime una possibilità di lavoro e d’indipendenza economica per il futuro.
La giornata si è conclusa con una visita al mercato di Mbour. Qui il simpatico Ndiass ci ha condotto attraverso i vicoli e le strade del mercato, assistito per l’occasione da tre ragazzi del club d’italiano del liceo Demba Diop di Mbour: questo liceo è uno dei più grandi della città e alcuni tra i suoi studenti sono sostenuti dalla CPS con il progetto di adozione a distanza. Il club d’italiano conta circa ottanta studenti e per loro venire a conoscere i viaggiatori di CPS e Viaggi Solidali è una bella occasione per fare pratica della lingua e conoscere qualche italiano in carne ed ossa.
Gli obiettivi dei viaggi di CPS e Viaggi Solidali sono sempre gli stessi ormai da quindici anni, fare del turismo che porti dei benefici alla popolazione locale e che sensibilizzi i viaggiatori sulle problematiche del luogo. Ogni viaggio però è una storia a sé stante e la storia di questo è stata forse la curiosità: il voler sapere nei dettagli perché si visitava questo o quel luogo, il chiedersi quale comportamento tenere nelle diverse situazioni in cui ci siamo trovati, il domandarsi se questa o quell’attività stesse effettivamente contribuendo a migliorare la vita della popolazione locale. Sembrano questioni superficiali e non sono cose a cui uno di solito vuole pensare durante una vacanza, tuttavia è proprio il porsi questi problemi che distingue un turista passivo da un viaggiatore attivo. Siamo partiti con delle idee e siamo tornati con delle opinioni, abbiamo cercato di valutare al meglio l’impatto di ogni nostra azione concludendo che viaggiare in modo solidale non è per niente facile, ma che insegna moltissimo.
Francesco Ricapito – Gennaio 2017
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